Da 70 a 20 dipendenti. Impresa con brevetti internazionali va all’estero
di CARLO MELINA
“Mi chiamo Silvio, sono quello giusto”. Si presenta così il proprietario di FOVS, un’azienda impiantata a Lozzo di Cadore (BL) 45 anni fa: “Abbiamo due brevetti internazionali. Siamo stati i primi a fabbricare occhiali in fibra di carbonio e adesso, unici al mondo, riusciamo a farne con materiali vegetali, quali lino e canapa. Eppure… qui non abbiamo futuro” spiega, passando dal proverbiale entusiasmo del creativo, al rammarico con cui troppi veneti descrivono la propria condizione, costretti, da uno Stato nemico, a rinunciare all’impresa e, talvolta, a scappare.
Perché questo è quello che intende fare Silvio Dal Pra’ con moglie e operai, da quando ha conosciuto Andrea Zucchi, l’ideatore di Passaporto per la vita: “Fino a pochi anni fa davo da mangiare a 70 dipendenti e alle loro famiglie. Adesso, a lavorare per me, sono rimasti in 20. E non so per quanto. Gli altri, fortunatamente, hanno quasi tutti trovato una collocazione. Dove? In Friuli o in provincia di Bolzano, perché là il fisco e le insfrastrutture permettono ai miei colleghi di lavorare a condizioni che a me, in Veneto, sono precluse”. I problemi di Dal Pra’ sono quelli di tutti, già sentiti, già visti, eppure ancora lì, nell’indifferenza di chi dovrebbe risolverli.
“Non ho mai avuto casini con le banche, anche perché ho sempre investito soldi miei – ha detto oggi nella sede della FOVS, ai microfoni dei giornalisti che stanno realizzando “Via col Veneto”, fra modelli avveniristici, che lui vende all’ingrosso a 45, ma che al cliente finale arrivano a costare fino a quasi 400 euro. “Un politico di una Regione confinante, poco tempo fa, mi ha addirittura proposto di trasferirmi, ma ho rinunciato, nonostante mi avesse promesso sovvenzioni a fondo perduto. Ora però, c’ho ripensato. E intendo aderire al progetto di Passaporto per la vita. Non per spostarmi in Trentino o in Friuli, ma per abbandonare l’Italia. Uno Stato fallimentare con cui non voglio più aver nulla a che fare.”
Sul tavolino della sua scrivania, fra penne e matite, spunta una bandierina italiana: “Be’, questa è qui per caso. Era dentro un cocktail, che ho bevuto amaramente. Dello Stato non mi sono mai fidato troppo. Una volta avevo anche la bandiera della Lega, ma poi… ha visto come è andata a finire anche quella? Avrebbe dovuto aiutarci e invece si è mangiata soldi. Qui, in Cadore, quando piove si allaga tutto. Mancano strade e infrastrutture. A pochi chilometri, in Trentino, un minimo problema e arrivano i tecnici del Comune”.
Tra la disperazione e il riso, Dal Pra’ racconta una leggenda che rimbalza fra le valli: “Mi ha detto un amico ristoratore che in Pusteria, provincia autonoma di Bolzano, ai suoi colleghi l’amministrazione locale offre addirittura delle sovvenzioni per cambiare, ogni anno, piatti e posate… che poi, una volte usate, vengono rivendute sottobanco ai cugini poveri del Veneto, di qua dal confine”.
Cittadino di seconda classe, il veneto, secondo Dal Pra’, dovrebbe avere più forza: “Siamo tanto bravi a lavorare quanto a farci comandare. Ci hanno sempre descritto come dei poco di buono, degli stupidi, addirittura degli evasori. Forse bisognerebbe fare qualcosa insieme, ma io no, mi tiro indietro. Io ho incontrato una persona (Zucchi, ndr) che mi ha infuso una speranza nuova. E’ un grande comunicatore, un amico vero. Mi spiace, ma me ne vado con lui”.