You are hereStoria e Guida turistica di Lozzo di Ezio Baldovin (1931) / I mezzi attuali di vita
I mezzi attuali di vita
1 - L’agricoltura
“Cadore e Feltre dan melo e pere, Serravalle spade”. Quest’antichissimo proverbio dice come abbondantissimo doveva ad un tempo la locale produzione delle frutta; nella campagna di Lozzo, per altitudine ed esposizione in condizioni assai vantaggiose, ci dicono le memorie che gli alberi secolari da frutta erano frequentissimi e fornivano alla popolazione ricco e squisito prodotto. Ora invece l’aspetto del suolo intorno al paese è triste, mancandovi quasi del tutto gli alberi fruttiferi, che, oltre a dare al paesaggio una nota più varia, sarebbero utilissimi, specie nei terreni a forte pendenza, tanto spesso minacciati dalla siccità1.
Assai redditizia risulterebbe la coltivazione del melo e del pero, che nulla o ben poco togliendo alle coltivazioni erbacee, fornirebbero un secondo prodotto, per qualità e valore non certo trascurabile. I terreni più fertili, anticamente per lo più allo stato di pascolo e in secondo tempo a frumento, segale, orzo, avena, fave, fagioli, canapa, lino e a grano saraceno (dialetto: paiàn), sono ora in parte a granoturco, patate e fagioli e in parte a prato stabile. Mentre però le patate e i fagioli riescono ottimamente, il granoturco non viene a maturazione, e si deve ottenerne l'essiccazione nelle abitazioni sospendendo per qualche mese le pannocchie in posizione ben aerata o soleggiata, su apposite stanghe. La mancanza di un’istituzione per la vendita collettiva di tutta la sovrapproduzione agraria locale obbliga il nostro contadino a coltivare anche il granoturco, il quale, pur richiedendogli molte cure, rende poco e che, di miglior qualità, potrebbe acquisire con i proventi di altre culture, per clima e terreno più indicato e perciò più rimunerative.
Si nota da qualche anno uno sviluppo confortante nella coltivazione dei prati, per i quali, a differenza di quanto avviene per i campi, va estendendosi anche l’uso dei concimi chimici. Numerose sono le costruzioni (Mas, Tabiàs) che vanno qua e là ripopolando la campagna, risultato e mezzo insieme di quel auspicato attaccamento alla terra che era andata affievolendosi, specialmente nel sesso forte. Il lavoro dei prati, come quello dei campi, è però in buona parte affidato alle donne, ed è noto a quali fatiche esse sappiano adattarsi, onde provvedere le stalle del fabbisogno annuale di foraggio e meritarsi anche in questo campo il titolo nobilissimo di artefici prime della economia domestica. Non v’è famiglia, si può dire, che non abbia qualche prato o qualche campo. Chi non ne ha abbastanza, lavora a mezzadria o in affitto i terreni di chi non può dedicarsi alla coltivazione diretta. Il bracciantato agricolo è pressoché sconosciuto: frequenti invece le prestazioni di mano d’opera vicendevole.
L’allevamento del bestiame, se numericamente in forte regresso rispetto ai tempi passati in cui era più esercitato il pascolo e non v'era palmo di terra a prato che non venisse falciato, è curato più razionalmente d’una volta, e quantunque assai lontani dalla perfezione, specialmente in tema di stalle, notevoli sono i progressi conseguiti. Il patrimonio zootecnico che appena cinquant’anni fa consisteva in 563 bovini e 642 animali minuti (capre e pecore), quasi distrutto dalla guerra, conta già 327 bovini, 22 equini e 332 animali minuti. Pensiamo che, specie i bovini, possano notevolmente aumentare, e a ciò contribuiranno un maggior impiego di concimi chimici e la possibilità di esportare i latticini. L’alpeggio è praticato ora in misura assai scarsa per le mucche, mentre è totale per tutti gli altri animali. I pascoli sono trascurati affatto, e le malghe, ben costruite, sono tenute in condizioni pietose e abbandonate spesso all’opera distruttrice del vandalismo nostrano.
Oltre alle piante da frutto e alle industriali di cui abbiamo detto o diremo in seguito, cresce nei boschi e nei prati un’estesa serie di sussidiare, di arbusti e di frutici: il ginepro (dialetto:denèvol), il trespino (scarpìn), il corniolo (cornolèr), il ligustro (ua de ciàura), il lampone muie), il maggiociondolo (diévol), il mugo (baràncio), il mirtillo (giasonèi), il nocciolo (nosolèi), il pero cervino (bisognolèr), il rododendro, la rosa selvatica (stropacù), il biancospino (père de orse), il salcio (vénco), il sambuco (sambughèi), l’uva d’orso (brussiéi o farinèle), la vitalba (viriàda), il viburno (pagognère). Fra le erbe aromatiche e le medicinali che crescono spontanee nei prati e nei boschi, vanno ricordati: l’aconito bianco e blu, l’arnica, la belladonna, la centaura minore, il colchico, la digitale lutea, l’elleboro bianco, il felce maschio, la genziana, il licopodio, la valeriana, il rabarbaro selvatico (lenga de bo), il lichene islandico, il timo, il ranuncolo, la vulneraria, l’angelica arcangelica, la coda cavallina (coda mozina)2, il tusilago o farfaro, il cumino dei prati (ciarié), la cicuta (fiuba).
2 - L’industria
I numerosi telai che, sparsi nelle famiglie, tessevano il lino, la canapa e la lana, sono ormai poco più che un ricordo, ed anche i corlete, che avevano sostituito ingegnosamente la rocca e il fuso, cominciano a meritare l’onore del museo. Va così sparendo la piccola industria familiare, non senza dannose conseguenze nei riflessi dell’economia e soprattutto del costume. A sostituire la dispendiosa lavorazione del latte nelle singole case o nei piccoli caseifici turnari, ha provveduto la Latteria Sociale, che, fondata nel 1884 per merito principale di Giuseppe Baldovin Monego, raccoglie ora tutta la produzione del paese, trasformandola in ottimi latticini. La Società comprende ben 230 soci, la totalità dei produttori, ed è retta da un consiglio, il quale ha sempre dato eccellenti prove di saggezza amministrativa. La quantità annua di latte lavorato supera ormai le 430 tonnellate e i sistemi applicati vanno adattandosi gradualmente ai suggerimenti della tecnica casearia moderna.
La latteria è l’istituzione economica principale del paese, e pensiamo le sia riservato un bellissimo avvenire, quando l’attuale sistema della completa distribuzione dei dei latticini ai soci sarà perfezionato con la vendita dei prodotti eccedenti il locale fabbisogno. Assai sviluppata è l’industria del legno per la produzione di travatura e di tavolame. Alla segheria comunale, esistente prima del ‘600, se ne sono aggiunte in questi ultimi anni parecchie altre. La trasformazione della materia prima in mobili, serramenti, ecc. ha importanza poco più che locale, sebbene sia stata introdotta la lavorazione meccanica e gli artigiani procurino il corrispondere alle nuove esigenza. E’ praticata l’estrazione dai larici della trementina, che viene venduta allo stato naturale e dalla cui distillazione si ricava l’essenza di trementina e la colofonia o pece greca.
Esistono varie botteghe di fabbro, di sarto, di calzolaio, due rilegherie di libri, una fabbrica di gassose ed una di liquori, uno stabilimento per la lavorazione dei cementi, un officina meccanica, una fabbrica di cucine economiche, una piccola centrale elettrica che fornisce l’energia a buona parte del paese. Lusinghiero sviluppo va prendendo l’industria del forestiero. Il patrimonio venatorio, assai diminuito durante la guerra, torna a rappresentare una buona attrattiva per i numerosi cacciatori del luogo.
Fra i mammiferi, abbastanza frequenti sono: la lepre (liévero o lióuro), lo scoiattolo (sghiràta), la volpe (ólpe), la martora (martorèl), il tasso (tàs), il capriolo (cauriól), il camoscio (ciamórza). Fra gli uccelli hanno dimora stabile o sono di passaggio: la cinciallegra (perùzola), il pettirosso (petorós), il fringuello (zavàtol), lo scriciolo (cesorìn), il tordo, il tordo maggiore (daréssa), lo zigolo (vérda), il codarossa (codarós), la cutrettola (coacàzzola), il crociere (bèco storto), il lucarino (lugherìn), il merlo, il passero (pernegà), il regolo (stelìn), la silvia sibilante (zuìt), il verdone (zerànte), il picchio (pigòto), il gufo minore o alocco (ciò), il gufo reale (dùgo), lo sparviero (galinèl), la poiana, l’anitra selvatica, la coturnice (cotòrno), le starna (pernìse), la quaglia (quàia), l’urogallo o gallo cedrone (grotòn), il gallo di monte (lauriòto), il francolino La pesca non è esercitata: il Piave offre raramente qualche eccellente trota.
3 - Il commercio
Importanza senza pari ha qui come in tutto il Cadore il commercio del legname, che rappresenta la forma principale di ricchezza, secondo l’antico proverbio: laris, pez e pin, fa le spese ai Cadorin. La superiorità del larice, e dell’abete locali è riconosciuta nel mondo industriale, per cui essi trovano facile sbocco sui mercati d’Italia e sul Mediterraneo. Oltre al larice, all’abete rosso (pezuò), e all’abete bianco (avedì), si hanno buone varietà di pino silvestre, di acero (àier), di faggio (faghèra), di noce (noghèra o cucèra), di pioppo tremolo (trèmol), di sorbo selvatico (menèstro), di ciliegio (zariesèra), ecc.
Numerosi e ben provvisti sono i negozi, quasi tutti minutanti, e tali da bastare al paese, che fino a qualche anno fa era per alcune materie tributario dei villaggi vicini. Vi sono rappresentati vari Istituti di Credito. Non si tengono mercati attualmente, ma vi fanno buoni affari gli ambulanti, essendo il popolino assai amante delle novità e facile ad accordare la propria stima a quanto sa di forestiero.
4 - L’emigrazione
Buona sorgente di guadagno (se pure causa principale di corruzione del costume) è l’emigrazione. Prima della guerra era praticata specialmente la stagionale per i paesi dell’Europa centrale e la temporanea per le Americhe. Resasi infruttuosa la prima, divennero meta preferita gli Stati Uniti e il Canadà, dove i lozesi fanno i muratori, i falegnami, i minatori. Chiusa anche questa via, s’iniziò l’esodo verso l’Australia e la Nuova Zelanda, dove il nostro operaio non disdegna i lavori più umili e faticosi. L’emigrazione interna è quasi sconosciuta. Dovunque si trovi, l’emigrazione sa acquistarsi grande stima, e non di rado riesce a mettere insieme cospicui risparmi, che quasi sempre sogna di impiegare fra questi monti, al quale la mente e il cuore lo tengono avvinto, e dove considera suo ambìto premio il potervi trascorrere tranquilla vecchiaia.
1 L’amministrazione comunale si fece promotrice qualche anno fa di una vasta e razionale coltivazione di alberi fruttiferi, ma non seppe perseverare. Grande benemerenza acquisterà chi saprà affrontare decisamente il problema, tutt’altro che difficie, poiché l’economia del paese, che ha così misere risorse, ne avrà molto da guadagnare. Lozzo, anziché importare tutto il suo fabbisogno, potrà avere frutta in abbondanza ed esportarne.
2 La lettera z ha sempre un suono simile a quello del theta greco.