permettetemi di rassicurarvi totalmente: i poteri forti non esistono
La Stampa oggi: Monti: “Abbandonati dai poteri forti”. No comment.
La Stampa oggi: Monti: “Abbandonati dai poteri forti”. No comment.
Preceduto dalla solita litania di Reolon, il capogruppo Bond, Dario Bond, dice la sua sull’immobilismo della Fondazione Dolomiti Unesco:
Dario Bond, capogruppo regionale del Pdl, per la verità è ancora più furibondo.
«Ringrazio Messner perché ci dà uno scossone indispensabile: così proseguendo la Fondazione, infatti, va a chiudere, ci vuole una nuova governace per andare avanti sul serio».
Bond precisa di non avere fiducia nella gestione commissariale, a suo avviso «ci vuole ben altro. Bisogna che la parola ritorni in capo ai soci fondatori e che questi abbiano uno scatto molto forte di reazione; perché, al punto in cui ci troviamo, non basta una mera sopravvivenza: la montagna ha bisogno di ben altro».
Sicché Bond precisa di non avere fiducia nella gestione commissariale. Che il capogruppo del PDL, rapito dalla furibonda reazione, si sia dimenticato di chi ha fatto affondare la Provincia aprendo le porte al commissariamento, di chi ha fatto “buchetti” quotidiani di 27.000 € per 2870 giorni portando il buco finale del Bim-Gsp a 77 MLN di € ? Che se ne sia davvero dimenticato? Non credo, basta guardare alle macerie elettorali di inizio maggio, con il PDL franato al 10%.
Comunque, se non se lo ricorda, glielo ricordiamo noi:
sono stati quelli del PDL
Una ragione però Bond ce l’ha: la montagna ha bisogno di ben altro. Tutta la montagna bellunese, certamente, non aveva bisogno di restare senza guida, soprattutto per una lotta di potere fatta sulla pelle della gente bellunese. Spero che questa gente, alle prossime elezioni, decreti definitivamente l’annientamento di questo partito “organico“.
Può essere un caso di sdoppiamento di personalità: le ultime vicende elettorali legate alla lista civetta potrebbero falsare il senso della realtà a chiunque. Può anche succedere che ad essere schizzati (e quindi a non aver sentito bene) siano i giornalisti (arduo stabilire quale). Fatto sta che sul Corriere delle Alpi (1° giugno 2012, in forma di intervista) la sindaca Ciotti già si era espressa con alcune note storiche stonate da me evidenziate in “Pieve di Cadore: referendum ‘secessionista’ verso il Friuli e patriarcato d’Aquileia“; ma in quella intervista la Ciotti questo ha detto:
«Ragionando sul nuovo assetto che dovrà avere il territorio», «propongo che tutti i comuni della Provincia di Belluno confinanti con la Regione Friuli indicano il referendum per passare con quella regione. Il motivo di questa che potrebbe sembrare una provocazione sta nella mancanza di ascolto da parte della Regione Veneto dei problemi della montagna»
Il giorno dopo, 2 giugno, la sindaca riappare sul Gazzettino dicendo:
Ciotti: «Non mi sto muovendo per passare ad altra Regione»
L’ondata secessionista sta vivendo in questi giorni un ritorno di fiamma. All’interno di questo dibattito, Maria Antonia Ciotti, sindaco di Pieve, smentisce le voci che la danno impegnata nell’organizzazione di un referendum per chiedere l’annessione al Friuli Venezia Giulia. «Non mi sto muovendo – chiarisce il primo cittadino – Dalla Costituzione è previsto che i Comuni possano chiedere di passare ad un’altra Regione, ma penso che debba esserci una presa di coscienza da parte dei cittadini, non può essere un’imposizione calata dall’alto. Qualche tempo fa nel corso di un intervento in Magnifica, ho posto l’accento sui problemi che sta vivendo il nostro tertritorio. In quell’occasione ho detto che abbiamo una Regione che è matrigna, proprio per la scarsa attenzione nei confronti della montagna e che sarebbe meglio per il Cadore passare con il Friuli. Il mio voleva essere un messaggio provocatorio. Per il referendum poi ci vuole la collaborazione di tutti gli altri Comuni, da soli non si va da nessuna parte» (R.S.)
E noi che pensavamo di poter finalmente annoverare una passionaria referendaria ed autonomista fra i primi cittadini, notoriamente appartenenti alla categoria dei pesci lessi (perlomeno quando si entra nel campo della richiesta dell’autonomia). A questo punto, se non intervengono altre precisazioni, il dubbio regna sovrano: riguardo al referendum per passare in Friuli, la Ciotti pensa si debba fare SI o NO? A chi crediamo? Alla Ciotti del Corriere o a quella del Gazzettino?
Ad ogni buon conto, non è vero che per il referendum ci voglia la collaborazione di tutti gli altri comuni. Certo che se tutti ne decidessero l’indizione in modo coordinato, celebrandolo in data unitaria, l’azione di protesta avrebbe più forza. Ma è più facile credere che l’incombente profezia Maya si avveri piuttosto che i sindaci cadorini confinanti col Friuli si mettano d’accordo per fare assieme un referendum per il passaggio di regione.
Un ultimo appunto alla sindaca confusa: che miglior presa di coscienza può esserci, da parte dei cittadini, se non un referendum?
Resto convinto che un ente intermedio tra Regione e Comune – la bistrattata Provincia – è essenziale per governare il territorio, in particolare se costituito da montagna (se poi è montagna al 100% …). Anche se al momento la Provincia come ente è stata posta nel limbo, qualcosa mi dice che anche il governo di cialtroni attualmente in carica si renderà conto che senza Province elette direttamente non si va da nessuna parte (a meno di creare ampi disagi e disservizi di cui proprio in questo momento non se ne sente il bisogno).
Credo, questo sì, che ci sia il bisogno di un ridisegno dei confini delle province con un loro accorpamento ed il lancio delle aree metropolitane (già ampiamente previste dalla Costituzione e mai realizzate), come ampiamente prospettato dalla stessa Upi. L’Università di Firenze e quest’ultima hanno presentato uno studio sulle “province in Europa” dal quale si deduce che tutti gli stati si sono dotati di un ente amministrativo “intermedio” fra regione e comune.
Castiglione: “Con riforma Monti l’Italia diventerebbe anomalia”
In tutti gli stati partner dell’Italia in Europa , il sistema istituzionale è costruito su tre livelli di governo, Regioni Province e Comuni: questo vale per Belgio, Francia, Germania, Polonia, Spagna e Regno Unito. E in tutti questi Stati il livello di governo intermedio gode di protezione Costituzionale. Non solo: in Francia, Germania, Belgio, Polonia e Regno Unito, come in Italia, gli organi di Governo sono eletti direttamente dal popolo.
Solo la Spagna prevede elezioni di secondo livello. E in tutte le Province europee, a prescindere dal modello elettorale, esiste un blocco di funzioni ‘core’ caratteristiche dell’ente di funzione di area vasta che si concentra su ambiente (pianificazione, tutela, gestione dei rifiuti e delle acque), sviluppo economico (sostegno alle imprese e politiche per l’occupazione), trasporti (viabilità, mobilità, infrastrutture) scuola (compresa l’edilizia scolastica). Le funzioni sono legate a tributi propri: c’è autonomia fiscale e agli enti di governo intermedio in Europa sono assegnate entrate tributarie, anche qui, a prescindere dal modello elettorale.
Per quanto riguarda la spesa, le Province italiane risultano essere quelle con minor incidenza sulla spesa pubblica nazionale (1,7% Italia, contro il 5,4% della Francia e il 4,2% della Germania). Questi i dati che emergono da uno studio realizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, presentata oggi a Firenze e curata dal Prof. Carlo Baccetti e dalla Prof.ssa Annick Magnier. “Se si analizza il contesto Europeo – ha sottolineato il Prof. Baccetti – le Province italiane sono, per funzioni, costi e tipologia di governo politico, esattamente in linea con quelle degli altri Paesi, e costano meno.
Introdurre in questo contesto una riforma settoriale, come quella prevista dal Governo Monti con la legge Salva Italia, rischierebbe di creare una profonda frattura nel sistema di governo locale del Paese”. “Oggi – ha evidenziato il Presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione – le Province italiane, contrariamente a quello che si vuole fare credere, sono in tutto identiche alle Province europee, mentre se si portasse a termine la riforma Monti l’Italia diventerebbe una anomalia, tra l’altro in netta controtendenza con gli altri Stati Ue”.
Nella ricerca dell’Università di Firenze emerge poi una forte propensione riformista delle Province stesse, come sottolineato dalla Prof.ssa Magnier, che ha presentato una analisi realizzata su un campione di 70 Province, sulle 107 totali. “Le Province- ha detto la professoressa – sono consapevoli della necessità di autoriformarsi. Per questo sottolineano la necessità di mantenere il livello di governo elettivo, perché le Province sono ente di autogoverno territoriale, ma rivederne la composizione e soprattutto ripensarne le funzioni, concentrando intorno a questa istituzione solo quelle che la caratterizzano come responsabile della programmazione e della gestione del territorio” .
Recentemente qualcuno ha sollevato dei dubbi sulla esistenza della Fondazione Dolomiti Unesco:
«Se la Fondazione sta lavorando, sicuramente i dirigenti non stanno coinvolgendo il territorio bellunese. Quello che abbiamo davanti è il vuoto assoluto», dichiara il presidente dell’Ascom, Franco Debortoli. «Sono tre anni che abbiamo il titolo di patrimonio dell’umanità, ma nulla è stato fatto. Può essere una mia mancanza, ma non francamente non ho visto neppure l’ombra di un’azione concreta elaborata dalla Fondazione. Eppure di turismo, visto come vanno le cose, c’è estremo bisogno». «Questo contenitore così importante va riempito di contenuti», precisa il direttore Ascom, Luca Dal Poz: «Se non lo facciamo crescere, il bollino di qualità che abbiamo non serve a niente. Se la Fondazione sta lavorando, lo sta facendo nell’assoluto silenzio».
Ed ecco giungere la precisazione: “Emanuela Milan, subcommissario della Provincia e presidente in carica, risponde agli operatori bellunesi che lamentano l’inerzia della Fondazione stessa, definendola “inutile”.
«La Fondazione Dolomiti Unesco è pienamente operativa, ma non può fare da agenzia di promozione turistica»«ma c’è un equivoco di fondo da sciogliere per poter aprire la collaborazione tra le parti: quello che la Fondazione sia un soggetto che elargisce un budget. Non è così, la missione è ben altra».
E fin qui, tale Milan, ha tutte le ragioni. La presidente ricorda poi anche che:
«La Fondazione si è data una struttura, che è complessa per la natura del bene e sta facendo scuola in casa Unesco per i siti seriali. […]
Sono state create le reti funzionali operative e ci si è concentrati sugli obiettivi fondamentali: valorizzazione del bene, preservazione e comunicazione.»
Siccome mi interesso da tempo, per puro diletto, di gestione delle organizzazioni complesse, mi piacerebbe sapere nel dettaglio quanto sia complessa la “struttura” che la Fondazione si è data, e soprattutto quale sia l’architettura delle reti funzionali operative cui fa cenno la presidente (tutto qua?). Ho insomma l’insana curiosità di capire (ce la farò?) quale mostro organizzativo abbiano messo in piedi quelli della Fondazione.
Di buono c’è che stanno rifacendo il sito internet. Passati a Lourdes prima? Altra cosa positiva, l’approvazione del regolamento per l’uso del marchio: alcune mie riflessioni in “Fondazione Dolomit(i-en-es-is): la logo-dolo-patacca è finalmente disponibile“. L’impressione, anzi no, la certezza, è che finora la Fondazione sia comunque un carrozzone pentapartito (o forse eptapartito, se ci ficchiamo dentro anche le Regioni che, bene o male, hanno i cordoni della borsa per BL-PN-UD), e poca importanza ha che sia dolomitico.
Riassunto: il cosiddetto accordo di Milano prevedeva che Trentino ed Alto Adige concorressero annualmente con 40 mln ciascuno a favore dei comuni confinanti. Tutto nasceva dopo le spinte secessioniste dei referendum di Cortina, Pieve e Col da una parte (Sappada guarda ad est) e Lamon e Sovramonte dall’altra: un modo come un altro per impastoiare i fremiti secessionisti ed anestetizzare la revoluzion popolar. Dopo la firma dell’accordo saltan fuori alcuni distinguo, primo fra tutti quello del Durni che sostiene che i suoi 40 mln lui non li dà ai bresciani, perché devono servire ai comuni a lui confinanti, che sono 6 (4 bellunesi e 2 sondriesi).
Dal punto di vista del Durni, la cosa può anche essere capita: perché devo dare i miei soldi a chi non confina con me? In questo modo, però, i 40 mln dell’Alto Adige verrebbero divisi per 6 – ogni fetta della torta sarebbe bella grande – mentre i 40 mln del Trentino verrebbero suddivisi fra tutti gli altri 42 comuni, e la fetta diventerebbe omeopatica (in confronto).
Chi guarda la cosa dal punto di vista del contentino anestetizzante (l’italiano parlamentare) non può accettare questa spartizione – pur ammettendo che, allo stato, la forza propulsiva originaria è stata messa in campo dai referendum di Cortina & C. e da Lamon e Sovramonte – per evidenti motivi di disparità. E’ poi da tener conto che la UE non può che vedere in questo gioco di caramelle – comunque milionarie – una concorrenza sleale fra territori (anche allargando la cosa ai confinanti dei confinanti).
Naturalmente, i sindaci dei territori confinanti – Cortina, Livinallongo, Auronzo di Cadore, Comelico Superiore – non possono che essere dalla parte di Durni e, a suo tempo, lo hanno dichiarato senza indugi:
«Durnwalder ha ragione – commenta Zandonella Necca – e noi lo sosteniamo: anche perché ai Comuni confinanti sono stati aggiunti i contigui. Un pasticcio». Gli fa eco il primo cittadino di Livinallongo del Col di Lana Ugo Ruaz: «Pieno appoggio a Durnwalder – commenta Ruaz -: questi del Fondo si sono allargati un po’ troppo. Prima solo i Comuni confinanti e con una divisione scientifica delle risorse; poi un centinaio di Comuni contigui con progetti e richieste per centinaia di milioni». […].
E i Comuni di confine (con Bolzano) sono pronti a sostenerlo. «Durwalder è nel giusto – afferma il sindaco di Auronzo di Cadore Bruno Zandegiacomo Orsolina -: la cassa comune è penalizzante, per noi. E in effetti la filosofia della legge istitutiva era quella di realizzare un “passaggio morbido” tra località confinanti, di certo non tra l’Alto Adige e il Bresciano. […]. Che dire? Io i ricorsi di Durnwalder li appoggio; l’importante, però, è che non si fermi tutto».
Alla fine del primo giro di regali, per la parte relativa all’Alto Adige, nessun comune confinante dei confinanti ha ricevuto un brustol. Non solo: neanche Necca, sindaco di Comelico Superiore – comune direttamente confinante con l’AA – ha ricevuto un boro che sia uno. Ad Auronzo hanno dato le “ultime briciole” (3 mln circa).
Evidentemente, il Necca, deve essere più convincente di quanto non sia stato finora: deve sostenere con più forza l’argomentazione del “tutto a noi”. Forse non l’hanno sentito. Ci sono sempre i prossimi bandi, e qualche palanca arriverà anche a Necca. Cazzo, è confinante !!!
Anche i sindaci confinanti dei confinanti non si devono preoccupare: hanno solo saltato il giro. Col prossimo bando, … ciclabile per tutti. Non occorre che, anche loro, minaccino di ricorrere al referendum (voi non lo sapete ma i nostri sindaci non sono le fede che sembrano, covano un impeto referendario che Pancho Villa neanche riusciva ad immaginare). Sempre che Monti non smonti il meccanismo o che la UE ci metta il naso, vedendo in questo minestron una evidente infrazione alle leggi comunitarie. Pensare ad una richiesta autonomista in blocco, lo lasciamo fare ai bambini delle elementari, che hanno fantasia (e non gli manca neanche il “coraggio”).