di Lozzo, il più giovane abbattitore del Cadore
Giunto in casa il Cadore di novembre, mi sono precipitato a verificare che quel Mauro Del Favero, o qualche altro emulo, non si fosse premurato di scrivere ulteriori puttanate sciocchezze riguardanti la rete sentieristica “della montagna di Lozzo”. Per ora niente, ma qualcos’altro ha attratto la mia attenzione.
Il direttore del mensile, per la rubrica il Cadore in Calore, ha chiesto a tale Leonardo Manfreda (in quanto più giovane cacciatore del Cadore, pagina 5) di spiegare perché ha scelto di dedicarsi all’attività venatoria. Avete presente “l’Amore è…“, quella serie di “pseudocitazioni” che ci ha scoglionato per un po’ d’anni e che viene ripresentata a rotazione? Uguale, solo che il tema è “la caccia è…“.
Il giovane abbattitore inizia la nenia: la caccia è…
contatto con la natura
svegliarsi presto al mattino
camminare in mezzo al bosco
aspettare sotto un albero che faccia luce
ascoltare i cervi che bramiscono
sedersi davanti al fuoco
ascoltare le storie dei più anziani
ma, anche…
“Festeggiare l’abbattimento di un compagno di squadra come se fosse tuo, con gioia e davanti ad un bicchiere di vino”.
Ecco, magari qui si poteva esprimere lo stesso concetto usando parole un po’ più appropriate. Ma neanche le parole in sé, il metterle assieme, la sintassi insomma. Non so voi, ma nel saltare da una situazione all’altra de la caccia è…, giunto a questa sono stato preda di un cortocircuito semantico: ho visto il nostro virgulto “abbattere” un compagno di squadra e festeggiare l’accaduto, con gioia, davanti a un bicchiere di vino (nella consumata narrativa, peraltro, si usa dire “buon vino” o “vino di quello buono”: crea sempre l’atmosfera).
Poi, certamente, ho “risolto” quel cortocircuito, quell’inghippo semantico, ma ormai avevo iniziato a ridere sguaiatamente. E mi son detto che se avessi avuto nelle vene il senso dell’abbattimento che ha un cacciatore, quella frase non mi sarebbe certamente apparsa così ilare.