Introduzione
Nel lontano 1851, quando la strada ferrata aveva toccato la limitrofa provincia di Treviso, anche nell’animo dei bellunesi era germogliato l’obiettivo di far giungere quanto prima tra le montagne quella straordinaria innovazione tecnologica, ormai assurta a simbolo di progresso e indispensabile strumento per far decollare l’economia del territorio. Appariva evidente fin da allora come la sola bellezza naturale di boschi e rocce dolomitiche non fosse sufficiente a concedere benessere alle popolazioni autoctone, seppure un turismo agli albori della sua storia contribuisse a divulgare le valenze ambientali di queste zone.
La principale fonte di reddito, in grado di permettere qualche opportunità in più rispetto ad una diffusa economia primaria, era qui rappresentata dalla plurisecolare industria del legname, preziosa risorsa che aveva concesso alla gente del luogo di sfuggire, almeno in parte, la dolorosa piaga dell’emigrazione. Se la via di trasporto per eccellenza era stata da sempre l’asta fluviale del Piave (che consentiva alle zattere di giungere alla laguna veneta in un paio di giorni), sussidiata all’occorrenza da strade ancora inadeguate (ove i carri a trazione animale non avrebbero certo potuto considerarsi mezzi alternativi), l’avvento dell’era tecnologica aveva fatto intravvedere all’orizzonte nuove occasioni di sviluppo, illudendo sul fatto che una ferrovia risalente le vallate bellunesi sarebbe stata supportata finanziariamente anche dal giovane Regno d’Italia.
Si era dovuto attendere il 1886 prima che, dopo interminabili fasi interlocutorie, un binario a scartamento normale fosse posato tra il capoluogo della Marca e Belluno ed altri ventott’anni per farlo proseguire sin nel cuore delle Dolomiti. Furono le pressanti ragioni militari che determinarono la costruzione di questa linea, ma grande merito fu riconosciuto alla perseveranza della popolazione locale e dei suoi rappresentanti, che mai si erano arresi ed avevano anzi sostenuto con forza quel prolungamento tanto voluto, che li avrebbe forse resi più consapevoli di essere diventati i cittadini di una nazione. L’inizio della Grande Guerra contribuì ben presto a smorzare gli entusiasmi e la neonata ferrovia venne allora potenziata in tutta fretta per consentire l’inoltro in numero crescente di tradotte militari dirette al vicino fronte di combattimento.
Quelle tristi vicende umane avevano assegnato a questo binario un’importanza strategica, fatta propria anche dalle truppe austroungariche nelle vicende storiche seguenti la “rotta di Caporetto”. Il ventennio fascista portò nuovo impulso agli investimenti nel settore ferroviario ed anche questa linea seppe trarne profitto, soprattutto in seguito all’accresciuta popolarità di Cortina d’Ampezzo in veste turistica ed alla conseguente domanda di potenziamento delle relative vie di comunicazione . La fine del secondo conflitto mondiale aveva invece sancito la necessità di ricostruire un’Europa dilaniata dai bombardamenti ed i mezzi su rotaia costituirono un insostituibile servizio di trasporto perlomeno sino all’inizio degli anni Sessanta, quando l’avvento del “boom economico” e dell’automobile cominciarono a far scricchiolare l’ossatura della rete secondaria nazionale.
La politica dei “rami secchi” decapitò allora senza scrupoli centinaia di chilometri di linee e pure questa, dopo avere vissuto il dramma della tragedia del Vajont, corse il rischio di una sorte analoga. La tenacia e la cocciutaggine delle popolazioni dell’alta valle del Piave seppero in quei frangenti ritrovare per intero l’unità d’intenti e la voglia di alzare le voci di protesta, consapevoli di una situazione di isolamento dalla pianura che solo quel binario era in grado di colmare. Quelle vicende rappresentarono un nuovo momento d’aggregazione delle genti cadorine, in una fase economica segnata dagli ultimi bagliori di benessere concessi dall’industria degli occhiali, centenaria attività che aveva avvicendato nel tempo quella del legname.
Gli sconvolgimenti socio – finanziari portati con sé dai mutati equilibri mondiali seguenti al “crollo del muro di Berlino” e la creazione di una nuova viabilità stradale alternativa, relegarono però ben presto la nostra linea ferroviaria ad un ruolo marginale. Con il passare degli anni si prese lentamente coscienza che, malgrado i buoni propositi e gli stimoli proposti da qualche amministratore oculato, il richiamo alle comodità rappresentate dall’auto fosse vincente e come quel binario venisse ancora apprezzato soprattutto dai turisti frequentatori dei treni da Milano e da Roma, quest’ultimo a cadenza periodica. L’euforia di un’epoca segnata dal benessere diffuso non aveva potuto che confermare questa tendenza e il graduale depotenziamento dell’offerta era parso persino inevitabile, seppur fossero stati finanziati nuovi lavori miranti alla sicurezza dell’esercizio.
L’avvento del terzo millennio, ormai attualità, portava con sé un’annunciata ed ineludibile crisi del “modello di sviluppo occidentale” ed i tagli alla spesa pubblica iniziavano a coinvolgere direttamente anche linee ferroviarie secondarie che, come questa, già da anni arrancavano stancamente verso un futuro pieno di incognite. Ma l’alternarsi continuo degli eventi aveva intanto concesso alla Belluno – Calalzo di festeggiare il traguardo dei cento anni di vita e ad un cadorino, innamorato della propria terra, lo stimolo per far rivivere attraverso uno scritto pure le principali tappe di avvicinamento all’importante data. E’ così che il filo conduttore rappresentato dall’esistenza di questa breve strada ferrata porta l’autore ad elencare sinteticamente alcune delle vicende intercorse nell’ultimo secolo sullo scenario esterno, nazionale e non.
Avvenimenti e riflessioni che meglio aiutino a comprendere i sottili legami che accomunano la storia di una piccola ferrovia di montagna ai mutamenti politici, economici e sociali di varie epoche, costituenti solo alcuni dei tanti tasselli di un mosaico chiamato “evoluzione”. Un volo radente lungo cento anni che forse potrà essere di aiuto per ipotizzare la vita futura ma che vuole, soprattutto, unirsi con gioia ai festeggiamenti tributati da un’intera popolazione alla propria ferrovia e agli uomini e donne che ad essa dedicarono in passato lavoro e sacrifici.
(tratta da 1914-2014 — Belluno – Calalzo — Una ferrovia tra le Dolomiti del Cadore, Tiziano Edizioni, 2014)