l’insegnamento del mamelico inno della Casta tricolore è ora puttanata nazionale
All’inizio di Marzo, con una certa pena, scrivevo:
L’inno di Mameli diventerà obbligo scolastico. Sembra. Siamo alle solite. Proposta bipartisan senza l’appoggio della Lega. Ma ve li immaginate i bastardos che ci stavano portando al collasso-paese, a dicembre eravamo a pochi centimetri dal baratro, che disquisiscono di inno nazionale e propongono di farne materia obbligatoria a scuola? Certo che ci riuscite, immaginarsi la Casta con le mani nel sacco è quasi un atto catartico. […]
Ho spiegato più volte a mia figlia, diciasettenne fertile mente (tutta sua madre), i vari motivi che mi fanno ritenere lo Stato italiano occupante il suolo veneto ed il suolo cadorino. Ma non gliel’ho mai spiegato perché volevo che lo sapesse, è sempre stata lei a chiedermi spiegazioni, a seguito di mie prese di posizione in discorsi famigliari. Un solo obbligo le ho imposto, sapendo che poteva assecondarlo: quando si rivolge a me, deve parlarmi in ladino, l’italiano è bandito (per me è semplicemente una comoda lingua franca), altrimenti non rispondo. E così è stato.
Concludevo riferendomi alle imprese dei parlamentari italioti:
A lei non toccherà la pena di imparare obbligatoriamente l’inno di Mameli, e deciderà da sola quanto peso dare alla costituenda “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera” che sembra far parte della proposta elaborata dalla Casta tricolore. No, questa volta Monti non c’entra. Non è una tecnoputtanata. E’ una puttanata e basta.
E’ ancora una puttanata e basta. Solo che è diventata (quasi) norma naziunale.
Un po’ come la legge del Menga (chi ce l’ha nel c.. se lo tenga). Di buono c’è che, come osserva il brillante Gilberto Oneto, ce lo danno senza pagare.