L’ARROGANZA DELLA “SORELLA D’ITALIA”
Giuseppe Zanella
NB-Per il titolo mi trovo a condividere (il ché è tutto dire) il giudizio del noto dirigente della galassia berlusconiana, Dr Rossella.
In questi oltre 7 mesi di governo meloniano si è vista all’opera una compagine di “duri e puri”, per la gran parte seguaci di nostalgiche ideologie malamente camuffate per ragioni di mera opportunità politica, ma sostanzialmente sostenute nei fatti dal mancato riconoscimento della natura ‘antifascista’ della nostra Carta Costituzionale, sulla quale, peraltro, essi hanno giurato.
Oltre alla qualifica di ‘duri e puri’ ben poco resta delle qualità, della competenza, della preparazione storica, giuridica, economica e, soprattutto, istituzionale di questo gruppo proveniente da un variegato mondo di destra-centro, legato insieme dal solo collante del potere per il potere. E ciò è provato dalla visione politica fin qui limitata a parlar d’altro, esulando dai drammatici problemi che assillano anche quella fetta credulona di popolo che li ha votati. Evito di parlare dell’elenco dei falsi obiettivi perseguiti fin dal primo giorno di operatività di questo dicastero, il primo di destra-destra (definizione bersaniana). I continui sproloqui e le incredibili dichiarazioni di ministri quali Lollobrigida (cognato tuttofare), di Sangiuliano, di Piantedosi, del noto capitano leghista (per non parlare poi della seconda carica dello Stato…), sono la lampante conferma della qualità insuperabile (in senso negativo) di una classe dirigente raccogliticcia ed alquanto… ’claudicante’ in termini di preparazione ed opportunità politica in senso lato.
Ma l’arroganza ed il camuffamento della realtà messe in mostra dalla nota ‘sorella’ che siede a Palazzo Chigi ha incominciato ad evidenziarsi con le sue “soddisfazioni”, più volte ripetute, per i risultati che avrebbe ottenuto a Bruxelles alle sue reiterate richieste. I fatti dimostrano però che la posizione italiana, a livello europeo, è di un imbarazzante isolamento (escluso l’appoggio del leader magiaro, tale Orban) ed il ritorno a Roma è sempre stato… a “mani vuote”. Ora, la montagna ha partorito il classico topolino: il taglio del cuneo fiscale (“meglio piuttosto che niente” dice qualcuno), ma la misura è una-tantum e per soli 5 mesi. E dopo? Per renderla strutturale occorrono almeno 10/12 mld, che allo stato risultano introvabili. Di contro, la ‘sorella’ ha provveduto a riprestinare alla grande i vaucher, a incentivare il lavoro precario con l’allargamento dei contratti a termine, con il trascurare e penalizzare le derelitte ‘Sanità’, ‘Istruzione’ e ‘Giustizia’ ed a revocare praticamente il Reddito di Cittadinanza. Insomma, con una mano si dà poco e male, con l’altra si sottrae molto e si penalizzano i poveri.
Questo parlare d’altro, questo vantare provvedimenti di dubbia qualità ed efficacia ha, in questi giorni, trovato una nuova manifestazione nell’apertura del capitolo “Riforme Istituzionali”. La mia non verde età mi consente di ricordare i vari tentativi di modifica della nostra Carta fondamentale, tutti comunque miseramente falliti. Ed ogni tentativo prevedeva la creazione di indubbi squilibri fra i poteri dello Stato, laddove, invece, la Carta aveva previsto, e tuttora prevede, un perfetto bilanciamento fra le attribuzioni previste fra le varie Istituzioni della Repubblica.
La citata ‘sorella’ lamenta che occorre maggior potere all’Esecutivo, vorrebbe il premierato forte, magari l’elezione diretta del capo dello Stato (una autentica tagliola sull’unica Istituzione di garanzia ancora perfettamente funzionante; se un tale disegno passasse, sarebbe una autentica dichiarazione di sfratto all’attuale Presidente, da sempre considerato espressione non certo di questa destra retriva). Ma poi, perché più potere all’Esecutivo quando quest’ultimo lo ha già in abbondanza e lo dimostrano le scelte molto discutibili sulle modalità adottate (ad esempio, decreti ‘contra personam’) per il rinnovo delle cariche apicali nelle strutture essenziali/operative nazionali (Forze armate, GdF, Rai, Enel, Eni, Leonardo, Cassa Depositi e Prestiti ecc.). Tutto sarebbe poi a detrimento dei poteri propri del Parlamento (e della sua funzione anche di controllo).
Tornando alle esperienze del passato, vanno ricordati i tentativi esperiti dalle commissioni:
-Bozzi, De Mita-Jotti, dalla bicamerale D’Alema-Berlusconi (detta anche del “patto della crostata”, fatta fallire poi da quello che io continuo a definire l’”Innominato”); ci fu poi il tentativo del Centro destra nella nota baita di Lorenzago (auspice l’altro divo Giulio, che di cognome faceva e fa Tremonti) con i 4 “giureconsulti” allora definiti “Saggi” (Francesco D’Onofrio, Andrea Pastore, Roberto Calderoli e Domenico Nania), i quali, fra uno stornello e l’altro, magari frammezzato a qualche opportuna libagione data l’altitudine, avevano proceduto ad un vero taglia-cuci della nostra Carta, il tutto da vero ‘gruppo sartoriale’, ma con ben poche qualità di veri costituzionalisti. Risultato: solenne bocciatura. Per ultimo, abbiamo assistito al tentativo del ‘Rignanese’, miseramente abortito a seguito del magnifico referendum che decretò, con il 61% dei suffragi, anche il naufragio politico del grande chiacchierone toscano.
Ora ci riprova la ‘sorella d’Italia’ con ben maggiori probabilità di riuscita (per ora, tende a spaccare maggiormente le minoranze, senza la assistenza di un chiaro disegno attraverso la presentazione di una bozza purchessia). Le maggiori possibilità di riuscita sono date da quel 2/3 dei voti parlamentari necessari per evitare la indizione di un referendum confermativo. Certo, con l’appoggio di Calenda e del Rignanese, questo forse sarebbe possibile. Altrimenti, la consultazione popolare infrangerebbe questi strumentali disegni di politici di così basso profilo (FdI ha avuto il voto di un italiano su quattro ed i renitenti al voto si farebbero certamente vivi… senza alcun dubbio).