Non che ce ne fosse bisogno, ma ecco l’ennesima prova delle “anse” del cazvolo (l’Ansa è cliente fisso del BLOZ da mo). L’incendio, sviluppatosi sul Col Rosà, sarebbe stato segnalato da alcune persone che, dal Col Rosà (medesimo), “avevano sentito provenire un forte boato…”. E già qui si manifesta una qual forma di confusione.
Confusione che diventa disorientamento, se non totale smarrimento, quando l’incendio viene collocato, badate bene, 600 metri sopra Ospitale di Cadore, “tra la Croda de R’Ancona e Zuoghi”: un classico pot-pourri dell’Ansa tra realtà e fantasia.
Realtà: verosimilmente, alcune persone che si trovavano sul Col Rosà, dal medesimo, quindi dal Col Rosà, hanno sentito dapprima uno scoppio e successivamente hanno visto alzarsi del fumo da una zona sopra Ospitale (Ospitale sì ma non di Cadore, il quale si trova a 35 km circa dal luogo dell’incendio: l’Ospitale di questa circostanza è quel luogo lungo la S.S. 51, tra Cimabanche e Podestagno, dove sorge l’albergo/ristorante Rifugio Ospitale), zona che si trova effettivamente tra la Croda de r’Ancona (ra Ciadenes sarebbe ancora meglio) e i Śuoghe (Zuoghe-Zuoghi).
(ci sarebbe poi la mai risolta questione storico-geografica della “dicotomia” Cadore-Ampezzo, ma non son cose da Ansa)
Ieri al Nord-est, complice un gazzettino.it in gran spolvero, ci siamo fatti una bella risata:
Nasa in allarme, la Stazione internazionale attaccata da insetti spaziali: «Corrodono il metallo»
Poi un minimo di decenza deve averli indotti a mettere gli insetti spaziali tra virgolette e, alla fine, a declassificarli in batteri e funghi (trifolati?) gettati insieme agli altri “microrganismi che vivono a bordo della base spaziale”. Va detto che quelli del gazzettino l’hanno preso paro paro dal messaggero.it, il fratellone maggiore (vedi alla voce Caltagirone), per frullarlo in queste lande: a puttanata donata non si guarda in bocca (tanto più se è di famiglia).
Fa ridere anche la scelta di ficcare la notizia nella categoria Tecnologia, oltre a scomodare il tag insetti (caso mai voleste “approfondire”). Succede quando usi Google Translate alla cazzo.
Dunque, si tratta del maltempo e il TGR33 Rai Nevetotuitta la sua. Misurina, grazie probabilmente alla misura tonda tonda, gode del privilegio di vedersi espressa la quantità di neve caduta in unità del Sistema Metrico Intergalattico: 1 mt. (peraltro puntato). Al mitico Passo Ra Valles invece, conosciuto come tale fin dai tempi dei neanderthal, il di lì yeti aveva messaggiato, oltre al metro tondo tondo, anche i rotti, costringendo la redazione ad adottare la terrestre unità di misura cm (1,02 mt. sarebbe stato effettivamente da zoticoni).
Dopo aver dato il metro di neve, nel dubbio, la solerte redazione insiste: “Nevica sulle Dolomiti venete”. Meglio abbondare. Provvidenziale la segnalazione di “Problemi alla viabilità tra Cortina e Misurina (sperando che quelli del CIO siano stati da ciò distolti, nel frattempo, dalla effervescenza dei valtellinesi ai quali stavano facendo visita).
Non sappiamo se i problemi di viabilità fossero da ricondurre alla valanghina d’ordinanza o alle papere in attraversamento stradale. Più in generale, che cavolo te ne fotte attè della viabilità tra Misurina e Cortina quando lunghi tratti delle strade che conducono ai passi Cereda, Duran, San Pellegrino, Pordoi, Falzarego, Ciampigotto, Giau, Fedaia, Valles, Val Parola e, per l’appunto, Tre Croci tra Misurina e Cortina, sono ancora interdetti per ordinanza prefettizia?
Ripartiamo da dove eravamo rimasti: alla superficiale ignoranza dei fatti legati alla storia del rifugio Ciareido espressa da Telebelluno, si affianca quella del sindaco intervistato. Premessa: CAI, lo sapete tutti, sta per Club Alpino Italiano; GSC, invece, sta per grande sforzo collettivo (entità vagamente junghiana).
Anche il borgomastro inizia scivolando sul “torna“: “Finalmente il rifugio Ciareido… torna nelle disponibilità del paese” (vedi link a inizio articolo). Poi, su sollecitazione del Cecchella che chiede una breve storia dell’ex presidio militare, continua (neretto mio):
Il bene rifugio Ciareido dopo la Grande Guerra è stato abbandonato (era rimasto…) era diventato un ricovero di pastori e di animali finché con un grande sforzo collettivo nel paese di Lozzo di Cadore decisero di riprenderlo e di dargli una nuova vita, una nuova veste.
Riprenderlo? Edddajje (prendere di nuovo, prendere un’altra volta… una cosa che non è mai stata tua?). Ma questa è un’inezia, veniamo al dunque.
Riferirsi a quell’evento definendolo genericamente un “grande sforzo collettivo” mette in mostra una certa ignoranza dei fatti. Nel 1973, anno nel quale si inaugurò il rifugio come tale, il nostro era senza dubbio in altre faccende affaccendato. E anche in seguito, quando ebbe modo di accasarsi in queste lande, non deve aver trovato adeguati stimoli che lo spingessero ad approfondire le vicende storiche legate a quel “ex presidio militare”. Del resto pare che anche i locali a lui vicini, evidentemente storditi dalla stessa ignoranza dei fatti, non abbiano saputo/potuto consigliarlo/ragguagliarlo a dovere.
Quello che il sindaco definisce grande sforzo collettivo ha un nome e un cognome: sezione del Club Alpino Italiano di Lozzo di Cadore, con tutti gli uomini che le hanno dato vita allora, 1971, e quelli che l’hanno mantenuta attiva fino ad oggi.
Ammesso che quell’impegno si possa anche definire “grande sforzo collettivo” (non mi addentro nell’esoterica indeterminatezza dell’espressione “nel paese di Lozzo di Cadore decisero” sennò va a finire che tiro fuori gli ultracorpi…), nessuno deve dimenticarsi che quello sforzo ebbe una sola regia e una sola assunzione di responsabilità, tanto nell’ottenere dal Demanio la concessione dell’edificio, quanto nel salvare dall’abbandono, recuperare e ristrutturare il medesimo alla nuova destinazione d’uso di rifugio alpino. Regia e assunzione di responsabilità con le quali la sezione di Lozzo di Cadore del Club Alpino Italiano ha convissuto per 45 anni, tanto è ad oggi il tempo passato dall’inaugurazione del rifugio, garantendo i lavori di adeguamento e le manutenzioni resesi via via necessarie (certo, attingendo anche a fondi pubblici, regionali e comunali).
E il fatto che il borgomastro ricordi a un certo punto dell’intervista che il rifugio “era un bene demaniale dello Stato e per tanti anni è stato ben gestito dal Cai di Lozzo, finché a un certo punto con la normativa […]” semmai accentua l’alone di ignoranza dei fatti perché nell’ascoltatore si può agevolare l’impressione che il Cai, pur avendolo gestito “per tanti anni”, ad un certo punto si possa essere disimpegnato (e comunque attenzione!, perché gestire vuol dire “condurre, amministrare” non salvare dall’abbandono, recuperare, ristrutturare che sono invece atti fondativi).
Costava troppo sforzo dire che, dopo averlo salvato dall’abbandono, recuperato e ristrutturato, il Cai ne ha gestito le sorti anno dopo anno fino ad oggi, 45° anno dall’inaugurazione?
Sul passaggio di proprietà del rifugio Ciareido dal Demanio dello Stato al Comune di Lozzo avevo già scritto due righe qui. Mi sono poi imbattuto nel video di TeleBelluno che racconta la notizia urbi et orbi intervistando il sindaco di Lozzo. Capirete, non mi potevo esimere dall’evidenziare come tanta ignoranza possa essere espressa via etere.
Cecchella, suvvia! Dice il nostro che
l’edificio che ospita il rifugio Ciareido a Pian dei Buoi fu ideato come ricovero militare e punto di osservazione all’inizio del 1900.
Domanda: come si fa a ideare “all’inizio del 1900” un manufatto costruito nel 1890, cioè perlomeno 10 anni prima? Sto qua si dev’essere confuso con la Montiglio, il Casermona.
Questo sfasamento temporale comporta l’emissione di altra imprecisione:
Dopo un secolo torna di proprietà della comunità di Lozzo di Cadore.
Facciamo due conti: 2018 (anno corrente) meno 1890 (anno di costruzione del ricovero) comporta, sul pianeta Terra, una differenza di 128 anni (minuto più, minuto meno), cioè 28 anni in più rispetto al secolo (capisco i servizi un tanto al chilo, ma così mi sembra davvero un po’ troppo). Non sarà sfuggito ai più lesti che l’omo ha misurato il tempo dalla fine della Grande Guerra (come se la fine di quella guerra corrispondesse a un “tana libera tutti”): ma allora dillo no!
Inoltre, il nostro ci dovrebbe spiegare perché, parlando del rifugio -cioè dell’edificio-, usa l’espressione “torna di proprietà“: il terreno sì, torna di proprietà, ma l’edificio non è mai stato nostro quindi non torna (può andar bene diventa di proprietà?).
Per le emissioni del borgomastro… prossimamente su questi pixel.
Fubini che si arrampica sugli specchi, Gabanelli che (in economia) non ne indovina una che sia una, e da ultimo la culculia (calcoli fatti col culo). Oltre al raddoppio 50percentesco ci sono anche gli anni che si sono allungati a 4. Discalculia autodimostrante. Me cojoni, direbbero a Oxford.