You are hereStoria e Guida turistica di Lozzo di Ezio Baldovin (1931) / Cap. II - Dall'epoca feudale ai Patriarchi di Aquileja.
Cap. II - Dall'epoca feudale ai Patriarchi di Aquileja.
1. - Intorno al mille
Poche notizie si hanno intorno alla storia particolare del paese fino al tramonto del dominio caminese. Vediamo un popolo di appena tre o quattrocento anime, seguire e partecipare di malavoglia alle vicende degli oppressori, legato tenacemente alla propria terra e amante d'ogni libertà, piuttosto che avventuriero e schiavo dell'altrui ambizione. Insieme a tutto il Cadore non può sottrarsi al susseguirsi di dominazioni straniere, anzi ne vive la vita, ma, facendo propri gli ordinamenti più consoni al suo carattere, alimenta la fiamma dell'indipendenza e si prepara la sua storia. Poche famiglie formavano una vera e propria associazione, con ristrettissimo patrimonio privato, consistenti nei terreni più prossimi alle abitazioni, e con più vasto patrimonio comune, consistenti in terreni pascolivi o in boscaglie (vizze) per lo più di faggio o altre piante da fuoco e foglia.
2 - La penetrazione del Cristianesimo
La luce del Vangelo, qui portata dai soldato romani e diffusa dalla parola di S. Ermargora, primo vescovo di Aquileja, e dal suo diacono Fortunato, aveva già nel quarto secolo disperso il paganesimo, e l'editto costantiniano permetteva le libere manifestazioni religiose: così sorgeva ben presto il primo tempio cristiano nel centro del Cadore, a Pieve1. Altre chiese si innalzarono in seguito, per agevolare le pratiche del culto, prima nei centri più abitati, e poi in tutte le ville.
Così anche Lozzo prima del 1226 ebbe la sua, che dedicò al glorioso martire S. Lorenzo. Non che avesse un proprio sacerdote: chiesa madre allora era quella di San Martino di Vigo e ad essa dovevano accorrere i fedeli per le pratiche religiose, paghi solo di veder scendere a Lozzo il Pievano, od un suo inviato, per le sacre funzioni nel giorno del loro Santo e in qualche altra ricorrenza solenne. Il Battesimo poi veniva amministrato soltanto due volte all'anno nella chiesa di Pieve, e quivi dovevano essere condotti i fanciulli durante la Quaresima perché venissero esaminati e ammessi ai Santi Sacramenti nel sabato di Passione.
3 - Vita primitiva
Vivevano gli abitanti soprattutto esercitando la pastorizia e coltivando i campi a canapa, lino, orzo, frumento, segala, fagioli, fave, cappucci ramolacci, ecc. Non commercio alcuno di tali generi: si produceva quanto poteva bastare al proprio sostentamento, restii ad ogni rapporto con gli altri paesi. Scarsissimo anche il commercio del legname, che poté svilupparsi solo più tardi, man mano che ai boschi di faggio vennero sostituiti quelli d'abete e di larice, quando fra il Cadore e la Repubblica Veneta si strinsero indissolubili relazioni politiche ed economiche. Sorgente di qualche guadagno erano i trasporti della merci provenienti dalla pianura e dirette oltre confine: questo lavoro riservato ai rodolanti, cioè ai locali possessori di buoi, che l'eseguivano a rodolo o turno. Conseguenza di una vita tanto ristretta ed isolata, erano le difficoltà in cui veniva a trovarsi il paese negli anni frequenti di carestia, alla quale s'aggiungeva assai spesso le epidemie ed altri gravi sinistri.
4 - Separazione da Vigo. - Incursioni tedesche
Durante la dominazione dei Patriarchi, dopo ripetuti tentativi, Lozzo e Lorenzago riuscirono a separarsi dalla chiesa di Vigo. La popolazione dei due paesi era aumentata tanto da rendersi opportuna la formazione di una nuova curazia. Questo avvenne nell’anno 1390, con la nomina di un curato che ebbe la sua sede a Lorenzago, dove prima risiedeva un cappellano mandatovi dal Pievano di Vigo. Per tale separazione, che implicò per molti secoli la conferma dell’eletto da parte del Pievano medesimo, Lozzo, come Lorenzago, pagano tuttora, nel giorno di S. Martino, a quel beneficio il valore di un ducato, pro honore et utilitate, e la rimessa veniva eseguita, fino a qualche anno fa, personalmente dai rappresentanti dei due Comuni.
Gli ultimi anni del periodo patriarcale furono funestati da varie incursioni degli Austriaci entro i confini della terra cadorina, che minacciarono la tranquillità e l’esistenza stessa dei paesi, strenuamente difesi dal valore delle locali milizie, e protetti da scarse fortificazioni, eseguite ad opera delle stesse popolazioni, per volere del General Consiglio del Cadore. In tali frangenti si distinse per senno e valore Negrone Possilio da Pescul, popolano condottiero, che Lozzo vide alla difesa della sua Chiusa, dov’era stato costruito un valido fortilizio.
1 Da Plebs ossia popolo, che vi accorreva in massa dai vici per le adunanze, dette anche plebi.