per fortuna che c’è il volontariato (anche a Lozzo di Cadore)
Oggi, 5 dicembre 2009, si celebra la Giornata internazionale del volontariato.
Per ricordare la portata dell’opera del volontariato in questo paese, ho raccolto una parte di ciò che esso ha prodotto in questi anni. Nel farlo ho dato deliberatamente spazio alle azioni di volontariato che hanno lasciato un segno tangibile della propria opera, oppure un segno marcato sul territorio, che rimane (e mi auguro rimarrà) a testimonianza delle azioni intraprese. Attività spesso indirizzate all’arricchimento dell’offerta turistica che il nostro territorio è in grado di proporre, ma dirette anche alla crescita culturale della nostra gente.
L’universo dell’impegno volontaristico passa anche attraverso le associazioni che, normalmente, fungono da regia nell’aggregazione delle varie attività. In questo articolo non ne parlo.
Non ho indicato tanti altri impegni, di pari valore, spesso legati a servizi alla persona, sia perché li conosco solo in parte sia perché ognuno potrà, se lo vorrà, aggiungere fra i commenti le attività volontaristiche che ritiene degne di nota.
Una cosa che non toccherebbe a me, signor nessuno, fare. Ma qualcuno lo deve fare e quest’oggi, Giornata internazionale del volontariato, è una buona occasione.
Grazie di cuore a tutte le donne e gli uomini che dedicano il loro impegno e la loro dedizione a favore degli altri e della nostra comunità nel suo complesso.
lavori al Museo della Latteria: i vicentini surclassano ancora i cadorini
Ieri, passando vicino al Museo della Latteria, ho visto un furgone. La pubblicità sulle fiancate del mezzo faceva riferimento a “pavimenti”, la ditta è di Creazzo, provincia di Vicenza. In precedenza, è noto, sono intervenute ditte, sempre vicentine, per fare impianti elettrici ed idrotermici.
Mi è venuto in mente un articolo del Gazzettino di non tantissimo tempo fa, di presentazione ad un incontro con le Guide Alpine, dove il sindaco, riferendosi ai problemi del lavoro che affliggono il nostro Cadore osservava:
«La crisi generale e quella che ha ridimensionato radicalmente le nostre fabbriche stanno mandando in fibrillazione le nostre comunità – afferma Manfreda -; i giovani sono disorientati e non intravedono futuro in montagna. Se non ci inventiamo presto qualcosa sarà l’intero Cadore a rimetterci»
Perché non inizia con lo spiegare come mai, un’iniziativa come il rinnovo dell’allestimento del Museo della Latteria dà lavoro a gente del vicentino e non a gente cadorina?
In gioco ci sono, a vario titolo, 160.000 €, parte dei quali sono utilizzati per lavori come impianti elettrici, impianti idrosanitari, opere di falegnameria ecc. ecc..
Al di là di altre considerazioni, che il lettore potrà eventualmente approfondire seguendo i miei articoli a questo link, una ricaduta positiva era rappresentata proprio dal fatto che i lavori di ammodernamento/sistemazione potevano essere svolti da artigiani/imprese nostrane. Invece niente. Il progettista è vicentino ed i lavori sono svolti da aziende vicentine. Una casualità, non c’è alcun dubbio.
Io credo che i sindaci siano chiamati a tutelare, prima di ogni altra cosa, gli interessi della comunità di cui sono amministrativamente a capo, ovviamente nel rispetto della legalità. E fra gli interessi generali della nostra comunità c’è senz’altro il lavoro (nelle sue varie forme).
Quando un sindaco viene eletto (tutti i sindaci), gli compare in tasca, quasi per incanto, una copia del famoso manuale “Venti risposte pre-confezionate da usarsi nelle più comuni circostanze“. E tutti i sindaci lo imparano ben presto, a memoria, perché per loro è vitale.
Una su tutte. “Ho lasciato che fosse il progettista a coordinare tutto il lavoro”. Ma potrebbe andar bene anche “Le nostre aziende non se la sono sentita di …”. Con tutte le aziende che abbiamo in Cadore, alcune delle quali pluricertificate, non ce n’era neanche una in grado di svolgere coscienziosamente il lavoro? Può essere, può essere!!! Ma queste sono risposte che mi immagino io.
Un tipo di risposta non potrà però darla. Non potrà sostenere cioè che i lavori sono assegnati tramite bando, quindi in funzione delle offerte fatte dai partecipanti, perché i lavori al Museo sono stati assegnati con il metodo dell’affidamento diretto.
Secondo voi, in linea del tutto generale, è più logico che siano i sindaci a “condizionare” i professionisti o viceversa? Se lo scopo è quello di mettersi un’altra medaglietta al petto, sfruttando peraltro il lavoro dei volontari, non fa alcuna differenza.
Voi che ne dite?
Foto: Flickr (ikmal)
l’acqua della Lola (e di Col Vidal) – 3a parte
Riguardo all’acqua della Lola, essendo questa la terza parte, dovreste leggere i precedenti articoli, 1a parte e 2a parte, per avere un giusto inquadramento dell’argomento.
Dovremmo essere vicini alla soluzione del problema.
Ciò che conta veramente, infatti, è che chi sta lavorando per conto di Taferner alla sua soluzione ha già approntato la vasca di carico (cui facevo riferimento nel secondo articolo); quindi la prossima estate, se non sarà torrida come quella del 2003, la Lola potrà finalmente pascolare tranquilla anche a Col Vidal e dintorni, sicura di potersi dissetare “in loco“.
Per la Lolita invece, intesa qui in rappresentanza della categoria “turisti”, la cosa non è così certa. In realtà, la sistemazione dell’autoclave dovrebbe garantire l’arrivo dell’acqua anche alla fontanella di Col Vidal. Questa è peraltro la condizione necessaria per porre sulla colonnina della fontana la targhetta “Fonte Taferner“, cui facevo riferimento nel primo articolo.
Non vorrei mai, però, che quel minimo di lavoro necessario per far giungere con certezza l’acqua anche alla fontanella di Col Vidal, non rientri nei compiti assegnati da Taferner a chi gli deve risolvere il problema dell’acqua della Lola (l’autoclave è infatti fondamentale per la Lolita, non per la Lola).
Non è detto, infatti, che a Taferner interessi prestare il proprio nome a quello che potrebbe diventare in breve un nuovo toponimo: “Sorgente Taferner” o, in dialetto, “Aga de Taferner”, “Fontanela de Taferner” ecc..
Mi auguro che, mancando da 15 anni un intervento comunale risolutivo, il nostro Taferner possa sponsorizzare la giusta e gloriosa chiusura di questa vicenda, facendo finalmente gocciolare anche il rubinetto dell’acqua della Lolita.
Sono passati quindici anni, senza alcun intervento comunale, perché sono tutti bravi a sostenere, con le parole, le necessità dei pascoli e dell’ambiente, oltreché del turismo, salvo poi lasciare che il tempo, testimone impietoso, magari aiutato da un blogger rompicoglioni, metta in mostra la cruda realtà.
Ma forse questa volta, se anche Taferner dovesse desistere dall’impresa, ricorrendo agli alti uffici degli assessorati al turismo e all’ambiente, per l’occasione uniti e determinati a risolvere un problema che li accomuna, dovremmo farcela lo stesso a portare l’acqua anche alla Lolita. Chi vivrà vedrà. Ne riparleremo la prossima estate.
Foto: Flickr (J. C. Rojas)
Cadore Val Gardena e lo spot di Natale della Tim
Oggetto: spot Tim girato recentemente a Pieve di Cadore.
Supponiamo che un ipotetico Consorzio Turistico del Cadore voglia produrre uno spot che promuova la nostra terra. Supponiamo anche che vi sia il bisogno di fare delle riprese di una stalla stile “antico”. Siccome in Cadore non ve ne sono più (di nessuno stile, se è per quello), sorge la necessità di fare le riprese, quelle della stalla, in Val Gardena, perché lì invece ve ne sono ancora.
Secondo voi, il produttore dello spot ha l’obbligo di chiarire che la stalla è gardenese?
Se il comune di Pieve non ha firmato un contratto in cui si prevedeva la citazione specifica della parola “Cadore”, perché scaldarsi tanto? Questa volta non siamo di fronte al classico sbaglio di localizzare un paese cadorino attribuendone l’appartenenza all’Alto Adige o al Trentino.
Ma però gli animi si scaldano e il Corriere del Veneto titola “Spot Tim, rivolta in Cadore. Non è Val Gardena, si cambi“. I titoli, si sa, sono sempre un po’ sensazionalistici. Ma intervengono anche gli amministratori: riprendo un passo dell’articolo del Corriere del Veneto.it (il grassetto è mio):
E’ infatti l’attore Christian De Sica, che si lascia sfuggire la frase che costituisce il casus belli: «Mi chiamavano lo slittino umano della Val Gardena». Solo che lo spot è stato realizzato a Pieve di Cadore, e lo spettacolare arco montano sullo sfondo è quello delle Dolomiti venete. Apriti cielo! Sindaco e opposizione si ritrovano uniti nella protesta: inizia il consigliere comunale Osvaldo De Lorenzo, che chiede formalmente al primo cittadino di attivarsi presso la produzione perché l’audio sia modificato. E tocca al sindaco, Maria Antonia Ciotti, che conferma: «Così lo spot non va bene: chiamerò la società che lo ha realizzato. Devono utilizzare il termine ‘Cadore’»
Ripeto: se non era prevista contrattualmente la citazione della parola “Cadore” (non lo è di sicuro), per quale motivo si alza solo ora questo “grido di dolore”? Lo spot è in fondo un atto creativo. I testi sono un elemento flessibile. Bisognava pensarci prima. Adesso è, a mio avviso, troppo tardi. Meglio tacere, perché facciamo anche la figura dei bambinoni a cui hanno portato via le caramelle, e che per questo altro non sanno fare che piagnucolare. Il nonno diceva che “i polis dele porte che serve, se li tien senpre ondude”.
Troppo tardi quindi. Però, se ci tiene allo sviluppo della comunicazione del prodotto turistico cadorino, il sindaco di Pieve potrebbe prima riattivare e poi migliorare il sito internet del proprio comune, www.pievedicadore.org, che ha appena congelato in favore dell’orrendo (per il turista che lo visita) sito istituzionale. Per chi volesse approfondire: Pieve di Cadore ha un nuovo (orrendo) sito internet.
Foto: Corriere del Veneto.it
per commentare sul BLOZ non è più necessaria l’email
Giù la maschera, su la maschera. Commenti anonimi o commenti con la propria identità?
La fortuna dei blog e del web “partecipato” attraverso i commenti (si pensi ai forum per esempio), si basa in buona parte sulla possibilità di partecipare alla discussione in forma anonima.
Ho ricevuto parecchie email, la maggior parte a sostegno di ciò che dico, ma qualcuna anche in aperto dissenso, nelle quali gli autori mi hanno espresso la loro contrarietà o disagio a scrivere le stesse cose su un commento aperto, visibile da tutti. Tutto ciò in ragione del semplice fatto che, quando un argomento diventa “circoscritto” ed interessa una comunità ristretta, com’è quella di cui facciamo parte, dire apertamente ciò che si pensa può causare più di qualche problema (è inutile negarlo).
Allo stesso modo, a quattr’occhi, più di qualche persona mi ha detto: “qualche volta mi piacerebbe commentare ma poi desisto per ovvi motivi” (come dire che anche i sindaci, vicesindaci, assessori ecc. ecc. sono permalosi e financo “vendicativi” …).
Il commento anonimo non costituisce in sé e per sé una “cattiva abitudine”. E’ un po’ come per il voto: c’è quello segreto e quello palese. Talvolta, usando quello segreto, le maggioranze “vanno sotto”, segno che non sempre gli ordini di scuderia sono “digeriti”. Anche per i commenti vale la stessa regola. C’è chi li fa sempre e comunque con la propria identità, c’è chi invece, in certe circostanze, preferisce commentare in forma anonima. Ciò che veramente importa è che il commento non sia realmente offensivo, non contenga turpiloquio, non abbia contenuto razzista o sessista.
Da oggi per commentare sul BLOZ NON E’ PIU’ NECESSARIO INSERIRE NE’ IL NOME NE’ L’EMAIL. Ciò significa che i commenti possono essere espressi anche in forma anonima. Chi lo desidera può naturalmente continuare ad inserire il proprio nome (o pseudonimo) e la propria email.
Il consiglio ovvio è di inserire perlomeno uno pseudonimo (nickname), con il quale essere eventualmente indicati dagli altri commentatori (se il numero dei commenti si dovesse allungare).
Sottolineo che anche prima, visto che per commentare non era richiesta la registrazione, il commento poteva essere espresso in forma anonima. Bastava scrivere un nome di comodo ed una email di comodo (per esempio nome:spiritocufoleto, email:spirito@xyhzxcvfst.com).
Per evitare derive anarchiche, al gestore del blog resta l’arma dell’approvazione dei commenti che, ripeto, possono anche essere apertamente in contrasto con quanto da me sostenuto, ma non devono essere offensivi (per capirci: dire di una persona qualsiasi, compreso il presidente della repubblica, che non è lungimirante non è offensivo; dire che è un coglione, sì).
Se, per lasciare un commento, il vostro problema era avere la garanzia dell’anonimato, adesso l’avete.
Ribadisco: per cortesia, niente cazzate! Che siate o non siate d’accordo con quanto da me scritto avrete sempre la certezza di veder pubblicati i vostri commenti, purché non siano deliberatamente offensivi. Volete usare l’ironia? Ne siete capaci? Fatelo!
Ricordiamoci che la discussione dovrebbe aiutarci a migliorare le cose. Se non le miglioriamo non è un male, ci abbiamo provato. Ciò che conta è evitare di peggiorarle.