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mappa Eurac della crescita demografica nei comuni dell’area ‘Alpi estese’ nel periodo 2000-2011
Per dare un quadro più definito nel confronto tra le dinamiche demografiche del Cadore e della provincia di Belluno nel suo insieme con quelle di altre aree montane alpine, torna utile avere a portata di mano la mappa realizzata all’Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio dell’EURAC che mostra in termini percentuali la crescita demografica annuale a livello comunale analizzati nell’arco temporale 2000 – 2010/11.
Nella mappa, presentata in questo articolo, sono evidenziati in marroncino-scuro i limiti dell’area di applicazione della Convenzione delle Alpi e in marroncino chiaro quella dell’Alpine Space Programme (Interreg), oltre ai limiti degli stati nazionali, delle relative regioni e province. Le zone in gradazione blu sono quelle sofferenti, quelle in gradazione rosso manifestano crescita superiore allo zero. E’ presentato il saldo demografico totale (non vi sono indicazioni riguardanti il saldo naturale e quello migratorio).
Dalla rappresentazione cartografica emergono alcuni punti principali, descritti nell’articolo lincato, che qui ho ulteriormente sintetizzato:
- Differenze internazionali di sviluppo: Esistono forti differenze tra i singoli Paesi, in particolare tra la Francia e i paesi limitrofi.
- Modello di sviluppo consolidato: Da un lato si sottolinea la crescita demografica nelle regioni metropolitane peri-alpine e nelle aree lungo le due principali arterie di traffico, dall’altro si evenienza un calo demografico nelle Alpi orientali austriache e italiane. La popolazione è in calo anche sul versante alpino piemontese e nei comuni non facilmente raggiungibili della Svizzera. Tuttavia si può notare che dal punto di vista demografico le Alpi non sono una regione particolarmente svantaggiata.
- Tendenze opposte: A essere colpite dal calo demografico non sono necessariamente le aree economicamente depresse.
- Aree di spopolamento: Negli ultimi dieci anni le principali aree di spopolamento sono state quelle incapaci di agganciare l’economia del terziario e inerti al punto da non riuscire più ad attrarre nuovi abitanti (Germania orientale, Alpi orientali, comuni mal collegati).
Qui di seguito propongo un estratto della mappa in cui ho evidenziato, solamente per una più chiara individuazione, i limiti delle province di Bolzano, Trento e Belluno. La mappa completa (con i limiti provinciali evidenziati) ad alta risoluzione è scaricabile a questo indirizzo oppure è consultabile e comodamente zoommabile a quest’altro indirizzo (la mappa originale è scaricabile sul sito EURAC all’indirizzo precedentemente segnalato). Segnalo inoltre l’articolo riguardante l’ultimo bilancio demografico per il Cadore (con i valori di confronto delle aree contermini).
MW sul marchio ‘Dolomiti Unesco’: Bene il turismo, male l’ambiente (ma dov’è tutto sto bene?)
Secondo quanto espresso dal quotidiano Alto Adige, interpretando un’analisi-“pistolotto” di Mountain Wilderness, il marchio “Dolomiti Unesco” funzionerebbe bene come veicolo di marketing territoriale, concetto condensato nel titolo “Bene il turismo“:
I 5 anni delle «Dolomiti Unesco» Bene il turismo, male l’ambiente
Analisi impietosa di Mountain Wilderness. «Un “brand” che funziona come marketing territoriale ma che non riesce a fermare le devastazioni e l’assedio del traffico, specialmente in Alto Adige»
[…] Insomma le Dolomiti, continuano a godere del marchio che l’Unesco ha conferito il 26 giugno di cinque anni fa. Ma i benefici – allo stato attuale – sembrano soltanto per il settore turistico. Il “marchio” paga, e bene. Ma restano tutti i problemi, e molti sono rilevanti, rimarcati da Mountain Wilderness. Non c’è soltanto il traffico a condizionare il futuro dei Monti Pallidi. Ci sono anche gli attacchi – spesso sconsiderati – al territorio. E c’è, soprattutto, chi vive nel cuore delle Dolomiti e che, in questi cinque anni, di giovamenti non ha avuto neppure il sentore.
Resta un fitto mistero la modalità con la quale il marchio “Dolomiti Unesco” funzionerebbe come marketing territoriale. E considerando che, a quanto pare, funzionerebbe bene, visto che “il marchio paga, e bene“, il mistero diventa ancor più fitto.
Perché non v’è ragione di credere che il marchio “Dolomiti Unesco”, anche nel paradiso altoatesino, sia portatore – per ora – di grandi soddisfazioni. Se poi apriamo le porte dell’inferno bellunese (non esiste un purgatorio, fatevene una ragione), le supposte ragioni si dissolvono … divorate dalle fiamme. Quello che segue è il grafico dell’andamento delle differenze percentuali nelle presenze turistiche totali di ogni singolo anno rispetto al 2000 preso come anno base nei vari comprensori turistici dell’Alto Adige, nel STL Dolomiti e altre ripartizioni relative al Cadore (CC+CO+VB= Centro Cadore, Comelico-Sappada, Val Boite).
Ho evidenziato con una campitura rosa gli anni dall’attribuzione del riconoscimento Unesco (giugno 2009), con una campitura verde un pari numero di anni precedenti quell’evento. Nel paradiso – Alto Adige – la crescita c’era anche prima (semmai più accentuata); nell’inferno – provincia di Belluno – il declino c’era anche prima e perdura, ostinatamente perdura, anche con l’arrivo della patacca dell’Unesco; non v’è alcun segno di un’inversione di tendenza. Sappiamo che la crisi pesa soprattutto sugli italiani, sappiamo che “guai non ci fossero gli stranieri”, ma dire che il marchio “Dolomiti Unesco” funziona come marketing territoriale è una coglionata, tanto in paradiso quanto all’inferno.
Se si va a prendere il dettaglio”più dolomitico” anche per il paradiso altoatesino, considerando le presenze in Alta Pusteria, la situazione non cambia. Se poi si va a vedere analiticamente la cosa, si scopre che negli ultimi 4 anni – quelli del marchio “Dolomiti Unesco” – l’incremento delle presenze in Alta Pusteria è stato pari a 43.710, mentre nei 4 anni precedenti (dal 2005) l’incremento è stato di 108.177 presenze. Punto. Tutto il resto è narrativa.
previsioni demografiche al 2030 in Alto Adige: un canuto ottimismo (in Cadore? funesto incubo)
Nell’Alto Adige la popolazione salirà, anche se dal 2020 il saldo naturale sarà anche in questa terra negativo (da noi lo è da 60 anni). E tuttavia c’è di che “mettersi a piangere” (con canuto ottimismo…) nel leggere ed interpretare certi risultati della previsione sull’andamento demografico fino al 2030 per l’Alto Adige (che ha appena finito il 2013 con un incremento di 11,9 persone per 1.000 abitanti).
Immaginate quale funesto incubo possa essere la valutazione della situazione cadorina che nel saldo di settembre, con previsioni a fine 2013, dava per il Cadore un decremento demografico di 4,9 persone per 1.000 abitanti e per il Centro Cadore un decremento di addrittura 8 per 1.000 (a giorni dovrebbero uscire i dati, ora fermi a novembre, che, pur non definitivi, permetteranno di chiudere e consuntivare l’anno).
Secondo il nuovo modello di previsione demografica dell’ASTAT – Istituto provinciale di statistica – la consistenza della popolazione residente totale passerà dalle iniziali 514.516 unità iscritte nei registri anagrafici comunali al 31.12.2012 alle 564.586 nel 2030, evidenziando un incremento del 9,7%. Dal 2020 l’aumento della popolazione sarà da ricondurre esclusivamente al saldo migratorio. L’invecchiamento della popolazione sarà sempre più evidente: nell’anno 2030 una persona su tre avrà un’età di 60 anni o più. (comunicato ASTAT)
I principali risultati della nuova previsione demografica sono (tratto da “Previsione sull’andamento demografico fino al 2030” dell’ASTAT):
- la popolazione altoatesina aumenterà leggermente, ma dal 2020 circa l’aumento sarà da ricondurre esclusivamente al saldo migratorio. A quel punto il numero dei decessi supererà quello delle nascite e il saldo naturale risulterà negativo;
- invecchiamento demografico accelerato;
- netto aumento dei decessi come conseguenza diretta dell’invecchiamento della popolazione. Dall’inizio del secolo le classi di età più consistenti si avvicinano sempre di più alle età avanzate e hanno perciò un rischio di mortalità più alto;
- aumento notevole dell’indice di vecchiaia, cioè del rapporto tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e quella giovane (0-14 anni). Nel 1986 l’indice era pari a 59,4 e fino al 2030 salirà a 170,8. Ciò significa che ogni 100 persone giovani sotto i 15 anni ci saranno 170 persone anziane di 65 anni e oltre;
- aumento dell’indice di dipendenza degli anziani, cioè del rapporto tra le persone ritirate dal lavoro e le persone in età lavorativa. La popolazione in età lavorativa sentirà in futuro sempre di più il peso degli anziani: se nel 1986 per ogni 100 persone in età lavorativa (15-64 anni) c’erano 16,8 anziani (65 anni e oltre), nel 2030 l’indice salirà a 40,1;
chi meglio dell’Europa può garantire l’autogoverno dei territori alpini? La Svizzera!
Traggo da un articolo di Annibale Salsa ospitato su “La Nostra Autonomia”:
[…] Chi meglio di un grande contenitore come l’Europa (un’altra Europa, beninteso!) può garantire l’autogoverno di territori fragili come quelli alpini? La funzione di cerniera delle Alpi è, infatti, incompatibile con soluzioni nazionalistiche che vadano verso il rafforzamento della sovranità nazionale. Senza un’Europa sovranazionale non ci può essere spazio per i piccoli territori delle Alpi come il Trentino. Se non si costruisce una nuova Europa unita e senza frontiere interne, tutto sarà permesso.
(“un’altra Europa, beninteso!”
certo, è sempre un’altra Europa. Quando l’hanno fatta già la si voleva diversa, ma intanto quella era. Poi passano gli anni e tutti a dire, tutti, questa non è l’Europa che vogliamo. L’ho detto anch’io eh, perché è vero: non è questa l’Europa che vogliamo ma, cacchio, questa è l’Europa che ci hanno dato, visto che nessuno di noi l’ha scelta. Passano ancora un po’ d’anni e… vogliamo un’altra Europa, perché quella che avevamo tanto voluto – prima – non c’è ancora, ma mica per colpa nostra eh! … e così via e sia, amen!)
Ma nell’articolo c’era qualcos’altro che istintivamente non mi convinceva; riuscivo a percepirne i contorni ma non a materializzarne il contenuto, che mi sfuggiva. Poi nel sogno, quella notte, ho visto chiaramente una croce bianca in un campo rosso e la mattina mi sono svegliato con un nome in testa:
Svizzera!
E a quella domanda salsiana…
“Chi meglio di un grande contenitore come l’Europa (un’altra Europa, beninteso!) può garantire l’autogoverno di territori fragili come quelli alpini?”
finalmente, avevo trovato risposta.
Semplice come l’acqua: la Svizzera. La Svizzera che con l’UE c’entra come i cavoli a merenda.
(che poi l’Italia ha foraggiato per anni le due autonomie – trentina ed altoatesina – senza alcun bisogno dell’Europa – anzi, nonostante essa -; autonomie che solo ora, da poco, camminano con le proprie gambe in termini di residuo fiscale, confutando con ciò l’affermazione secondo la quale “Senza un’Europa sovranazionale non ci può essere spazio per i piccoli territori delle Alpi come il Trentino”; chiedete a un bellunese qualsiasi…).
E dal bosco sento già giungere i commenti degli elfi: “eh ma la Svizzera non vale …“; calma elfi: la mia, è un’altra Svizzera, beninteso!
(foto: lecasame)
l’intervento di Diego Cason al 2° congresso del BARD
“non acceto che il governo centrale decida di dare rappresentanza elettiva solo a chi sta in area metropolitana …”