le case chiuse e il monsignore (dei nuovi indicatori demografici)
Si prova una certa tenerezza nel leggere ciò che riporta un articolo del Corriere delle Alpi sulle dichiarazioni di tale Diego Soravia, di mestiere monsignore. Mi dico che siamo in buona compagnia e la mente va tosto al demografo di corte di Lozzo di Cadore (quello demosociopatico): l’uno traeva conclusioni sul crollo demografico contando il numero di fruttivendoli che una volta c’erano e oggi non ci sono più, l’altro contando le case chiuse e/o i cartelli affittasi e vendesi.
Va detto che il prelato resta coi piedi per terra, cosciente della propria pochezza umana (pochezza di noi tutti), quando afferma che “Non sarà questa mia riflessione che cambierà la situazione“. Meno male perché, se ne fosse davvero capace, sarebbe conteso dalle Alpi alle piramidi come un nuovo messia. Va notata la viva speranza che il monsignore ripone nelle doti patriotiche della “saggezza della gente di montagna che sa come risolvere i propri problemi con determinazione e con un pizzico di fantasia” alle quali, par di capire, egli si affida per la conquista di un fulgido avvenire del nostro territorio. Positivo inoltre che, di fantasia, ne serva solo “un pizzico”.
Del resto anche il demosociopatico lozzese, in un momento di rara lucidità, s’era posto il dilemma “viene spontaneo chiedersi da dove ripartire per rigenerare quell’intraprendenza creativa nei settori del manifatturiero, dell’agricoltura e del turismo che ha sempre caratterizzato Lozzo in ambito cadorino“. Come sapete il mio consiglio, in questo caso specifico, è di partire dallo zucchino.
PIEVE DI CADORE. «Troppe case disabitate a Pieve di Cadore»: lo scrive monsignor Diego Soravia sull’ultimo numero di “Sentieri”, bollettino delle parrocchie di Santa Maria di Pieve e San Tomaso di Pozzale. L’arcidiacono, durante le visite per la tradizionale benedizione alle famiglie subito dopo Pasqua, ha fatto quello che è a tutti gli effetti un sondaggio, anche se solo per sommi capi. «Tornando il canonica, dopo aver incontrato le famiglie», scrive dunque l’arcidiacono, «mi veniva spontaneo fare un ragionamento tra me e me sulle case e le famiglie incontrate. Spesso restavo impressionato dalle tante abitazioni chiuse, dai numerosi cartelli “affittasi” o “vendesi”. […] Intanto le case disabitate subiscono il degrado e l’abbandono. Non sarà questa mia riflessione che cambierà la situazione, nessuno ha la bacchetta magica per risolvere dall’oggi al domani il problema. Vale la pena però di riflettere con coraggio e competenza sulla situazione che richiede interventi legislativi capaci d’incentivare il vivere in montagna, ma anche la saggezza della gente di montagna che sa come risolvere i propri problemi con determinazione e con un pizzico di fantasia». […]