Il servizio Alert di Google mi recapita giornalmente una selezione di ricerche per parola chiave: tra le varie, ieri m’è arrivata questa perla. L’argomento è il “compra italiano”, slogan ciclico che è solitamente brandito dai Fratelloni d’Italia per titillare il gregge, ma che è utilizzato anche dal letame piddino e dalla feccia pentastallata (da stalla, di stella non c’è più niente). Slogan declinato a livello più local, vedi compra veneto, anche dai legaioli.
Ordunque, ecco lo slancio patriottico:
Il decreto Cura Italia è un piccolo cerotto contro questa enorme piaga che ci sta colpendo, e tutti noi deputati dobbiamo lavorare per migliorare il provvedimento e aiutare le nostre imprese e le famiglie italiane». Cominciando, ad esempio, dall’acquisto di prodotti italiani. De Carlo lancia un appello: «Quando andate a fare la spesa, uno per famiglia, comprate italiano: siamo l’eccellenza eno-gastronomica, agricola, lattiero-casearia a livello mondiale, possiamo rialzarci anche questa volta. Comprando italiano acquistiamo prodotti di qualità e aiutiamo i nostri produttori in questo drammatico momento».
Lo slogan, di per sé vuoto e senza alcun senso nel corso della vita normale, durante fasi emergenziali come l’attuale fa tuttavia tenerezza. Anche perché lo slogan è poi ripreso da uno stuolo variopinto che, dopo il primo belato lanciato dalle pecore per qualche ragione più in vista, è ripreso dal resto del gregge fino a montare in sinfonia autarchica.
Prima di andare all’asilo impari che un prodotto/servizio viene comprato perché soddisfa un bisogno. Se tu compri quel prodotto, lo fai perché quel prodotto soddisfa, meglio di altri, un tuo bisogno. La soddisfazione è un mix di prezzo, qualità, velocità di consegna, eventuale assistenza pre e post vendita, influenza pubblicitaria e bla, bla, bla.
Poi, tra il primo e il secondo anno di asilo, impari che se la popolazione di ogni stato comprasse solo i prodotti fatti nel proprio stato le esportazioni non esisterebbero. Al terzo anno impari che l’Italia è un paese eminentemente esportatore: senza esportazioni, cioè i prodotti che qualcun altro compra da te, l’Italia si accartoccerebbe. Ovviamente non c’è alcun obbligo di reciprocità: se gli altri comprano i tuoi prodotti non sei obbligato a comprare i loro (a meno che non soddisfino i tuoi bisogni meglio di altri).
Del resto, tutta l’energia che è necessaria per mantenere il comparto agro-alimentare italiano viene tratta dalla biodigestione delle deiezioni canine, raccolte da ogni angolo dello stivale e portate ai biodigestori regionali tramite corriere espresso. E come la mettiamo con la pasta “italiana” fatta con grano… ehm… ebbene sì, importato? Con il grano prodotto su suolo italico si produce la pasta da noi consumata in quattro mesi quattro. E durante gli altri mesi che facciamo? Eia, Eia! Alalà! e ci lanciamo con un’intrepida incursione in territorio ostile a strappare gli steli dorati?
Detto ciò, vale la pena ricordare che l’agro-alimentare è un settore a basso se non bassissimo valore aggiunto. Ciò vuol dire che se per un motivo qualsiasi devi stringere la cinghia, del grasso di Colonnata te ne frega niente, perché quello che ti serve – proteine, grassi e carboidrati – li trovi dovunque.
Visto che ci siamo, vale la pena ricordare che un altro settore a basso valore aggiunto è il turismo. Eh sì, ce la meniamo tutto l’anno con la storiella del turismo-petrolio-d-Italia, ma non ci entra in testa che il settore è da terzo mondo: se prendi un paracarro e gli insegni due ricette, quello dal giorno dopo ti fa ristorazione. Se prendi un coglione qualsiasi che ha a disposizione qualche stanza libera, dal giorno dopo ti fa accoglienza: stai di più a schioccare le dita. Per fortuna abbiamo anche punte di diamante nel settore dell’alta tecnologia, primo fra tutti quello lattiero-caseario.
Poi c’è anche quello che ti dice non solo di comprare prodotti italiani, ma di farti anche la vacanza in Italia. Un altro che ha capito tutto.
(se tu non compri la feta greca, non ti lamentare poi se il greco preferisce la Sierra Nevada alle tue Dolomiti: il prodotto non è la Sierra e non sono le Dolomiti: il prodotto è la vacanza, e io in vacanza vado dove cazzo mi pare, ooops, vado dove i miei bisogni vengono soddisfatti al meglio)
Se il #compraitaliano si riferisce ad uno stato “emergenziale” si può anche capire, ma la storiella deve durare due giorni, due settimane, facciamo un mese, poi torna ad essere quella che è: una grande e strepitosa stronzata.