Uomini Distinti


By ddm - Posted on 18 February 2010

Le passate difficili comunicazioni con i centri urbani; la cura gelosa dei nostri avi per l’integrità dei costumi, che il faceva rifuggire il più possibile da ogni rapporto cadorino; la forma di governo assunta dal paese, che restringeva la proprietà privata rendeva pressoché sconosciute le forme economiche familiari, costituivano, anche per chi ne avesse avuto la migliore disposizione, un grave ostacolo al perfezionamento intellettuale e alla manifestazione di quelle attitudini che rendono illustri gli uomini, e con essi la loro terra.

Queste le ragioni principali per cui ben pochi cadorini hanno raggiunto la celebrità, e sono rimasti in boccio tanti eletti ingegni, che in altre circostanze di luogo avrebbero potuto spiegarsi aggiungendo nuova gloria a quella che al Cadore viene dall' arte dei Vecelli, dalla scienza di Bartolomeo Toffoli e dalle virtù civili e militari di tutto il suo paese.

Lustro e decoro di Lozzo, meritano particolare menzione i seguenti, quasi tutti uomini di chiesa:

Mattia de Salis (della scomparsa borgata Sale). Fu Pievano di Vigo dal 1437 al 1470 e in tale sua quantità tentò di negare a Lozzo e Lorenzago il diritto alla nomina popolare del loro comune parroco.

Francesco Soldano. Di famiglia distinta oriunda da Laggio, seguendo l’esempio del padre Odorico si prodigò per il bene del paese, e quando nel 1504 il Consiglio del Cadore per angustia di mezzi stava per abolire il Fontego, efficacemente ne sostenne il dovere della conservazione offrendo in seduta stante cento ducati. Il breve discorso pronunciato in quell’occasione, bella pagina d’amor fraterno e patrio, è il più bel monumento che egli si sia potuto erigere.

Gaspare De Mejo di Bernardino (1636-1711). Per sette anni cappellano a Domegge, rese primo e per ben 45 anni la Curazia di Lozzo. Fu sepolto nella Parrocchiale, nella tomba che si era fatta preparare.

Gaspare De Mejo di Giambattista (1687-1747). Curato di Lozzo dal 1711 al 1722, Pievano di Santo Stefano fino al 1736, passò a Pieve prima come Pievano e poi, di 27 anni, come Arcidiacono del Cadore. “Dottore in ambe le leggi”, fu anche esaminatore sinodale e vicario del S. Ufficio. In morte di lui, Giancarlo Galeazzi di Valle compose il seguente epigramma:

si decorandus era lacrimis in morte sacerdos, hic solus lacrimis condecorandus erat.

si deflere nefas tam sanctae funera vitae, sola haec sunt siccis funera agenda genis.

ast ego non fletus cineri, sed lilia mittam alba; decent albis moribus vita suis.

et sua longinquum diffundam nomina in aeum, et tumulus posito hoc carmine clarus erit.

hic gaspar charites, circum prudentia juris et splendor cleri; caetera fam canit.

haec sunt maestitiae tristia signa meae.

 

Apollonio Zanella di Gio Batta (1696-1785). Quale Pievano di Auronzo contribuì nella definizione della vertenza fino al ‘300 pendente fra quel Comune e Dobbiaco per i confini di Misurina. Durante il suo ministero fu ricostruita la chiesa di S. Giustina.

Giovanni Gaspare De Mejo(1741-1798). Fu dal 1766 al 1769 precettore della Comunità a Pieve, poi fino al 1779Parroco a Perarolo, e quindi Pievano a Vigo, dove morì “magna populi commotione”.

Giovanni Antonio Zanetti(1745-1816). Curato di Lozzo per cinque lustri, e pievano per 17 anni a Candide, fu distinto teologo.

Padre Marino da CadoreGiuseppe Zanetti di Giovanni e di Lucia Zanella. Nacque il 5 gennaio 1745, e appena trilustre vestiva a Conegliano l’abito dei Cappuccini col nome di Padre Marino da Cadore. Passato ad Oderzo, attese a perfezionarsi nello studio delle scienze filosofiche e teologiche, facendo tali progressi da guadagnare l’animo del lettore, il quale, promosse al vescovado di Zante e Cefalonia, lo volle avere a suo teologo e segretario. Alla morte dell’amato suo maestro, Il Padre Marino fece ritorno alla veneta provincia, dove ai superiori fu destinato nel 1786 all’insegnamento della filosofia e della teologia, e preparò “alla religione degli alievi di non ordinare consolazione e decoro”.

Per la profonda sua dottrina e le chiare virtù, da tempo stimato ed amato dei superiori e confratelli, venne in mano promosso a tutti i gradi onorevoli della provincia, fino a quello di Moderatore e Provinciale, che mantenne fino all’epoca della generale dispersione dei Regolari, avvenuta nel 1810. A Milani, fino al 1806era stato eletto Commissario e Vicario Provinciale dei Cappuccini di tutto il Regno Italico. Dopo la secolarizzazione fu chiamato a Roma, dove gli vennero offerti gli uffici di Procuratore Generale e di Generale di tutto l’ordine; il Papa gli offrì anche il Vescovato di Civittacastellana, ma con rara umiltà preferì ricusare i propostigli onori e rientrare nella solitudine della sua diletta cella, al SS. Redentore di Venezia.

Qui, vivendo nella più rigida osservazione della regola, benché già decrepito, seppe approfittare del molto credito che godeva presso Vescovi e magistrati, nel ripristino dei Cappuccini nelle province venete, riuscendo a vedere coronati di successo i suoi voti negli anni 1822-23 e ‘25. Molto prima della caduta di Venezia il nome di Padre Marino era celebre, tanto che ebbe ininterrottamente dal 1785 al ‘97 l’incombenza di predicare alla Serenissima Signoria nella Basilica di S. Marco. Fu letterato distinto, e parecchi dotti italiani mantennero con lui relazioni di studio. Morì a 82 anni in Venezia il 7 novembre 18271.

Luigi De Mejo di Antonio, nato il 25 dicembre 1865 e fattosi cappuccino col nome di Padre Paolo da Cadore. Studiò a Udine, a Bassano, a Padova e venne ordinato sacerdote a Venezia nel 1888. Coprì successivamente tutte le cariche della provincia e fu proposto per un vescovado, ma, ritenendosi indegno di tanto ufficio, ottenne di esserne dispensato. Di vasta erudizione specialmente in teologia, morale e diritto canonico, fu nominato per vario tempo esaminatore nella facoltà di diritto a Venezia. Si distinse anche per pietà profonda, e come superiore zelo l’osservazione della regola, con la parola e con l’esempio, arrestando l’introduzione di abusi. Visitò per l’ultima volta il paese natio nel 1923 e tornò al convento molto sconsolato, non senza aver pubblicamente espresso il suo dolore per le povere condizioni spirituali in cui aveva trovato la popolazione. Prostrato dalle privazioni della vita monastica e dai disagi e di una lunga residenza nell’isola di Cefalonia in qualità di Superiore delle Missioni Ioniche (1912-1922), morì improvvisamente il 13 gennaio 1930 a Venezia.

Luigi Barnabò di Gaspare, nato il 28 agosto 1867, si laureò in medicina e chirurgia all’Università di Padova. Esercitò a Candide, a colle Umberto e a Pieve di Cadore, dove morì il 25 agosto 1924. Professionista valentissimo, era assai conosciuto specialmente per i suoi meriti nell’arte chirurgica.

A Lozzo morì nel 1876, dopo esservi vissuto per 33 anni, il dottore naturalista Sebastiano Venzo, nativo di Vicenza (1815). Il museo di scienze naturali di Firenze possiede di lui un ricchissimo erbario. E si tiene pure onorata la Parrocchia di aver avuto per 27 anni (1872-1899) a suo Parroco il dottissimo Monsignor Gaetano Monti, da Auronzo, Arcidiacono del Cadore, tuttora assai vivo nel cuore dei lozzesi.

 

 

1Nella sagrestia della Parrocchiale si conserva un suo ritratto ad olio, copia di uno esistente nel Convento del Redentore in Venezia. Della vita del Padre Marino si conosce il seguente episodio, in buona parte confermato dagli Annali del Convento: Il 29 novembre 1807 capitò a Venezia Napoleone con numeroso seguito e volle visitare anche la chiesa ducale del Redentore. Ai cappuccini che l'attendevano sulla scalinata, chiese chi fosse il superiore. Gli si presentò il Padre Marino, allora Provinciale, il quale, rispondendo alle domande che l'Imperatore gli andava affabilmente rivolgendo sulle condizioni dei frati, della chiesa e del convento, l'accompagnò all'altar maggiore. Dopo di aver alquanto pregato e contemplato i bassorilievi, rivoltosi ai padri, Napoleone disse: Avete un bel tempio, sappiatelo custodire. Questo mio Ministro di Guerra domani vi darà 500 napoleoni: una quarta parte da dispensare ai poveri della Giudecca; altra quarta parte per i bisogni della chiesa, ed il restante a beneficio del convento. Padre Marino, giudicando opportuno approfittare dell'inattesa disposizione del donatore, si permise di chiedere: Sire, poiché Ella è tanto generoso, non sarebbe possibile che la Sua volontà fosse eseguita subito? Alle quali parole Napoleone, che aveva capito il pensiero del Padre, annuendo soggiunse: Ah, briccone d'un frate!... E la promessa venne tosto mantenuta.