(questa volta rischio davvero: perlomeno di dovermi far da mangiare per il prossimo mese, se tutto va bene. Perché la signora di cui parlo sarebbe, sarebbe, quella santa donna di mia moglie, qui nelle vesti di presidente dell’Associazione Latteria Sociale di Lozzo di Cadore. Di un video girato in Latteria me ne aveva parlato e ricordo che aveva anche tentato di farmelo vedere, anche se non so quale scusa ho utilizzato per evitare, allora, quella presunta pena. Oggi il fato ha voluto che ne prendessi coscienza e quello che segue è il breve racconto di come ho vissuto quei 3 minuti)
Mi ero appena ripreso dalle affermazioni degli “assi” recatisi a Barcellona per l’assegnazione dei mondiali di sci alpino 2019 che, occhieggiando, ti vedo un “Se tornano le mucche” (sottotitolo “la proposta di Lozzo di Cadore) con il logo del Museo della Latteria. Il montaggio del video è buono, si vede che non sono zotikones dell’ultim’ora, ed anche lo storyboard è avvincente, diciamo.
Avvincente perché prova a legare una tomba culturale, il museo, alla brulicante realtà del territorio, veicolata in questo caso dal leitmotiv “voltare le spalle alla crisi delle città e fare gli imprenditori agricoli in quota, un venticello per ora ancora debole eppure soffia e l’associazione Latteria Sociale di Lozzo ci mette del suo …“, facendo apparire quella che è poco più di una fregnaccia come un sogno autoavverantesi ai piedi delle Dolomiti.
Sdoganato il passato – che potrebbe apparire ammuffito e stantio – legandolo sapientemente al presente, il video procede con la descrizione del contenuto museale. Rilevo intanto che il presidente dell’associazione Latteria Sociale, tale Francesca Larese Filon, è anche comandante in capo dei ladini del Centro Cadore e non ci si aspetterebbe che dall’alto di tale carica svilisca la lingua ladina, della quale dovrebbe essere supremo garante, relegandola al rango di dialetto (così l’ha definita): propongo quindi 100 frustate col nervo de bò (che posso elargire a domicilio con garanzia totale di esecutività della pena).
Ma la cosa che più mi ha fatto candidamente sorridere è giunta quando la nostra parla degli stampi per il burro: “il burro viene messo sugli stampi, i famosi stampi con le stelle alpine“. Notate l’enfasi quasi giaculatoria, con lo studiato cambio di modulazione della voce, mentre pronuncia “i famosi stampi con le stelle alpine”. Vedete quanto poco ci vuole per creare un nuovo mito – “i famosi stampi con le stelle alpine” – che da semplice oggetto della tradizione casearia quasi assurgono a vera e propria categoria di pensiero?
E così il contributo video si avvia alla chiusa – più degnamente di quanto avrebbe saputo fare l’Istituto Luce, ma con tono ugualmente enfatico – tratteggiando per tutti noi montanari uno speranzoso avvenire: “Dal 2008 ad oggi si sono insediati nel bellunese 267 nuovi agricoltori, certo poco per parlare di un consistente ritorno alla cura delle terre alte, eppure abbastanza, pensano a Lozzo, per continuare, nonostante tutto, a lavorare e a sperare in un domani per la montagna“.
E se lo “pensano a Lozzo”, c’è di che ritenere che la cosa – qualunque sia – avrà un futuro garantito.
(chissà cosa ne pensa Tafy di tutto ciò, ora che dal Botanico Palazzo gli han allungato il diritto di montare oops monticare Sovergna)