“Quando tutto sarà finito”
di Giuseppe Zanella
In questi drammatici giorni cerco di tenere la mente occupata il più possibile al fine di non cadere in una cupa depressione: è questo il suggerimento che ci viene dato da molti esperti e che io cerco di seguire il più possibile. Leggo molto, scrivo e faccio qualche ricerca in ambito locale, in particolare analizzando il lavoro dei più importanti storici cadorini. Oggi, però, la mia attenzione è stata rivolta alla lettura di un intervento sulla rete di un “front-page-editor, tale Fabio Luppino, a me fin qui non noto, ma il cui valore si intuisce fin dal titolo e dalle prime righe del suo stringato e profondo disquisire. Il titolo del presente mio intervento appare virgolettato proprio perché ricalca quello dell’apprezzato giornalista sopra richiamato.
Quando tutto sarà finito, dice in sostanza l’estensore del ‘pezzo’, ci accorgeremo di aver vissuto sospesi su di un precipizio con nelle vicinanze un “avversario invisibile e costantemente in agguato”. Ed in quel momento potremo ben dire di non volere più uno Stato che disinvesta sul bene primario in assoluto: la nostra salute. A quel punto, avremo la forza di pretendere ospedali, scuole, sicurezza, trasporti efficienti, più investimenti nella ricerca e più garanzie per ambienti di lavoro sicuri, evitando le troppe morti fin qui registrate (il web ci fa oggi vedere medici ed infermieri, fra le cui categorie molti sono ormai i ‘contagiati’ e perfino i deceduti, costretti ad indossare improbabili camici confezionati con i sacchi neri delle immondizie al posto delle collaudate tute a “tenuta stagna”, adesso carenti nei magazzini); e la vista di questa carenza di idonei mezzi protettivi per questi eroi delle corsie fa veramente molto male al cuore ed alla mente dei cittadini, in particolare al cuore dei congiunti degli ammalati gravi.
Ancora, quando tutto sarà passato, tutti diremo con determinazione di non voler più vivere in un Paese di medici eroi, ridotti a limiti estremi o deceduti sul campo per colpa di certe leggi economiche restrittive che non ci hanno consentito di avere quello che ci serviva, quando ci serviva: mascherine, guanti, camici, dispositivi per la terapia intensiva, posti letto adeguati, organici non deficitari. Alla fine di questa pandemia, potremo permetterci di irridere i populisti, i demagoghi, i politici imbelli, gli amministratori in perenne diretta facebook o sulle tv a ‘pontificare’ nella loro inefficace prosopopea… Dimenticheremo allora anche la guerra contro i diversi, i derelitti, gli immigrati, guerra che ci era stato detto essere fondamentale per salvare il nostro paese. Non erano questi derelitti che ci stavano accerchiando e ci minacciavano; la minaccia, l’avevamo in casa e l’accerchiamento ce l’ha creato un pernicioso microorganismo, non certo una massa di diseredati che molti di noi hanno respinto con il cuore, se non proprio nei fatti.
Quando tutto sarà finito, capiremo meglio le loro lacrime avendo sperimentato le nostre e la nostra impotenza verso un nemico così subdolo. In quel momento potremo pretendere una Europa a misura d’uomo, non quella dei banchieri, dei burocrati, degli speculatori, degli Stati egoisti, ma l’Europa intesa come un unico grande Paese. Solo allora ci verrà in mente e ci sarà chiaro che Germania e Francia hanno consentito che scattasse un minimo di solidarietà solo perché il micidiale nemico ha colpito anche loro. Le regole, insomma, non contano più, solo perché quelli che le hanno cinicamente volute e caldeggiate sono loro stessi sull’orlo del burrone.
Ma visto che si parla solo di sospensione delle rigide regole di bilancio fin qui invalse, è il caso di tenere alta la guardia affinché, a “trambusto” cessato, non si ritorni celermente alle condizioni antiche, privilegiando nuovamente gli interessi di coloro che hanno sempre saputo imporre la loro volontà ed i loro peculiari interessi. Tutto dovrà cambiare senza dannosi ripensamenti e richiami della foresta. L’Europa dovrà essere quella vagheggiata da De Gasperi, Adenauer e Shumann, l’Europa di Altiero Spinelli e Rossi.