Rifugio Ciareido, CAI e GSC
Ripartiamo da dove eravamo rimasti: alla superficiale ignoranza dei fatti legati alla storia del rifugio Ciareido espressa da Telebelluno, si affianca quella del sindaco intervistato. Premessa: CAI, lo sapete tutti, sta per Club Alpino Italiano; GSC, invece, sta per grande sforzo collettivo (entità vagamente junghiana).
Anche il borgomastro inizia scivolando sul “torna“: “Finalmente il rifugio Ciareido… torna nelle disponibilità del paese” (vedi link a inizio articolo). Poi, su sollecitazione del Cecchella che chiede una breve storia dell’ex presidio militare, continua (neretto mio):
Il bene rifugio Ciareido dopo la Grande Guerra è stato abbandonato (era rimasto…) era diventato un ricovero di pastori e di animali finché con un grande sforzo collettivo nel paese di Lozzo di Cadore decisero di riprenderlo e di dargli una nuova vita, una nuova veste.
Riprenderlo? Edddajje (prendere di nuovo, prendere un’altra volta… una cosa che non è mai stata tua?). Ma questa è un’inezia, veniamo al dunque.
Riferirsi a quell’evento definendolo genericamente un “grande sforzo collettivo” mette in mostra una certa ignoranza dei fatti. Nel 1973, anno nel quale si inaugurò il rifugio come tale, il nostro era senza dubbio in altre faccende affaccendato. E anche in seguito, quando ebbe modo di accasarsi in queste lande, non deve aver trovato adeguati stimoli che lo spingessero ad approfondire le vicende storiche legate a quel “ex presidio militare”. Del resto pare che anche i locali a lui vicini, evidentemente storditi dalla stessa ignoranza dei fatti, non abbiano saputo/potuto consigliarlo/ragguagliarlo a dovere.
Quello che il sindaco definisce grande sforzo collettivo ha un nome e un cognome: sezione del Club Alpino Italiano di Lozzo di Cadore, con tutti gli uomini che le hanno dato vita allora, 1971, e quelli che l’hanno mantenuta attiva fino ad oggi.
Ammesso che quell’impegno si possa anche definire “grande sforzo collettivo” (non mi addentro nell’esoterica indeterminatezza dell’espressione “nel paese di Lozzo di Cadore decisero” sennò va a finire che tiro fuori gli ultracorpi…), nessuno deve dimenticarsi che quello sforzo ebbe una sola regia e una sola assunzione di responsabilità, tanto nell’ottenere dal Demanio la concessione dell’edificio, quanto nel salvare dall’abbandono, recuperare e ristrutturare il medesimo alla nuova destinazione d’uso di rifugio alpino. Regia e assunzione di responsabilità con le quali la sezione di Lozzo di Cadore del Club Alpino Italiano ha convissuto per 45 anni, tanto è ad oggi il tempo passato dall’inaugurazione del rifugio, garantendo i lavori di adeguamento e le manutenzioni resesi via via necessarie (certo, attingendo anche a fondi pubblici, regionali e comunali).
E il fatto che il borgomastro ricordi a un certo punto dell’intervista che il rifugio “era un bene demaniale dello Stato e per tanti anni è stato ben gestito dal Cai di Lozzo, finché a un certo punto con la normativa […]” semmai accentua l’alone di ignoranza dei fatti perché nell’ascoltatore si può agevolare l’impressione che il Cai, pur avendolo gestito “per tanti anni”, ad un certo punto si possa essere disimpegnato (e comunque attenzione!, perché gestire vuol dire “condurre, amministrare” non salvare dall’abbandono, recuperare, ristrutturare che sono invece atti fondativi).
Costava troppo sforzo dire che, dopo averlo salvato dall’abbandono, recuperato e ristrutturato, il Cai ne ha gestito le sorti anno dopo anno fino ad oggi, 45° anno dall’inaugurazione?