Va detto, pur avendolo fatto ampiamente in passato, che a seguito della negazione da parte della Consulta dell’indizione del referendum provinciale per l’autonomia promosso dal Comitato Belluno Autonoma (oggi Movimento BARD), qualsiasi altro referendum comunale che tenda a dimostrare il disagio (ad essere eufemistici) in cui versa la Provincia di Belluno è non solo bene accetto ma doveroso. Ma le cose van dette per quello che sono, senza arrampicarsi sugli specchi per trovare una inutile, oltre che insensata, giustificazione storica alla scelta referendaria.
Anche se eravamo ancora lontani dal solstizio d’estate, era infatti il 3 giugno, la sindaca di Pieve di Cadore si era presa un bel colpo di sole, dal BLOZ prontamente segnalato, allorquando parlando del referendum secessionista che intendeva promuovere per passare in Friuli dichiarava che:
«Il Cadore, fino al secolo scorso, ha sempre fatto parte del Friuli, tramite il Patriarcato di Acquleia. […]
Il dominio “feudale” del Patriarcato sul Cadore ebbe infatti fine nel 1420 quando quest’ultimo dichiarò la sua sottomissione alla Serenissima, mentre la sola autorità ecclesiastica si manifestò fino al 1751, anno in cui si dissolse, pur restando Pieve ed il Cadore – fino al 1847 – dipendenti dalla diocesi di Udine (per inciso, la “cq” di Acquileia nella citazione è del Corriere: nessuno è perfetto).
La prima cittadina ebbe poi a subire un estemporaneo sdoppiamento della personalità quando, il giorno dopo, dichiarò al Gazzettino che quella del referendum per il passaggio in Friuli era solo una provocazione, se è vero come è vero che disse:
«Non mi sto muovendo per passare ad altra Regione»
Alla fine, ricorderete, si decise per il “sì, vogliamo indire un referendum per chiedere il passaggio alla regione FVG”. La richiesta però, che inizialmente era stata lanciata a tutti i comuni della provincia di Belluno, si era ridimensionata alla chiamata in causa dei soli comuni del Cadore. La cosa migliore, ne converrete, è che il comune di Pieve, che confina direttamente con il Friuli, si faccia il suo bel referendum dal quale poi noi tutti potremmo trarre le dovute conseguenze.
Recentemente la sindaca si è recata ad Udine in Provincia per parlare con il presidente Fontanini. Non c’è niente da fare, si è attaccata come una cozza alla faccenda del Patriarcato d’Aquileia e alle affinità che unirebbero il Cadore al FVG, proprio in virtù delle radici storiche che al Patriarcato ci legherebbero (le quali radici tuttavia, come ricordato, vengono troncate nel 1420).
Quindi, cari pievesi, sappiate che è in virtù di questa affinità se ora vi si chiederà il voto per saldarvi al FVG. Riesco ad immaginarmi i più accaniti baciapile, pieni di rancore per essere stati strappati nel 1847 alla diocesi di Udine, covare segretamente il loro “irridentismo” religioso in attesa del “solenne momento” in cui le loro aspirazioni di credenti – mai domi – troveranno unitario covo.
Una questione di affinità che affonda le proprie radici nel Patriarcato di Aquileia quella che anima Pieve di Cadore a voler lasciare il Veneto per annettersi al Friuli Venezia Giulia. Lo hanno ribadito a palazzo Belgrado il sindaco della cittadina Maria Antonia Ciotti e il referente del comitato referendario per l’annessione Osvaldo De Lorenzo nel corso dell’incontro con il presidente della Provincia Pietro Fontanini. “Saremmo molto felici se voi poteste venire con noi – ha detto il presidente – la vostra zona è davvero notevole sotto molti punti di vista: quello economico e quello paesaggistico solo per citare i principali”. […]
Il dialogo fra Fontanini e la Ciotti sembra ricalcare quello fra due piccoli monarchi intenti ad architettare un regale matrimonio tra le proprie discendenze: “Saremmo molto felici se voi poteste venire con noi”. E qual galanteria dimostra di avere l’udinese: “la vostra zona è davvero notevole sotto molti punti di vista: quello economico e quello paesaggistico solo per citare i principali” (quello demografico, magari, esaltante come un’invasione di cavallette). Fortuna che non ha chiesto … “quante divisioni avete?“.
Messe da parte le logiche ed ovvie necessità di confine, bisognerebbe guardare al reale “stato della montagna“. E la montagna del FVG, nonostante sia essa regione a statuto speciale, non mi sembra che versi in migliore situazione di quella veneta (il ché è tutto dire), che regione speciale non è (non ancora). Altro discorso è la gestione che della montagna fa l’Alto Adige, essendo essa su un altro pianeta rispetto a tutto il resto. Ma, si sa, è meglio guardare alle affinità avute fino al 1420 (mi sembra ieri …) piuttosto che a quelle eventualmente alimentabili e sinergizzabili oggi con chi … di montagna se ne intende per davvero.