neanche il ‘Parco della Memoria delle Tre Cime’ se la passa tanto bene…
I Parchi della Memoria, anche solo limitandosi alla provincia di Belluno, sono milioni di milioni. Oltre a quello di Pian dei Buoi, sulla cui vergognosa e perdurante condizione s’è già detto, v’è per esempio quello “delle Tre Cime”.
Qui, nel vetusto progetto Interreg “I luoghi della Grande Guerra in provincia di Belluno“, che ha dato origine ai Parchi della Memoria (PdM), erano previsti due percorsi di visita (qui il pieghevole in pdf): quello chiamato “Forcella Lavaredo” e quello chiamato “Quota 2385 ai Piani di Lavaredo”.
Il 99,9% dei lavori (compiuti dai Servizi forestali della regione) interessarono il secondo, quello “Quota 2385”, mentre il primo venne solo descritto (e lo 0,1% corrisponde, più o meno, alla posa di una tabella), ché non c’era altro da fare.
La prima parte del percorso “Forcella Lavaredo” altro non è che il cosiddetto sentiero d’arroccamento approntato dagli italiani all’epoca della Grande Guerra; dai pressi del Sasso di Landro corre verso est alla base delle pareti meridionali delle Tre Cime (in parte in galleria e il resto sui ghiaioni) fino a giungere all’estrema propaggine rocciosa di queste ultime, la cosiddetta Minima (scheggia della Cima Piccolissima alla quale erano incastonati gli scudi dello stante n.12, che segnavano la linea di confine determinata nel 1753 tra la Serenissima e il Tirolo ), prospiciente forcella Lavaredo.
Questo percorso di visita (del PdM) che transita a “quattro passi” dal rifugio Auronzo, comunque a carattere escursionistico, tanto affascinante quanto appagante, si percorreva con scioltezza (se non proprio disinvoltura) lungo tutto il tracciato. Oggi non più.
Qualche evento meteorico di una certa esuberanza ha scavato un rosario di sei-sette canaloni (preesistenti) abbastanza profondamente da ostacolare la progressione, in particolare all’inizio quando dagli avancorpi del Sasso di Landro si cala in direzione del rifugio.
Niente che non si possa affrontare, sia chiaro, pur mettendo in conto qualche “ranon” che su quel terreno “infido” è quasi obbligatorio, tanto più se si è partiti a Malga Rinbianco e quindi si hanno già 700 m di dislivello nelle gambe (il classico “anello” di visita inizia a Malga Rinbianco, sale al Col di Mezzo e quindi all’avancorpo del Sasso di Landro, percorre il sentiero di arroccamento, torna ai Piani di Longeres e si chiude raggiungendo nuovamente la malga attraverso la Val de l’Aga).
Insomma: di una sistematina, una limatura, un raccordo “calanchivo” si sentirebbe quasi la necessità: in fondo è uno dei percorsi di visita del PdM dell’area Tre Cime (ma-chi-ttte-conosce!).
(prima però bisognerà che gli auronzoli – i nani d’Auronzo – prendano coscienza dell’esistenza di Biancaneve (PdM); solo dopo potremmo, eventualmente, vederli all’opera; sembra invece che i lozzoli – i nani di Lozzo – questa presa di coscienza l’abbiano maturata, sicché la Biancaneve lozzese dovrebbe ricevere quanto prima le necessarie attenzioni; se così non fosse il fardello toccherebbe al principe azzurro…)