Sul Corriere delle Alpi di ieri Federalberghi ha dichiarato per luglio un crollo delle presenze sulle (nostre) Dolomiti del 30% (il sindaco di Cortina Franceschi i giorni scorsi parlava di un -20% dalle parti dei maestre de ski). Mah! Qui a Lozzo di Cadore lo struscio è sempre più affollato e sono pronto a scommettere per questa stagione su un significativo balzo delle presenze.
Certo, se un’affittacamere con due camere (cioè una scoreggina in termini di capacità di accoglienza) ci sbatte dentro ciclicamente due coppie per i 90 giorni che vanno da metà giugno a metà settembre (cosa tutt’altro che incredibile), alla fine sono 360 presenze, che qui a Loz Angeles sarebbero pur sempre un balzo del 15% rispetto alle performances dell’ultimo anno (dalla nuova fauna che vedo pascolare nei meriggi, punto su un aumento di almeno il 50% della stabulazione, si accettano scommesse).
Il declino delle presenze turistiche sulla montagna veneta è un fenomeno in atto dal 1997, sostanzialmente inarrestabile, da addebitarsi al turista italico, mitigato da quello estero. Qui, dove ci sarebbero le montagne più belle del mondo (ma andate a cagare …), il turismo punta all’abisso. Là dove ci sono “anonimi panettoni” (TAA) il turismo ha finora tirato (anche se difficoltà non ne mancano): che sia mica dovuto alle opportunità offerte dall’Autonomia?
Comunque è un problema comprensoriale, come si suol dire. Ma come funzionano gli altri comprensori nei quali è suddivisa l’offerta turistica del Veneto? Vediamo. Ehm, ehm: per fortuna che in pianura ha fatto un caldo infernale, altrimenti dovevamo pagarli, i turisti, per farli venire in montagna. Di buono c’è che con l’accorpamento di Belluno a Treviso potremmo negoziare con i magnaradice una progressiva destagionalizzazione dell’offerta turistica, proponendo loro una colonizzazione del nostro territorio fuori stagione a prezzi imbattibili. Il nostro PIL non trarrà alcun giovamento ma i magnaradice potranno godere del patrimonio dell’umanità in qualsiasi momento.
Fonte dati: Regione Veneto