Perché in Veneto si può (e si deve) votare il referendum /3 (se un voto ha unito, un voto può dividere)
(la terza pillola dall’articolo di Carlo Lottieri relativo al perché in Veneto si può (e si deve) votare il referendum per l’indipendenza (qui la prima e qui la seconda):
Noi sappiamo che il referendum del 1866 che sancì l’annessione del Veneto all’Italia fu una farsa vergognosa e vomitevole che, attraverso un clima intimidatorio e nessuna garanzia di segretezza del voto, non permise la libera espressione delle genti venete. Ma, dice Lottieri, “sono i referendum, veri o fasulli che fossero, che hanno sancito la legalità dell’annessione”. E ancora: “Ma la logica ci impone di ritenere che se un voto ha unito, allo stesso modo un voto può dividere“.
D’altra parte, è sufficiente domandarsi cosa ha portato il Veneto in Italia. Sul piano dei fatti, il Veneto è diventato italiano a seguito dell’esito della guerra austro-prussiana, ma dal punto di vista formale (giuridico) il Veneto è entrato a far parte del Regno d’Italia a seguito del voto popolare dell’ottobre del 1866. Sono i referendum, veri o fasulli che fossero, che hanno sancito la legalità dell’ingresso dell’annessione. Ma la logica ci impone di ritenere che se un voto ha unito, allo stesso modo un voto può dividere.
D’altra parte, non è infatti ammissibile che il popolo possa, al tempo stesso, detenere il potere costituente e poi rinunciarvi definitivamente. Come non è lecito per un singolo darsi liberamente in schiavitù, analogamente non è possibile che un’intera popolazione possa consegnare se stessa e la propria discendenza (comprendendo in ciò anche quanti sono venuti a vivere in quel territorio successivamente) a un determinato ordinamento politico.
Come alcuni giuristi della Commissione veneta hanno sottolineato, l’Italia non può sottoscrivere le norme internazionali sul diritto di autodeterminazione e alzare il dito – per fare qualche esempio – contro il Marocco per la situazione del Sahara occidentale, contro l’Azerbaigian per la situazione del Nagorno-Karabakh o contro la Nigeria per quello che riguarda il Biafra, senza che questo abbia conseguenze al proprio interno. Non possiamo esporre la bandiera del Tibet sui municipi della nostre città, contestando la politica di Pechino, e poi rifiutarci d’interpellare con il voto gli abitanti del Tirolo meridionale o di qualunque altra parte della Repubblica.