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Il campo - Al cianpo
Introduzione
Le vecchie immagini del paese di Lozzo di Cadore ci restituiscono un villaggio attorniato da un’ampia zona di campi e prati, difficilmente immaginabile ai nostri giorni. L’espansione del paese ha sì colonizzato molto di quell’area, tuttavia l’avanzare del bosco, dovuto all’abbandono delle attività agricole, è uno dei principali autori di quest’inevitabile nuovo aspetto. Se con un volo all’indietro ci portassimo all’inizio del secolo scorso, vedremo nei campi, in un tempo più antico coltivati a segale, orzo, grano, avena, fave, fagioli, canapa, lino e grano saraceno, crescere quasi esclusivamente patate, fagioli, granoturco e zucche e negli orti prossimi alle case alcuni ortaggi.
Il passaggio dalle più antiche coltivazioni a quella del mais fu chiaramente un gran progresso per la resa maggiore ma non scevro da polemiche, allo stesso modo l’introduzione della patata, giunta in Cadore solo all’inizio del 1800. L’attività agricola era nella prima metà del secolo scorso quasi interamente a carico delle donne, alle volte aiutate dai propri figli. La stessa gerla era un oggetto così tipicamente femminile, da creare quasi imbarazzo nell’uomo che si fosse trovato costretto a portarla.
La lavorazione dei campi nelle varie stagioni.
Concimazione. Nei primi mesi dell’anno si approfittava della presenza della neve per trasportare il letame dalle concimaie, poste in prossimità delle stalle e quindi delle case, nei campi e nei prati (menà grassa). Veniva utilizzata la slitta grande (luoida) attrezzata con un cassone. Normalmente il letame era scaricato in un unico mucchio. Tale mucchio veniva poi disperso nel prato (anche se questo non era perfettamente asciutto), la dispersione nel campo, invece, avveniva solo in prossimità della zappatura quindi con il terreno perfettamente sgelato e possibilmente asciutto.
La zappatura era preceduta da un’operazione tipicamente montana. Pochissimi erano i campi posti in piano, quindi le operazioni legate alla loro coltivazione facevano scendere la terra verso il lato posto più in basso. A questa situazione si ovviava ritrasportando la terra sull’alto (menà ruoi) con l’ausilio della gerla o di un cassone unito di manici (zuliera). La zappatura avveniva in aprile a campi asciutti (questa condizione era strettamente rispettata), raramente si vangava. Se i campi erano in piano e di proprietà di persone ricche si utilizzavano anche i cavalli e l’aratro. Si zappava dopo aver disperso il letame, e se ne sotterrava un po’ nel solco. Si procedeva poi con la zappa a livellare le orme dei piedi.
La semina
L’operazione della semina avveniva alla fine di aprile – primi di maggio. Le coltivazioni principali erano le patate, il mais e i fagioli. La semina molto limitata dell’orzo, segale e frumento (il primo per ottenere un surrogato del caffè, gli altri due per il pane) era avvenuta alla metà di ottobre, prima che nevicasse.
Il mais
La semina del mais avveniva sempre in maggio, in campi sempre separati da quelli delle patate. Il mais era interrato dopo aver diviso il campo in quadrati per non avvicinare troppo le piantine che da adulte sono molto alte, queste linee di semina erano ottenute con un doppio passaggio perpendicolare del rastrello sul campo.
Attorno al 18 –20 di maggio tutto era seminato. La brina era in questo periodo il grande nemico, se colpiva i fagioli era consigliabile riseminarli. Seguiva poi, dopo la comparsa delle piantine, la ripulitura delle infestanti, con una zappatura leggera e fitta (sarì). L’operazione doveva avvenire a campo ben asciutto. Quando tutte le piantine aveva un’altezza di una decina di centimetri si procedeva al rincalzo (dà tera); per il mais il rincalzo avveniva su tutti e quattro i lati, per dare un maggior sostegno all’alto fusto (si venivano così a creare in mezzo a ogni quadrato delle buche, in alcune di queste si seminavano le zucche).
Il mais si raccoglieva ai primi ottobre, si attendeva che la barba fosse nera, si cercava di lasciarlo il più possibile nel campo perché, si diceva, si raffinasse. “Se despoiea”, cioè si toglieva la gran parte delle foglie e con le rimanenti si legavano assieme tre- cinque pannocchie e si esponevano su assi per completare l’essiccazione. I chicchi si toglievano strofinando due pannocchie assieme o con un particolare ferro e con un attrezzo particolare. I chicchi raccolti si disponevano su un lenzuolo e si provvedeva a “sgorlà su l sorgo” ogni tanto. Da un quintale, salvo disonestà, si ottenevano 70 chili di farina e il rimanente crusca. Si conservava in una cassetta.
Testimonianze raccolte da Carla Laguna. Scheda realizzata da Francesca Larese Filon.
Ntroduzion
“Na ota era cianpe daparduto apena fora del paese e dute le famee avea cianpe fin agnó che tachea al bosco: se coltivea sorgo par fei la farina par la polenta, patate che se magnea ogni dì, fasuoi, zuce, zuchete. La nona me contea che prima de la grande guera i coltivea cianeipa, siala, vena, favarei, lin. Dute po avea l orto davante ciasa par la salata, al radicio, le tegoline, i fasuoi e i zuchete che se magnea ndrio man. E nte era se coltivea salata, radicio, dota e no mancea la camamilia che se dorea par curasse”.
Laore ntei cianpe
Menà grassa
“Era le femene che laurea nte i cianpe e le tachea belo d inverno a pareciali. Era n laoro duro e chele femene dea tante ote co i fioi pizoi inte dei...” “Prima de duto se menea grassa co la luoida e i dei e se la spandea co la forcia. Co le piove de la fin d l inverno al cianpo vegnia ngrassou pulito”.
Sapà
“Par parecià l cianpo se dovea menà ruoi spostando la tera da la parte pi bassa del cianpo a chela pì erta co la zuliera. Daspò se tachea a sapà le ere. Solo i pi siore ciamea l òn col ciaval par arà al cianpo”.
Semenà
“Daspò Pasca se tachea a semenà le patate dorando chele de l an gnante, fate a tochete con almanco tre dermui”. “N an se metea patate e chel autro sorgo”.
Al sorgo
“Al sorgo se lo semenea l ultima stemana de magio, zercando de piantalo largo par feilo cresse ben”. Cuanche le piantine tachea a cresse se dea a giavà le erbate e a sarì co la sapa. Cuanche dute le piante era aute, bisognea dà tera metendo in tin de tera par sora del gianbo. Nte i bus che se formea nte l cianpo de sorgo se usea piantà zuce”. “Al sorgo se lo tolea su a otobre, cuanche la barba la vegnia negra. Pì tarde se lo telea sù pì l se rafinea. Daspò se se ciatea dute nsieme dadesiera a despoià: era na festa par duta la famea e se ciamea i amighe a dà na man. Se leea nsieme cuatro-zinche panoce e se le metea nte sofita verta, a secase pulito. Par giavà i seme se sfregolea le panoce una con che l autra, o se dorea n atrezo aposta. Se lo conservea nte na cassela. Da un cuintal de sorgo vegnia fora 80 chile de farina, pi la senbola.