You are hereLa Roggia dei Mulini lungo il Rio Rin / Il mulino "dei Pinza"
Il mulino "dei Pinza"
Il mulino oggi detto "dei Pinza" è riportato in un documento datato 28 agosto 1846, in cui si fa riferimento ad una precedente divisione del mulino tra Lorenzo Zanella fu Gaspare, Gaspero Antonio Zanella e fratello fu Zambatista, avvenuta il 21 marzo 1810 per attestare le medesime condizioni cui sono soggetti i comproprietari dopo l'installazione di un nuovo mulino, da parte di Bernardino Zanella, che ha aggiunto un nuovo "canaletto" ai tre esistenti. Nel 1903, come risulta dal "Registro dei Contribuenti delle imposte sui fabbricati", l'edificio ospitava due mulini: uno di proprietà di Zanella in Loda Gaspare e fratelli e sorelle fu Gio Batta e fratelli e sorelle fu Gaspare, e l'altro di Calligaro Bianco Lorenzo. Quest'ultimo, come risulta dalla domanda di concessione d'acqua ad uso industriale del 27 dicembre 1923, sfruttava un salto di 5,96 metri per produrre 3,7 HP medi nominali per azionare le macine da grano. Nel 1923 l'acqua derivata dal Rio Rin, dopo aver azionato i due opifici più a monte, per mezzo di una roggia lignea e di un salto di circa sei metri, cadeva sulle quattro ruote in legno esterne all'edificio, che in questo periodo ospitava al suo interno due mulini, rispettivamente di proprietà degli eredi Zanella in Loda Luigi fu Gaspare e di Calligaro Bianco Argentina fu Lorenzo. Pur essendoci quattro ruote e altrettante macine da grano, due per ogni proprietà, solitamente ne veniva utilizzata una per mulino. Dopo la seconda guerra mondiale all'interno del mulino venne collocata anche una piccola fucina da fabbro, dove si realizzavano oggetti in ferro a livello artigianale. Il trapano e il soffietto per la forgia sfruttavano il movimento di una delle due ruote che azionavano le due macine da grano. Entrambi i mulini cessarono l'attività verso gli anni '50. Attualmente la parte più a valle é proprietà di Da Pra Teodolindo, figlio di Giovanni Da Pra Pinza, da cui il nome del mulino, e al suo interno rimangono le due macine e il trapano. Sul lato sud-est vi era un altro edificio, di cui restano solo le tracce dei muri perimetrali, di proprietà di Da Pra Costantino fu Giovanni, utilizzato come "gualchiera", il come risulta dalla "Domanda di riconoscimento antico il diritto uso acqua dal Rio Rin per uso industriale", del 27 dicembre1923, Ufficio Genio Civile di Belluno. L'opificio, che già nel 1923 non aveva più la ruota idraulica funzionante, ospitava al piano terra l'apparato per la battitura e "digrassatura" dei tessuti; il meccanismo utilizzava la metà circa dell'acqua dei due mulini a monte e sfruttava un salto di circa 3 metri. In seguito alla costruzione della centralina Baldovin Carulli l'acqua utilizzata non veniva più derivata direttamente dal Rio Rin, ma l'opificio era alimentato dall'acqua di scarico della centralina.