Oddio la secessione!
Sempre che non dispiaccia a quelli di Repubblica che ci vogliono tutti “vicini vicini”.
Inizialmente, secessione non significa altro che spostare il controllo sulla ricchezza nazionale da un grande governo centrale ad uno più piccolo e regionale. Dipende in gran parte dalla politica regionale, se questo porterà a maggiore o minore integrazione economica e benessere. Comunque, la secessione di per sé ha un impatto positivo sulla produzione, perché una delle più importanti cause della secessione è che i secessionisti sono convinti che essi e il loro territorio siano stati sfruttati da altri. Gli sloveni si sentivano sistematicamente derubati dai serbi e dal governo centrale iugoslavo da questi dominato; i baltici non sopportavano di dover pagare le tasse ai russi e al governo russo dell’Unione Sovietica. In virtù della secessione, le relazioni nazionali egemoniche sono sostituite da relazioni estere contrattuali e mutuamente vantaggiose. Al posto dell’integrazione forzata si ha una separazione volontaria. […]
Consideriamo un singolo nucleo familiare come la più piccola unità secessionista immaginabile. Adottando un regime di libero scambio illimitato, persino il più piccolo dei territori può essere pienamente integrato nel mercato mondiale e usufruire di tutti i vantaggi della divisione del lavoro, e i suoi proprietari potranno diventare le persone più ricche del mondo. D’altra parte, se il capo dello stesso nucleo familiare decide di evitare completamente qualsiasi commercio infraterritoriale, ne conseguiranno la più nera miseria e la morte. Di conseguenza, più un paese e il suo mercato interno sono piccoli, più è probabile che esso opti per il mercato libero. […]
(articolo intero su The Front Page Per la secessione. Passi tratti dal libro: Democrazia: il dio che ha fallito di Hans-Hermann Hoppe.