Premessa: ho avuto modo di citarlo in più di un’occasione, anche per confutare le prese di posizione pressapochiste di quanti credono – fra questi anche qualche sindaco – che le province autonome di Trento e Bolzano godano di chissà quali privilegi nel quadro dei conti pubblici nazionali. Il vero privilegio – me è tale? – è quello di tenere per sé il 90% delle tasse che “sgorgano” dal proprio territorio, ma questa è storia ormai vecchia. Sto parlando di un articolo di Lodovico Pizzati pubblicato su noiseFromAmerika.org (nFa) nel maggio del 2010 che analizza la situazione dei residui fiscali regionali andando a pescare i dati dai Conti Pubblici Territoriali (CPT).
Nell’articolo originale i grafici a supporto della trattazione appaiono troncati (nella prima pubblicazione ciò non succedeva perché nFa utilizzava un formato liquido, successivamente cambiato in quello attuale) rendendo la lettura disarticolata. Vista l’importanza dei medesimi ho provveduto a ridefinire le dimensioni integrandole nel testo come si conviene. Approfittando della licenza CC con cui nFa offre i propri articoli, mi sono permesso di proporlo qui sul BLOZ per intero a beneficio … dei cultori dei residui fiscali regionali.
Conti Pubblici Territoriali
17 maggio 2010 • lodovico pizzati
Giovedì 13 Maggio diversi quotidiani hanno dato risalto ad uno studio della CGIA di Mestre riguardo il divario regionale tra tasse pagate e spesa pubblica ricevuta. I numeri hanno sorpreso: il Veneto che sborsa solo 6 miliardi in più di quanto riceve a confronto dei 42 miliardi della Lombardia; il Lazio che paga in tasse 9 miliardi in più di quanto riceve; la Toscana nella lista delle regioni sanguisuga. Io dico che i dati sono sballati e che la situazione è ben diversa. Ecco perché.
Nel sito dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre non ho trovato i dettagli di questo controverso studio, ma solo una news tecnica che riporta le conclusioni (riassunte nel sommario e ricopiate dai giornali senza batter ciglio) ed un cenno metodologico. Rispettivamente:
Rispettivamente:
La stima è stata elaborata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre ed è relativa all’anno 2007 (ultimo dato disponibile) (*)…
(*)La metodologia usata in questa analisi prevede che le entrate siano depurate dai trasferimenti proveniente dall’UE e altre istituzioni estere, dall’alienazione di beni patrimoniali e dalle riscossioni di crediti; analogamente, le spese si considerano al netto di partecipazioni azionarie, conferimenti e di concessioni di crediti. Inoltre, i dati sono stati raccordati con la contabilità pubblica (deficit) e si è suddivisa la spesa per interessi che è stata ripartita sulla base della distribuzione della popolazione italiana tra le varie Regioni.
Il trafiletto non cita la provenienza dei dati (incominciamo male), ma data la data dei dati (2007) deduco che provengano dai Conti Pubblici Territoriali (CPT) del Ministero del Tesoro, che verranno aggiornati per il 2008 non prima di Giugno 2010. I CPT si occupano di suddividere a livello regionale sia le entrate fiscali che la spesa pubblica sulla base di dati che iniziano nel 1996 e vanno sino al 2007. Credo ci sia un problemino metodologico con la collocazione territoriale della spesa pubblica, ma è sicuramente un lavoraccio molto utile ed un buon punto di partenza. I dati che tratterò nei grafici sono consultabili da chiunque accedendo alla loro banca dati (username: “cptguest”; password: “cptguest”).
Lo scopo di questo articolo, come del CPT e della CGIA di Mestre, è cercare di determinare il residuo fiscale di ogni regione. Per residuo fiscale si intende quanto una regione paga di tasse rispetto a quanto riceve sotto forma di spesa pubblica. Mentre è difficile sgarbugliare come la spesa centrale venga distribuita a livello territoriale, per le entrate fiscali la provenienza delle tasse è facilmente rintracciabile.
In questo grafico ho riportato le entrate fiscali pro capite (dati 2007) per ogni regione. Ho suddiviso le tasse in: imposte dirette (Irpef, ecc…), imposte indirette (IVA, ecc…), contributi sociali, e “altro” (che contiene una ventina di balzelli minori). Come potete vedere, per quasi tutte le regioni (salvo il Lazio) il rapporto tra queste quattro categorie di tasse è pressoché costante. Non è nemmeno sorprendente che le regioni più ricche (al Nord) paghino mediamente più tasse che le regioni più povere (al Sud). Se questo è dovuto al reddito più basso o alla maggior evasione, per i fini di questo articolo ciò non importa. Quello che importa è notare che l’unica regione anomala è il Lazio che paga pro capite più tasse di tutti. Guardando nel dettaglio è facile notare che questa anomalia è dovuta ad “altro”. Come mai? Andiamo a vedere cosa c’è in “altro”.
Capita spesso che, nella ripartizione regionale, le entrate fiscali riconducibili allo stato centrale (vendita di beni, ecc…), a prescindere dalla regione nella quale sono state raccolte, vengano attribuite alla regione Lazio perché nella medesima c’è Roma ed a Roma ci sono i ministeri. Per rendersene conto ho selezionato, tra la ventina di tasse incluse nella categoria in questione, le 4 dove questa discrepanza è più lampante. Nello studio della CGIA hanno tenuto conto di una di queste categorie (come da loro citato: alienazione di beni patrimoniali), ma forse non le altre.
Poffarbacco, ma guarda guarda quante più tasse paga il Lazio, rispetto alle altre regioni, su redditi di capitale, vendita di beni e servizi, alienazione di beni patrimoniali, e altre entrate correnti! Pagano forse i cittadini laziali le tasse per i beni e servizi pubblici venduti dalla Puglia al Piemonte? Certo che no. Pagano forse i cittadini laziali le imposte sul reddito da capitale di tutte le grandi imprese (molte controllate dalla mano pubblica, anche se di forma legale privatistica) residenti fiscalmente a Roma? Certo che no. Sono forse a carico dei soli cittadini laziali i proventi che derivano dalle alienazioni di beni patrimoniali dello stato, da Lampedusa a Vipiteno? Certo che no.
L’attribuzione, dunque, è spuria: il prodotto di una metodologia contabile, non di un carico fiscale effettivo. Per un giusto paragone non si può attribuire alla Regione Lazio tali fonti di gettito fiscale (o assimiliato) che lo stato italiano percepisce (un’altra anomalia da spiegare sarebbero le altre entrate correnti dalla Calabria, ma questa la lascio a quelli più addentro di me). Per forza di cose, se vogliamo fare un paragone serio tra regioni, dobbiamo eliminare queste entrate fiscali di chiara provenienza extra-regionale dai dati della regione Lazio. E così ho fatto, portando il livello del Lazio, in queste quattro categorie, alla media delle altre regioni. Ecco aggiustato il grafico di prima:
È molto probabile che ci siano altre anomalie minori. Per esempio, una ditta potrebbe avere le fabbriche in Puglia e la sede a Milano (risulterebbe che le imposte sul reddito da capitale vengono pagate in Lombardia). È possibile che regioni con capoluoghi finanziari risultino pagare più tasse della vera media pro capite. Ma questo non è di cruciale importanza: il grafico illustra come le entrate fiscali regionali combacino abbastanza con la distribuzione regionale del reddito dichiarato.
È invece più difficile determinare la spesa pubblica per regione. Parte della spesa pubblica passa attraverso il bilancio delle amministrazioni regionali (Spesa Regionale) e delle provinciali e comunali (Spesa Locale). Fin qui non ci sono dubbi. Il grosso, però, è determinato ancora dalla “spesa centrale” ossia la spesa riconducibile allo stato italiano (difesa, ambasciate, ecc…). Non è ovvio come suddividerla per regione, ma il CPT del Tesoro ci prova. A fine articolo discuterò il loro metodo, ma per ora utilizziamo i loro dati.
Non sarebbe sorprendente se anche la distribuzione regionale della spesa pubblica coincidesse con quella del reddito (chi paga di più riceve di più). Ma questo non è vero per la spesa locale e regionale, mentre è molto debolmente vero per quella centrale: le variazioni regionali di quest’ultima sono molto, ma molto più piccole di quelle del reddito regionale per capita. Basta guardare le barre blù per rendersi conto che, anche per la spesa pubblica centrale, la correlazione con il reddito quasi non c’è. Se togliamo la grande anomalia laziale (che in questo caso sì che riceve quelle spese, grazie alla concentrazione in Roma delle dirigenze di tutti i ministeri, del Parlamento, eccetera) e la piccola anomalia friulana (una fetta sostanziale del nostro esercito è ancora stanziato lì) vediamo che la spesa pubblica centrale per capita oscilla molto poco da una regione all’altra. Insomma, lo stato italiano sembra spendere quasi uniformemente sul territorio nazionale.
Nei dati aggregati risaltano, inoltre, la presenza del Veneto in terzultima posizione (tra Sicilia e Puglia) e quella in prima della Val d’Aosta che riceve, per capita, molto più del resto. Quest’ultima è una ben nota anomalia, che s’inquadra in quella più generale delle regioni autonome “sussidiate”, come avevano notato Aldo e Michele nel loro studio di quasi due decadi orsono. È interessante notare anche la differenza tra Trentino-Alto Adige e Friuli-V.G. In quanto regioni autonome esse ricevono pressapoco lo stesso livello di spesa pubblica totale pro capite. Solo che per trentini e tirolesi essa passa in buona parte attraverso la spesa locale e regionale, mentre per i friulani arriva sottoforma di spesa pubblica centrale. Chi conosce la realtà triveneta potrà riflettere sulla differenza di servizi tra Trentino A.A. e Friuli V.G. ed interrogarsi sulla qualità della spesa pubblica centrale rispetto a quella regionale e locale.
Chiudendo un’occhio sulla metodologia adottata nel riparto regionale della spesa pubblica centrale, non ci resta ora che paragonare entrate e spesa per calcolare il residuo fiscale regionale. Facendo questo mi sono imbattuto in un secondo problema nei risultati della CGIA di Mestre: guardano solamente al 2007. Per farsi un’idea precisa della tendenza di lungo periodo è interessante guardare alla serie storica che inizia nel 1996. Eccola, regione per regione:
Mi è sembrato ragionevole suddividere le regioni in tre gruppi a cui corrispondono i tre diversi colori per la linea del residuo fiscale: a) le regioni in rosso, che ricevono sistematicamente molto di più di quanto paghino (residuo sempre negativo); b) le regioni in verde, che pagano di più di quanto ricevono (residuo sempre positivo, ed in crescita); c) le regioni in grigio, che pressapoco pagano quanto ricevono (residuo leggermente negativo, zero o leggermente positivo).
C’è da notare un’altro aspetto sorprendente. Secono i dati CPT le province autonome di Trento e Bolzano e la regione autonoma Friuli-V.G. non ricevono più risorse di quante ne paghino in tasse. Il residuo fiscale va pressapoco in pari: a differenza delle regioni ordinarie settentrionali loro hanno semplicemente la fortuna di potersi gestire le proprie risorse e finiscono per … tenersele. Insomma, il loro percepibile livello di benessere è maggiormente riconducibile alla gestione autonoma delle proprie risorse che non ad un trasferimento di risorse dal resto del paese (dato che il residuo fiscale è marginale).
Questa quindi è la vera mappa dei residui fiscali nominali pro capite basata su una media decennale:
Le regioni verdi sono quelle che danno costantemente di più del dovuto. I toscani, a differenza di quanto sostiene il documento della CGIA di Mestre, pagano ogni anno in tasse a cranio (neonati e ottuagenari inclusi) mille euro in più rispetto ai servizi che ricevono. Queste sono medie nominali sopra un decennio: mentre la mappa indica 2800 per ogni veneto e 3500 per ogni lombardo, i numeri in euro del 2007 sono 3900 e 6000 rispettivamente. Fosse un anno anomalo per solidarietà ai terremotati è un conto, ma avere un residuo fiscale a testa talmente elevato e sostenuto, si chiama colonizzazione e non solidarietà. Per il 2007, in totale, stiamo parlando di 20 miliardi per il Veneto e 60 miliardi per la Lombardia. Altro che i 6 miliardi dello studio della CGIA.
Come regioni bianche ho messo tutte le regioni che hanno in media un residuo fiscale inferiore ai mille euro pro capite. Questo perché è abbastanza vicino allo zero e potrebbe essere dovuto a errori metodologici. Qui troviamo sia regioni autonome che regioni ordinarie. Non ci sono grandi sorprese invece nelle regioni in rosso, a parte la Val d’Aosta (essendo piccola bisognerebbe indagare più a fondo a cosa sia dovuta tutta quella spesa pubblica) ed il Lazio (che, a differenza di quel che sostiene la CGIA, è una regione platealmente e sistematicamente in rosso).
Guardando i colori di questa mappa, possiamo concludere che lo sfruttamento delle regioni settentrionali è dovuto solo all’assistenzialismo al Sud? Non proprio. Per capirlo bisogna abbandonare l’analisi a livello pro-capite e considerare i conti territoriali a livello assoluto, ossia tenendo conto del numero di persone che abita in ogni unità territoriale.
Anche questo grafico si basa sui dati disponibili nella banca dati del CPT del Ministero del Tesoro. L’unica correzione fatta riguarda la rimozione, dalle entrate fiscali del Lazio, di entrate anomale chiaramente non riconducibili alla regione stessa (come descritto sopra). Data questa correzione, è interessante notare come il Lazio sia la seconda regione (dopo la Sicilia) che ha ricevuto negli undici anni disponibili (1996-2007) più di quanto abbia dato. Non solo questa conclusione è completamente opposta a quanto sostiene, sul Lazio, lo studio della CGIA di Mestre, ma rende anche palese che mantenere Roma e i suoi ministeri costa quasi quanto la Sicilia e ben di più di Campania e Puglia.
È da notare che, anche se le regioni meridionali sono in rosso, secondo i dati CPT il loro residuo fiscale negativo non spiega il dissanguamento delle regioni in verde, ma solo un 60% di questo. Nello stesso periodo (1996-2007) la Regione Lazio riceve da sola ben il 15% del surplus proveniente dalle regioni in verde. Le altre regioni (Liguria, Umbria, Friuli, Valdaosta e Trentino-A.A.) ricevono invece un totale pari al 6%.
E il rimanente 19%? Non è sicuramente spiegato da interessi sul debito pubblico perche’ questo è già contabilizzato e distribuito territorialmente. Non si capisce difatti perche nella nota sopracitata la CGIA dica di ripartire gli interessi sul debito alle regioni in base alla popolazione. Se è così stanno contando due volte, ed è forse anche per questo che i loro risultati sono inverosimili. Forse il rimanente se ne va in imprese semi-pubbliche come Alitalia, RAI, e Enel? Non proprio. Il CPT tiene conto anche di questo in una banca dati parallela chiamata Settore Pubblico Allargato (SPA). Quest’ultimo consiste delle imprese pubbliche riassunte in questo schema, tratto dal secondo capitolo delle note metodologiche:
Ho controllato il residuo regionale anche tenendo conto delle imprese pubbliche, ma ciò non cambia di molto i risultati (vi risparmio un’altra mitragliata di grafici per i dati SPA). La discrepanza pare sia dovuta alla metodologia applicata nei conti pubblici territoriali, ma l’ammontare mancante rimane per me un mistero.
E’ opportuno anche sottolineare che il CPT divide la spesa pubblica centrale secondo i flussi “finanziari”. Questo quadro, tratto dal primo capitolo delle note metodologiche, riassume il criterio. La spesa pubblica centrale viene ripartita a seconda di dove viene spesa, ma non a seconda di chi ne trae beneficio:
Se ho ben capito una concentrazione maggiore di caserme in una regione viene considerata come una maggior spesa pubblica in quella regione. Se il ministero dell’istruzione ordina centomila scrivanie da un mobilificio veronese, scrivanie da distribuirsi sul territorio nazionale, questo acquisto viene considerato come spesa pubblica nella regione Veneto. Esempio più estremo: se il ministero dello spreco ordina un panfilo (da ormeggiarsi in baia di isola esclusiva) ad un cantiere navale di Monfalcone, questa spesa viene considerata spesa pubblica a favore del Friuli-V.G.
Spero di sbagliarmi, ma se così è (come sembra essere) allora i divari fra spese ed entrate pubbliche regionali potrebbero essere ben più accentuati di quanto qui descritto.