introduzione della ‘Storia di un tacchino che credeva d’essere un’aquila e si è svegliato nei panni del dugo’
Quella che segue è l’introduzione del libretto Mauro, un consumatore abusivo di “vuove de dugo” (divagazioni sentieristiche) che potete liberamente scaricare a questo indirizzo:
(devo ancora spedire una copia cartacea – ne ho fatte tre – al direttore de il Cadore, al sindaco e alla sezione Cai di Lozzo)
Nel numero di ottobre 2015 del foglio mensile “il Cadore”, nella rubrica “Lettere” a p. 15, viene pubblicato lo scritto che potete leggere nella sua interezza a p. 4 della presente raccolta. In tale scritto, titolato La giungla sentieristica sulla montagna di Lozzo, l’autore descrive la rete sentieristica del comune lozzese ritenendola, ovviamente secondo la propria opinione, “un cattivissimo esempio”. Ohibò, nientepopodimeno che “cattivissimo”! Un’aggettivazione che anche un poppante farebbe fatica ad usare in circostanze simili e in riferimento all’argomento esaminato (perfido, spietato, maligno, abietto, truce..?). Ma tant’è.
Il direttore del foglio cadorino, che evidentemente conosce il territorio di Lozzo e la sua rete sentieristica come una cozza di Malamocco conosce la Grande barriera corallina australiana, gli dà spazio e noi glie ne siamo grati. Del resto trattasi di opinione e ogni opinione ha diritto d’essere espressa, tanto più se ad aprire le porte alla fanfara è l’organo di propaganda dei sindaci cadorini. Io, che il Cadore lo leggo per trarre continui spunti per la rubrica “il Cadore in calore” – che appare ove sì ove no sul mio blog, il BLOZ – vengo subito attratto da quel titolo in stile “io Tarzan, tu Gein” (La giungla…).
Leggo il polpettone e sgrano gli occhi quando scopro che è firmato da tale Mauro Del Favero, che, in un primo momento, mi convinco essere un mio conpaesano. Ritenendomi il “padre putativo” del Parco sentieristico Terre Alte di Lozzo di Cadore (per il lavoro svolto in tutti questi anni allo scopo di salvare dall’abbandono i sentieri non appartenenti al catasto regionale: ne sono passati 30 dal primo piano sentieri del 1985), mi sento direttamente chiamato in causa ed elaboro, quindi, due righe di attonita sorpresa che getto nel BLOZ (vedi sempre a p. 4).
Ma il Mauro Del Favero di Lozzo, precisando d’essere del casato de chi de Fumol, ribatte nel volgere di qualche ora che, questa volta, ho preso una bella cantonata, trattandosi di omonimia. Quindi, concludo, c’è un altro Mauro Del Favero (sempre che abbia usato davvero le credenziali donate da papà e mamma al momento della sua comparsa), sprovveduto in campo sentieristico, che alberga in qualche altro loco cadorino (presumibilmente).
Fin dal principio ho connotato tale sprovveduto come “consumatore abusivo di vuove de dugo”. Nella parlata ladina il detto “Te ses propio n dugo!” equivale all’espressione italiana “Sei proprio un allocco!” (dugo sarebbe propriamente gufo, ma in ladino la parola qualifica anche l’allocco). Il detto trova fondamento nell’espressione vacua, finanche sciocca, che assume il dugo a cagione dei propri grandi occhi rotondi e fissi (si veda, a conferma, l’immagine di copertina). Similmente, l’espressione “Asto bevù vuove de dugo!?” qualifica la persona che, da uno stato naturale d’ingenuità, tende a perpetuare questa condizione alimentandosi, per l’appunto, con vuove de dugo.
Porte le mie dovute scuse a Mauro Fumol, denominato “Mauro(xy)” il nostro incognito sprovveduto, mi sono lasciato stuzzicare dall’idea di cogliere quest’occasione per un approfondimento della “questione sentieristica”, con la speranza che possa avere una valenza didattica, oltre che per lo sprovveduto, anche per una più vasta platea di lettori (compresa la cozza di Malamocco). In fondo, si tratta di un aspetto del nostro territorio e della nostra identità di non secondaria importanza.
Da ciò sono scaturiti 19 post pubblicati sul BLOZ che ho qui raccolto assieme per dare organicità all’argomento. Ho più volte esortato Mauro(xy) a farsi vivo per un confronto a tutto campo, ma, fino a questo momento, ha preferito crogiolarsi nella sua profonda quanto beata ignoranza.