c’è stata un po’ di neve, ma l’esbosco continua…
(oggi dimezzamento borete, per mantenere il tono muscolare…)
Puto amo pic.twitter.com/fqwdw4VHaF
— Cazador de Trolls™ (@CazadorDeTrolls) March 4, 2019
(oggi dimezzamento borete, per mantenere il tono muscolare…)
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Dopo l’analisi delle aree di Riva-Sorasale-Costa Mula con l’intendo di individuare le superfici schiantate, ecco quella delle aree di Molenies e Veleza tratte dalle foto messe a disposizione da Sentinel-2 . L’immagine di base (before) è del 21 ottobre 2018, quella di confronto (after) del 5 marzo 2019.
Sovrapponendo le foto con colori falsati si ottengono più o meno gli stessi risultati, ma qui ho preferito riportare le foto con colori reali. A Veleza non sono ancora stato di persona e quindi non posso “convalidare” il dato tratto dalle foto che mostra un’estesa area schiantata riguardante “Veleza auta” e la Val del Tribol.
Il territorio di Lozzo di Cadore è la seconda macchia blu scuro scendendo dai confini con l’Austria (la prima è Danta). Con un coefficente di boscosità tra 86 e 92% (dati tratti da “Forest damage inventory after the “Vaia” storm in Italy” pubblicata su Forest@) il paesello detiene il primato di questa particolare classifica, che condivide – tra i comuni “più vicini” – con Danta e Valle. Primato che, a quanto ci è dato vedere, va esteso a tutta la Regione del Veneto. A dirla tutta, siccome lo scalino successivo è 93-99% (cioè in pratica ti trovi le fronde degli alberi in camera da letto), con ogni probabilità il primato può essere inteso in senso interregionale se non nazionale (uau!).
La cosa non dovrebbe sorprendere più di tanto perché il paesello, esteso su 30,4 km2, non dispone di formazioni rocciose se non la facciata sud-orientale del M.Ciareido e un piccolo spicchio di croda che affianca il Campanile del Ciastelin (con il relativo corredo di prati d’alta quota e improduttivi di varia natura: vedi a questo indirizzo la prima foto della serie). Auronzo di Cadore, che è sette volte più esteso, ha un coefficente di boscosità di 49-53%, segno evidente che ospita molte più formazioni rocciose, come Cortina d’Ampezzo che ha un indice ancor più contratto, 43-48%.
I pallini arancioni rappresentano gli ettari stimati di danni: ogni pallino (dot) vale 6 ha. Da ciò si dedurrebbe che gli ettari danneggiati a Lozzo sono 3*6= 18 ha (cioè lo 0,7% della superficie boscata) . Strano che non si veda, a Lozzo, alcun puntino indicante gli schianti di Riva/Costa Mula e quelli di Molenies/Veleza. Del resto queste non possono che essere “prime stime” soggette a verifica e rimodulazione. Se ci fidiamo dei puntini arancioni, anche Auronzo se l’è cavata benissimo, mentre Santo Stefano, San Pietro e Sappada (che qui è ancora in provincia di BL) sono davvero martoriate (mai quanto l’agordino e il feltrino).
Il vantaggio dell’avere così tanto bosco è che se ti cade qualche schianto in più neanche te ne accorgi, almeno fino al momento in cui devi allestire ed esboscare lo schiantato che, sennò, ti ritrovi con il babau (bostrico) attaccato alle chiappe. Ma noi, a Lozzo, ci abbiamo il soggetto attuatore (ragazzi, non sarà una passeggiata, ma ne verremo fuori!).
(per i sistematici, in %, in ordine “a la vaca”: Lozzo 86-92; Vigo 75-80; S. Stefano 49-53; S. Pietro 65-69; S. Nicolò 75-80; Comelico S. 65-69; Auronzo 49-53; Cortina 43-48; Lorenzago 65-69; Domegge 70-74; Pieve 54-58; Calalzo 43-48; S. Vito 43-48; Vodo 81-85; Valle 86-92; Perarolo 65-69; Cibiana 70-74; Borca 65-69; Danta 86-92)
Estratto carta del coefficente di boscosità tratto da “Forest damage inventory after the “Vaia” storm in Italy” pubblicata su Forest@.
Che ne sarà dell’Anello di Valzalina il cui avvio si poteva, prima di Vaia, raggiungere comodamente in auto e adesso non più (questa è ironica, mi raccomando)? A dirla tutta, anche dopo l’apertura delle cataratte del 4 settembre 2016 un bel pezzo di strada della Val Longiarin se n’era andato strappato dalla furia delle acque (va detto che trattavasi di materiale di riporto senza alcuna coesione), lasciando l’ubertosa Val Longiarin senza via di comunicazione motorizzata. Ma poi si supplì con una bretella che bypassava il tratto eroso e tutti continuarono a vivere felici e contenti.
Vaia, la tempesta che il 29 ottobre 2018 ha raggiunto la maggior virulenza in termini di vento schiantando al suolo vaste aree di quell’infimo essere vegetale che è il peccio, nel suo passaggio ha portato con sé anche altri tipi di danni associati, per esempio, all’esondazione dei torrenti.
Nel mio giro su tutti gli anelli per censire e documentare lo stato della loro percorrenza, il 15 gennaio scorso mi sono dovuto appropinquare all’inizio dell’Anello di Valzalina percorrendo a piedi il tratto tra Narieto e la Riva de Sior Piero. Nel video qualche iniziale immagine di questa valle di lacrime, cui segue qualche altro scatto di carattere compensatorio sulle Marmarole orientali riprese dai pressi di Prapian.
Ne dava cenno @Mirco nei commenti qualche giorno fa (Eppur si muove…): Lozzo ha ora il “suo” soggetto attuatore. Dopo la comparsa sulla scena dell’immancabile “Commissario delegato” (ruolo occupato dai presidenti delle regioni coinvolte dall’emergenza maltempo di fine ottobre: Calabria, Emilia Romagna, Friuli V.G., Liguria, Toscana e Veneto nonché le Province autonome di Trento e Bolzano) sono giunti alla ribalta anche i soggetti attuatori di grande stazza (Avepa… per dire) e, a seguire, quelli di piccolo cabotaggio: i sindaci.
Il 23 gennaio scorso, come ricordavo in questo articolo, il governatore del Veneto ha nominato d’imperio enne poveretti soggetti attuatori dell’agordino che, d’un colpo, oltre alla carica di sindaco, sono diventati Gran figl di put gran attuator degli schiant (semicit. Fantozzi). Lo stesso ruolo è stato assunto da poco anche dai sindaci di Lozzo di Cadore, Perarolo di Cadore, Lusiana e dal Presidente dell’Unione Montana della Val Belluna.
Va detto che se ai primi la nomina fu del tipo “o mangi sta minestra o salti dalla finestra” (i sindaci agordini, che si stavano lamentando, sono stati in buona sostanza “puniti” mediaticamente dal governatore: va anche detto che i sindaci hanno millanta appigli per metterlo nel culo a Zaia senza colpo ferire, ma questa è un’altra storia), quest’ultima nomina giunge come richiesta “della base”:
La nomina rappresenta altresì una risposta alle richieste di assumere un ruolo da protagonisti nella gestione della ricostruzione giunta al Commissario Zaia direttamente dalle amministrazioni comunali colpite dalla catastrofe autunnale.
Quindi, a quattro mesi quattro di distanza dal passaggio di Vaia, questi si sono fatti avanti “richiedendo di assumere un ruolo da protagonisti nella gestione della ricostruzione“. Nei quattro mesi passati da allora “i nostri” devono aver costantemente osservato l’orizzonte degli eventi per vedere se notavano qualche increspatura: poi si sono decisi e hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo.
Sia chiaro, è comunque un bene: la notizia buona è che in parte del Centro Cadore non sarà più lo spirito cufoleto a coordinare la pulizia dei boschi; la cattiva notizia è che, per quanto remota, vi è sempre la possibilità che le cose possano funzionare meglio (dando per scontata l’assenza dello spirito cufoleto) anche senza questi novelli protagonisti dell’ultima ora.
Tutto dipenderà da quello che non faranno, visto che quello che dovrebbero fare è ormai chiaro ai più.
Eh lo so, lo so: la lingua è in continuo, lento ma inesorabile cambiamento. E tuttavia segnalo l’inesattezza affinché il più grande sforzo di mantenere una tradizione si affianchi a quello più contenuto di mantenere l’integrità della propria lingua… perlomeno là dove viene scritta e resa pubblica.
Italianismi a gogo (che è derivato dal francese) ormai parassitano con virulenza l patuà (altro francesismo: patuà sm. (solo sing.) dialetto. Voce dal francese “patois”; parlà par patuà parlare in dialetto.).
Sono finiti i bei tempi nei quali era l’italiano claudicante (di chi, con esso, pensava di affrancarsi dall’ignoranza) ad essere impreziosito da perle memorabili: “Vieni qui che altrimenti ti bagni tutte le ciauze“; “Oggi ci siamo proprio divertiti un grumo” e così via.
Mi raccomando: per il “Carnevale de Loze”… indugiate per qualche anno ancora (la modernità può aspettare).
karnavàl sm. (pl. karnavài) carnevale. Prov. ki ke no le a fàte a karnavàl, le fa de karéśema chi prima e chi dopo, tutti attraversano un periodo di sbandamento. Durante il carnevale ci si vestiva in costume col viso coperto da una maschera, in genere la maschera era di legno, c’erano bravi intagliatori in paese che ne preparavano di belle raffiguranti molto spesso volti dall’espressione cattiva, burbera e aggressiva. Vestiti in maschera, si andava per le case in cerca delle ragazze. Le ragazze invitavano in casa e lì si ballava, si mangiavano le frìtole e si facevano anche incontri interessanti. L’ultimo giorno di carnevale, martedì grasso, l ùltimo de karnavàl, veniva festeggiato con una mascherata generale, ci si divertiva a forsiñà le ragazze e la sera si dava l’addio a questo breve periodo di pazzie andando in giro per il paese avvolti in un lenzuolo bianco con una lanterna accesa, ko n feràl, a piànde l karnavàl. La maschera, spesso un po’ alticcia, se non ubriaca del tutto, girava per le strade gridando con voce lamentosa come se si trattasse della morte di una persona cara: oiùto, oiùto, puóro l mè karnavàl de kuóre, no lo védo pì, espressione di lamento che lascia intendere che dopo la fine del carnevale non ci si diverte più. Dopo questi festeggiamenti, comincia la quaresima, periodo fatto di pensieri tristi e rinunce, è il periodo in cui si riprende il lavoro dei campi, si sentono di più le fatiche, e se l’inverno è stato lungo, anche la miseria.