MARIO RIGONI STERN, SCRITTORE E PATRIOTA, FIGURA DI GRANDE ATTUALITA’
di Giuseppe Zanella
Mario Rigoni Stern è uno degli scrittori ‘contemporanei’ che più sono apprezzati, ammirati e stimati. Personalmente, amo molto la lettura di autori contemporanei e non, autori di narrativa, autori di romanzi, autori di saggistica e, soprattutto, autori di scritti di natura storica, attinenti magari a eventi con caratteristiche autobiografiche… Ed è quest’ultimo aspetto dell’opera dello scrittore di Asiago che più attrae e coinvolge. Di Rigoni posseggo quasi tutta la sua cospicua e ponderosa opera storico/letteraria, in special modo quella relativa al suo vissuto di soldato, di combattente su vari teatri di guerra, di reduce dal fronte russo, con le inenarrabili vicissitudine relative alla ritirata dal Don, di internato nei lager nazisti, con il retaggio di sofferenze fisiche e morali sopportate con stoicismo e con encomiabile dirittura etico-patriottica.
E di tale personaggio, spesso, leggo e rileggo i suoi “lavori”, riuscendo sempre a trarre nuovi spunti di riflessione e cogliendo aspetti sempre nuovi dalla sua prosa di elevato livello, ma anche così lineare, sapendo egli descrivere con maestria fatti e situazioni intimamente vissuti facendo uso sovente di un tono elegiaco e di una “caratura” poetico-letteraria di assoluto rilievo. Oggi ho riletto “Aspettando l’alba”, una miscellanea di racconti, di ricordi, di sensazioni, di stati d’animo che coinvolgono il lettore per la loro efficacia, per la sensibilità ed acutezza di introspezione psicologica e per la capacità evocativa che l’autore sa mettere in evidenza nell’analizzare i sentimenti e le rimembranze, spesso drammatiche, sconvolgenti e coinvolgenti che hanno visto Rigoni come protagonista.
La struttura del libro si articola essenzialmente in due parti: racconti di guerra e di prigionia da un lato e descrizione della prodiga natura dall’altro lato, con la penna dell’autore che sa alternare e modulare questi due aspetti in un felice contrappunto. Elegiaci e struggenti appaiono certe rievocazioni storiche, ad esempio quella della figura dell’alpino Romedio e della sua mula, che riescono a salvare decine di soldati feriti nella ritirata dal Don. Altruismo ed eroismo sono gli elementi essenziali che caratterizzano questo ed altri episodi. Profonda impressione suscita l’episodio della bottiglia di grappa nascosta dal sottotenente torinese Roero in una trincea di monte Palo e casualmente ritrovata trenta anni dopo dal “recuperante” Albino Vu, amico dell’autore… Scritta con grande maestria ed intima sofferenza appare poi la descrizione del ritorno dell’autore, con moglie, figlio e nuora, sui luoghi che lo videro in “cattività”, soggetto all’arbitrio teutonico di autentici aguzzini: si tratta del lager I/B in terra polacca.
Il vero contrasto, il vero discrimine messo in luce da questa visita è costituito dall’immagine “bucolica” dei luoghi, ora così verdeggianti e pascolo di greggi di pecore “tranquille”, il tutto contrapposto, nella mente del visitatore, alla tetraggine di quella stessa area come appariva 60 anni prima: “un’area di fame, di morte, di miseria, di urla di comando”. Rigoni riesce ad individuare l’area dove sorgeva la sua baracca e dove erano ubicate le varie strutture del campo… Oltre al recinto che ora delimita e racchiude il gregge, sono cresciuti degli alberi di melo selvatico i cui piccoli frutti, caduti per terra, riescono ad essere addentati da alcune pecore. E così anche Rigoni decide di mangiare pure lui una mela, una mela del lager I/B, quasi si trattasse “di un dono che la natura gli offre di diritto come risarcimento di tanta non natura patita”. Sembra ora proprio impossibile che su quel lussureggiante, erboso prato dove ora pascolano tranquille le pecore, un tempo avvenissero cose di inaudita cattiveria e sopraffazione dell’uomo sui suoi simili.
Un cenno particolare merita infine l’idilliaca descrizione dei paesaggi montani intorno al paese dove l’autore è nato e le rimembranze sulla vita agreste del passato, sul fluire inesorabile del tempo e sul susseguirsi delle stagioni, con riferimenti ad una flora e ad una fauna “dipinte” con pennellate da vero, sensibile ‘artista’ dalla penna facile, briosa ed erudita. Ma dove il sentimento risulta esaltato in una “poesia” di alto livello e trasparire nella sua grande efficacia didattico-istituzionale avverso alle aberrazioni dei vari totalitarismi patiti sulla propria pelle, è laddove l’autore saluta i suoi amici Primo Levi e Nuto, l’alpino del Tirano e poi partigiano nelle file di Giustizia e Libertà.
Sono pagine di una bellezza unica, intrise di patriottismo e di forti idealità, molto istruttive circa i valori di una generazione che combatté contro la tirannide al fine di tenere alti i principi fondanti della Repubblica appena nata e basata su uguaglianza, libertà e fraternità. Pagine che andrebbero lette nelle scuole quale insegnamento e monito alle presenti generazioni affinché il sacrificio di tanti valorosi di allora non vada dimenticato e magari reso vano dal ‘revanscismo’ di chi, ora, in buona o cattiva coscienza, per calcolo od ignoranza, il demone del passato lo vorrebbe far rinascere. In questo senso risultano di grande attualità gli insegnamenti e gli scritti di Mario Rigoni Stern e questo suo libro (con l’intera sua opera storico-letteraria) dovrebbe servire ad esorcizzare il ritorno ad un torbido passato.