Dopo essere stato, suo malgrado, latore di importanti news riguardanti i prossimi destini del traffico sui trapassi dolomitici, lo studioso feltrino – Cesare Lasen – si avventura nella seconda parte del soliloquio, sempre a nome e per conto degli uneschi della fondazione, su di un terreno a lui meno ostico.
Il nostro non ha dubbio alcuno: “bisogna pagare il montanaro perché sfalci il territorio“. Che detta così, papale papale, suona come una gigantesca cavolata . Non c’è nessuno al mondo, eccettuata Las Vegas, che pagherebbe qualcun altro per sfalciare i prati (intendo in senso sistematico). Quel che si sa è che se non c’è un’agricoltura di montagna ben piantata, funzionante, col cavolo che risolvi il problema dello sfalcio dei prati.
L’agricoltura di montagna valutata a prezzi di mercato lavora sostanzialmente in perdita (quasi tutti i settori), ed è per questo che viene sussidiata (come gli impianti fotovoltaici: se non li sussidiassero chi è che ne installerebbe uno?). Che poi il torrentello dei sussidi lo si faccia provenire dalla roggia della fiscalità generale piuttosto che da quella del turismo alberghiero, che dai prati di smeraldo trova giovamento, ha poca importanza. Naturalmente Lasen questo lo sa, ma va detto chiaramente.
Non va pagato il montanaro, insomma, va pagata l’agricoltura di montagna, cosa assai, assai diversa. A forza di pedate nel culo il montanaro lo stani e lo porti anche in mezzo al prato, ma è l’agricoltura di montagna che non nasce appiccicando un’etichetta sulla carta intestata o esponendo un’insegna agroturistica dove fino a ieri c’era l’abbandono.
Dice lo studioso che “Anche il Veneto, come l’Alto Adige, dovrà arrivare allo stanziamento di fondi per lo sfalcio“: chi è che glielo va a dire al bimbominkia Renzi e al suo scudiero ignorantone Delrio che di quegli 80 euri (senza coperture) promessi al volgo ce ne dovremmo trattenere almeno 5 per finanziare l’impresa dello sfalcio? O mandiamo qualcuno a modificare le modalità di erogazione della cassa integrazione in deroga? Mettiamo le mani in tasca agli incapienti (visto che il bimbominkia si è scordato di loro… diamogli il colpo di grazia)? Chiamiamo Zanonato come consulente ed emettiamo obbligazioni pro-sfalcio (come quelle che voleva introdurre per spalmare su più anni a venire gli incentivi al fotovoltaico finora incautamente elargiti)?
O vorrebbe, lo studioso, aprire allo scopo il capitolo del residuo fiscale del Veneto? Non siamo ancora riusciti a scucire un boro alla fogna italica, chissà, magari evocando la necessità dello sfalcio …!!
Da sottolineare che anche Lasen se n’è accorto e denuncia “l’assenza della Provincia”; dubita, ma non può che avere fiducia, del nuovo ente provinciale (quello non elettivo, il consorzio di sindaci, inventato dal bimbominkia di cui sopra e dal suo sodale ignorantone). Ultima noterella: non sembra proprio che l’aria che tira alla Fondazione Unesco faccia un granché bene, eh!
Ma questa non è l’unica preoccupazione che si pone la Fondazione. E che si porrà nei giorni dell’approfondimento, prima a Cortina e poi a Santa Giustina. Ci sono documenti predisposti che pongono a tema altri provvedimenti, come quello dello sfalcio dei prati (e non solo) in quota. Quest’estate, in val Badia, si svolgerà il primo festival delle Dolomiti sulla fienagione. Un’attività, si badi, che nel Bellunese è andata persa. Non ha dubbi, in proposito, Lasen: bisogna pagare il montanaro perché sfalci il territorio. «Io ho dei prati vicino a casa», racconta, «e ogni anno spendo ben 1300 euro per segarli a dovere e trasportare a destinazione l’erba».
Anche il Veneto, come l’Alto Adige, dovrà arrivare allo stanziamento di fondi per lo sfalcio, «se vogliamo presentare un ambiente davvero accogliente, e non abbandonato a se stesso, come da troppi anni vediamo».
Ma la cura dei prati e dei pascoli è indispensabile, secondo Lasen, anche per assicurare la biodiversità, un patrimonio prezioso che altrimenti si perde. Ecco, dunque, il problema delle indennità compensative. E a proposito di questo problema, come di altri, Lasen denuncia «l’assenza della Provincia. Non c’è un’autorità a cui appellarci per questo ed altri temi di stretta emergenza ambientale. Vedremo se il nuovo ente di cui si parla sarà sufficiente a darci le garanzie che cerchiamo. Ho qualche dubbio. Non possiamo, però, che avere fiducia».