Maria Elena Etruria, la ricostituente
E’ solo l’inizio. Il cazzaro e la ghenga del PD si sbracceranno da qui al 4 dicembre per il SI. Noi, nel nostro piccolo, per il NO! Incominciamo con la Boschi-Etruria, la ricostituente…
E’ solo l’inizio. Il cazzaro e la ghenga del PD si sbracceranno da qui al 4 dicembre per il SI. Noi, nel nostro piccolo, per il NO! Incominciamo con la Boschi-Etruria, la ricostituente…
Dal profilo twitter del Consorzio turistico Alta Pusteria: “abbiamo un nuovo nome: Tre Cime Dolomit!” (diamo per scontato che la genialata comprenda anche il punto esclamativo: sarebbe un buono ed originale elemento distintivo). Come dicono i triestini quando si tratta di suggellare una degna impresa: fata la xe.
Siccome la storiella della goccia d’acqua non reggerebbe, siccome il confine non può che passare per la cresta (lo stante incastonato alla base della Minima è esemplificativo), nessuno dubita della genitorialità (ad un tempo paternità e maternità) pusterese della porzione nordica della mitica Trinità, con annessi e connessi (detto altrimenti, alla Osho: ma fa n po’ come cazzo te pare).
E ora, al mio segnale scatenate l’inferno:
“Da entrambe le parti è scaturita la richiesta, da porgere alle testate giornalistiche locali, di inserire almeno una pagina di notizie dell’altra vallata in modo da aumentare la conoscenza reciproca e le possibilità di collaborazione.”
(per festeggiare il lieto avvenimento, una delegazione di aurodobbiacensi potrebbe percorrere il sentiero di arroccamento delle Tre Cime con giro delle medesime via Grava Longa)
Per fare propaganda al Sì referendario hanno messo lì una nonnetta in stile Ace gentile: “hai sbagliato candeggio! caro mio!”. La nonnetta recita sicura: “se voti no non cambierà nulla”. La nonnetta, alla fine, si siede sulla sedia lasciata fintamente libera dal laido di turno. Dice che è comoda.
Infatti la nonnetta non ha ancora capito che se vincerà il Sì, quella sulla comoda sarà l’unica cosa che potrà continuare a fare: cagare. Ma a comando però.
https://youtu.be/v0KCaXLyQq4
Seconda tornata di amenità ispirate dall’articolo “Sistemateci la strada che porta in Val da Rin“, Corriere delle Alpi del 23 settembre (qui la prima parte).
Ripartiamo dalla quarta amenità, che riguarda la strada che sale da Val da Rin, nei confronti della quale il gestore del rifugio Baion sottolinea che:
Non basta avere un fuoristrada per affrontarla, serve anche una certa dimestichezza con la guida in montagna. Eppure, con un intervento di migliorìa generica, l’accesso diventerebbe più semplice per tutti ridando fiato alla vita di Pian dei Buoi, oggi a tutti gli effetti isolata dal resto del Cadore».
Che è una conferma a quanto scrivevo l’8 settembre commentando l’introdotta deroga al transito per Val da Rin:
Precisazione: col cazzo che bastano le 4 ruote motrici; dovete averla anche alta, la tutù, ché ci sono due punti strategici – due canyon – dove si corre il rischio di rimanere in trappola.
Quinta amenità: m’è sorta qualche perplessità su chilometri (e miglia nautiche) e sui tempi di salita. Detto diversamente, non si possono confrontare le mele con le pere. Ancora il gestore del Baion:
Per raggiungere Pian dei Buoi dalla Val da Rin sono sei chilometri che richiedono un tempo di percorrenza inferiore alla mezz’ora», prosegue Dino Nassivera, «niente a che vedere con la strada, seppur asfaltata, che sale da Lozzo:lì i chilometri sono 15 e richiedono un tempo di percorrenza superiore all’ora. Ipotizzare una sostanziale opera di miglioramento della strada sul versante della Val da Rin non è utopistico, sicuramente i tempi di realizzazione sarebbero inferiori e i costi minori rispetto a quelli che serviranno per sistemare la strada da Lozzo».
I sei chilometri cui si riferisce il gestore del Baion sono quelli di “strada bianca” della Val da Rin fino a Pian dei Buoi (5,3 km), quelli sui quali “col cazzo che bastano 4 ruote motrici” o anche, come abbiamo appena visto, “Non basta avere un fuoristrada per affrontarla, serve anche una certa dimestichezza con la guida in montagna.”
Ma, se guardiamo alla lunghezza d’insieme del percorso (per cercare di confrontare mele con mele), ce ne sono altri 4 asfaltati che da Ponte da Rin (nei pressi del bivio con la statale 48) portano all’inizio della strada bianca (e non è che si possano percorrere come a Le Mans), oltre ai 2.5 per arrivare al rifugio (da Pian dei Buoi). Quindi i chilometri, da Auronzo (Orsolina) al rifugio Baion, sono circa 12.
La strada asfaltata che sale da Lozzo fa più o meno 12 chilometri per giungere sull’altopiano e altri 3 (di strada bianca) per giungere al Baion, per un totale di circa 15 km. Riguardo ai tempi, i 12 km per giungere a Pian dei Buoi li percorro da anni abitualmente, senza ansia da prestazione, in circa 26 minuti (16 minuti per giungere a Tamarì e 10 da qui per sbucare sull’altopiano), diciamo 30 minuti (cioè una velocità di 24 km/h). Punto.
Sesta, questa volta ispirata da il Gazzettino, della serie “turisti fai da te?, no Alpitour? ahi ahi ahi…“. Il titolo dell’articolo è più roboante, “I furbetti dei divieti presi in trappola e poi stangati a Pian dei Buoi”, e di per sé introduce una nuova categoria sociale, quella appunto dei furbetti dei divieti (costola dei furbetti del quartierino). La vicenduola mi ha fatto tornare alla mente un pezzo dei Belumat: “vara vara, un campo abandonao! Capusi, tegoine, patate…”.
L’articolo nasconde alcune sub-amenità:
6a) “… i turisti che con tre auto avevano appena trascorso una giornata al fresco del Pian dei Buoi.“; che turisti bastardi: loro al fresco di Pian dei Buoi (nonostante il divieto) e noi quaggiù piegati in due dal caldo torrido di questi giorni.
6b) “In pochi minuti una pesante ruspa ha risalito la stretta stradina; il mezzo poi è stato messo di traverso a sbarrare il rientro del gruppetto.“; stretta stradina (??) la Strada del Genio coi sui tre metri di carreggiata? Magari anche piccina-piccina? Stretta, inizia ad essere la strada della Boa, non quella del Genio!
La stradina (piccina-piccina) ha tuttavia consentito il passaggio della “pesante ruspa” (vecchio tipo: adesso le fanno in carbonio e sono molto più leggere); pesante, la ruspa, ma piccina anch’essa se, per sbarrare il rientro, l’hanno dovuta mettere di traverso (delle due l’una: o la stradina non è così piccina-piccina, o la ruspa è un po’ piccolina: una ruspettina?)
6c) “«Abbiamo agito con leggerezza», hanno ammesso alla fine mentre i militari compilavano i verbali.“; quindi solo “alla fine” hanno ammesso la leggerezza: oltre ad essere bastardi, anche stolti, questi turisti
6d) “Per tornare a percorrere quella strada ci vorrà ancora del tempo, sono 8 i punti danneggiati con erosioni molto profonde,“; sicché le tre auto salite a prendersi il fresco, e poi ridiscese, lì dalle erosioni molto profonde hanno forse innestato la levitazione magnetica?
6e) “…i lavori di sistemazione non è chiaro quando finiranno“: vado matto per le costruzioni sintattiche “alla terrona”;
6f) “A nemmeno un mese da quel disastroso temporale, molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare.“; è un po’ come per le seghe: tu inizi a menartelo e ti convinci che “molto è stato fatto”, ma sai anche che “molto resta da fare”. Ed è indubbiamente la parte più interessante.
6g) “Dovesse capitare un temporale come quella sera?“; Più pilu per tutti.
Ispirate dall’articolo “Sistemateci la strada che porta in Val da Rin“, Corriere delle Alpi del 23 settembre.
Prima. Il sindaco di Lozzo, riguardo all’apertura della strada per Pian dei Buoi, ebbe a dire (era il 7 settembre): «In questo caso i tempi per riuscire ad arrivare in cima a Pian dei Buoi sono più lunghi, direi non prima di una settimana», e per questa sua intemerata – nonostante già dalla serata del 5 settembre nulla ostacolasse il raggiungimento dell’altopiano in auto – si meritò un plauso.
Fui frettoloso. Del resto, al riguardo avevo espresso la mia convinzione:
Insomma, non avrei scommesso un euro bucato sulla riapertura della strada in questo scorcio di stagione (e personalmente resto convinto che l’apertura alla viabilità ordinaria sia un azzardo), men che meno in una settimana.
Ma confidiamo in una prossima nonché lieta riapertura (cos’è una settimana in più o in meno rispetto all’eternità?).
La seconda riguarda gli accenti. Riferendosi alla strada di Val da Rin, si legge che essa “rappresenta l’unica ancòra di salvezza“. Capiamo il nobile intento di distinguere ancora (anche ora) da àncora, ma un accento aperto sulla “o” non s’è mai visto (anche se in qualche parlata regionale quella o viene pronunciata aperta). Regola generale (non solo per i corrieristi delle alpi): gli accenti che non siano canonici, lasciateli perdere.
La terza amenità riguarda le ostruzioni: “E lo fanno allungando l’occhio verso la Val da Rin che oggi, con la strada che da Lozzo sale a Pian dei Buoi ostruita in più punti dalla frana…“.
Ribadisco: la strada che da Lozzo sale a Pian dei Buoi era stata sgomberata da qualsiasi ostacolo (vedi link già segnalato), quindi liberamente percorribile dalle auto, già dalla serata del 5 settembre, ad opera dei Servizi forestali della Regione (ai quali, nel tardo pomeriggio, s’era aggiunta la pala del comune presso la Boa). Quindi: ostruita certamente no. Ma, ovviamente, neanche sicura, tant’è vero che è poi stata prontamente chiusa al traffico.
(continua)
I Parchi della Memoria, anche solo limitandosi alla provincia di Belluno, sono milioni di milioni. Oltre a quello di Pian dei Buoi, sulla cui vergognosa e perdurante condizione s’è già detto, v’è per esempio quello “delle Tre Cime”.
Qui, nel vetusto progetto Interreg “I luoghi della Grande Guerra in provincia di Belluno“, che ha dato origine ai Parchi della Memoria (PdM), erano previsti due percorsi di visita (qui il pieghevole in pdf): quello chiamato “Forcella Lavaredo” e quello chiamato “Quota 2385 ai Piani di Lavaredo”.
Il 99,9% dei lavori (compiuti dai Servizi forestali della regione) interessarono il secondo, quello “Quota 2385”, mentre il primo venne solo descritto (e lo 0,1% corrisponde, più o meno, alla posa di una tabella), ché non c’era altro da fare.
La prima parte del percorso “Forcella Lavaredo” altro non è che il cosiddetto sentiero d’arroccamento approntato dagli italiani all’epoca della Grande Guerra; dai pressi del Sasso di Landro corre verso est alla base delle pareti meridionali delle Tre Cime (in parte in galleria e il resto sui ghiaioni) fino a giungere all’estrema propaggine rocciosa di queste ultime, la cosiddetta Minima (scheggia della Cima Piccolissima alla quale erano incastonati gli scudi dello stante n.12, che segnavano la linea di confine determinata nel 1753 tra la Serenissima e il Tirolo ), prospiciente forcella Lavaredo.
Questo percorso di visita (del PdM) che transita a “quattro passi” dal rifugio Auronzo, comunque a carattere escursionistico, tanto affascinante quanto appagante, si percorreva con scioltezza (se non proprio disinvoltura) lungo tutto il tracciato. Oggi non più.
Qualche evento meteorico di una certa esuberanza ha scavato un rosario di sei-sette canaloni (preesistenti) abbastanza profondamente da ostacolare la progressione, in particolare all’inizio quando dagli avancorpi del Sasso di Landro si cala in direzione del rifugio.
Niente che non si possa affrontare, sia chiaro, pur mettendo in conto qualche “ranon” che su quel terreno “infido” è quasi obbligatorio, tanto più se si è partiti a Malga Rinbianco e quindi si hanno già 700 m di dislivello nelle gambe (il classico “anello” di visita inizia a Malga Rinbianco, sale al Col di Mezzo e quindi all’avancorpo del Sasso di Landro, percorre il sentiero di arroccamento, torna ai Piani di Longeres e si chiude raggiungendo nuovamente la malga attraverso la Val de l’Aga).
Insomma: di una sistematina, una limatura, un raccordo “calanchivo” si sentirebbe quasi la necessità: in fondo è uno dei percorsi di visita del PdM dell’area Tre Cime (ma-chi-ttte-conosce!).
(prima però bisognerà che gli auronzoli – i nani d’Auronzo – prendano coscienza dell’esistenza di Biancaneve (PdM); solo dopo potremmo, eventualmente, vederli all’opera; sembra invece che i lozzoli – i nani di Lozzo – questa presa di coscienza l’abbiano maturata, sicché la Biancaneve lozzese dovrebbe ricevere quanto prima le necessarie attenzioni; se così non fosse il fardello toccherebbe al principe azzurro…)