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I Mulini
L’ acqua da tempo immemorabile è stata sfruttata come forza motrice; ne dà testimonianza scritta Vitruvio nel suo trattato, datato 25 a.C.. In Italia i primi mulini ad acqua furono costruiti attorno al IV - V sec. In realtà solo con l’ XI sec. l’uso della forza idraulica divenne massiccio. I primi mulini furono introdotti per la macinazione di grani e solo in tempi successivi, grazie all’invenzione dell’albero a motore, si poterono utilizzare per il funzionamento di magli, pestelli, seghe (fucine, segherie, follatoi ecc.). Innovazioni successive portarono ad una maggior produttività, s’ingrandirono le ruote, aumentando così la potenza erogata. Tra il XIX e XX sec., le novità riguardarono i materiali di costruzione dei vari elementi (metallo al posto del legno), la trasmissione ("ruota dentata-lanterna", sostituita da un sistema a cinghie) e l’introduzione della turbina. Questi brevi cenni ci permettono di capire l’importanza assunta dal riordino della zona pre-industriale, denominata "Roggia dei Mulini".
Piano attuato dal Comune di Lozzo e Comunità Montana Centro Cadore, dal Servizio Forestale Regionale con il contributo della Comunità Europea (Progetto Raffaello - Sostegno dell’eredità culturale: obiettivo Mulini Pre-Industriali). In quest’area si concentrarono nei secoli molte lavorazioni che, coprendo un arco temporale molto ampio, attestano le variazioni tecnologiche sopra menzionate. Il mulino detto "dei Pinza" e quello "Da Pra-Calligaro" si possono far risalire al tipo più antico: ruote verticali in legno a cassetta con sistema "per di sopra" e meccanismi di trasmissione in legno. Il mulino "Del Favero" e "l’Officina per la produzione d’energia elettrica Baldovin Carùli" sono dell’ultima fase, per l’uso della turbina e di meccanismi di trasmissione in metallo. L’ instancabile acqua del rio Rin, captata in località Crépe Rós era convogliata per mezzo di una roggia e derivazioni successive alle varie ruote. Nel ’700 funzionavano: dieci ruote da mulino da grani, una sega da legname, un follo da panni di lana (molto importante per le zone alpine), sedici "telari" da tela e cinque mole. Il secolo che seguì aggiunse ai precedenti una fucina e una bottega da fabbro. Seguendo il percorso consigliato, il primo edificio da osservare è l’ex Filanda di Zanella Gòto, attiva fino al 1958; vi si trasformava la lana grezza, appena tosata, in filato.
Risalendo il sentiero si giunge alla grande ruota del mulino "Da Pra-Calligaro" e al simpatico ponticello. Nel 1830 l’edificio compare già accatastato; nel 1903 vi era alloggiato un follo da panni e una fucina. Più tardi fu convertito a mulino. L’ acqua cadeva su due ruote con un salto di circa cinque metri. Un piccolo corpo, aggiunto successivamente, ospitò una fucina. A destra si scorge il mulino detto "dei Pinza", la cui esistenza documentata è riconducibile al 1810. Nel 1903 sfruttava un salto di 5,96 metri per produrre 3,7 Hp medi, utilizzati per macinare mais. Possedeva quattro ruote per due mulini distinti. Per alcuni anni venne collocata una piccola fucina. Rimangono all’interno le due macine e il trapano. Risalendo invece si incontra il mulino oggi "Del Favero", fu l’ultimo a cessare l’attività negli anni ottanta. L’ interno è rimasto come l’ultimo giorno lavorativo. Probabilmente era già esistente nel ’700, inizialmente possedeva tre ruote idrauliche libere di diametro 2,05-3 metri per un salto di 5,3 metri (3,35 HP), sostituite nel 1943 da una turbina Pelton ad asse verticale, alloggiata in un pozzetto sotto il pavimento.
Tra gli anni 1920-45, esisteva, al piano superiore, una piccola tessitura a mano per stoffe pesanti "caracul". Salendo, poco distante dal lavatoio ricostruito, è visibile la "centralina" di Leo Baldovin Carùli. Nel 1926 si costruì, a monte dell’abitato, una diga di sbarramento e una conduttura di 662,35 m, sfruttandone il salto dell’acqua (70,16 m) per la produzione d’energia elettrica. Oggi sono presenti e funzionanti le attrezzature originali (due turbine Pelton con getto ad ago complete di regolatore di velocità e alternatore trifase). In quel 1926 si attuò un vero balzo tecnologico: l’energia idroelettrica sostituì la forza idraulica "diretta". Altri edifici artigianali, posti più in basso, sfruttarono l’acqua deviata di questa zona, tra questi la Fucina "Baldovin Marìn", il Mulino "Calligaro-Cian e Baldovin Mónego", la Segheria Comunale e quella "Pellegrini". La zona dei mulini, cessate le attività per le mutate condizioni economiche, subì la grande alluvione del 1966. Abbandonata andò incontro ad un lento degrado.
Questo stato perdurò fino a quando, a seguito degli studi dell’arch. Caterina Dal Mas, fu intuito l’intrinseco valore in termini d’archeologia pre-industriale. Lo sforzo congiunto di vari enti permise il recupero della zona e la salvaguardia di un patrimonio unico per edifici e tecnologia. Nel sito ripulito fu tracciato un comodo percorso, si provvide ad illuminare la zona e infine si ricostruì fedelmente una ruota. La zona è ora raggiungibile a piedi con una comoda passeggiata. La visita è rilassante oltre che istruttiva, il rumore cadenzato della ruota regala sensazioni sconosciute. In inverno vi si scoprono autentiche e uniche "sculture" di ghiaccio che meritano d’essere immortalate. Nei mesi estivi vi si organizzano manifestazioni e sono programmate visite guidate agli interni degli edifici.