in Regione Veneto continua la telenovela delle Unions
L’unico ad aver veramente titolo per chiedere di avere finalmente sotto gli occhi i contenuti del disegno di legge che riguarderebbe (condizionale d’obbligo) l’istituzione e la disciplina delle Unioni Montane di Comuni, dette anche Unioni Montane, è Costantino Toniolo, presidente della Prima commissione del Consiglio regionale del Veneto (Affari istituzionali).
La commissione sta infatti per licenziare il progetto di legge n.196 sulla disciplina dell’esercizio associato di funzioni e servizi comunali, e Toniolo ha il timore che le due normative possano sovrapporsi (che rischino di sovrapporsi è il minimo …) generando “confusione”.
Le Unioni montane dovrebbero mettere assieme (ma non si sa ancora come) le funzioni delle attuali Comunità Montane e quelle delle Unioni dei comuni (ancora da farsi ma regolate dalla già citata p.d.l. 196: norme che obbligano i comuni sotto i 5000 abitanti ad associarsi bla bla).
Toniolo ha intanto già preso atto delle preziose raccomandazioni fiorite all’incontro Chi governerà il Cadore dopo la Provincia? ed ha già dato assicurazione che ogni timore legato alla necessità di “… prevenire una qualsiasi soluzione dirigistica confezionata chissà dove” è destituito da ogni fondamento (si veda anche l’articolo sull’unione dei neuroni).
Nella telenovela delle Unions, si sa che dopo il battibecco iniziale del 31 gennaio scorso, i Marini, Finozzi e Zorzato, sono ad oggi rimasti sulle loro posizioni e che Zaia ha risolto momentaneamente la cosa promettendo di armonizzare le due vision sulle Unions con il metodo del «frullatore», così efficacemente descritto da Alda Valzan sul Gazzettino con la 2a puntata della spinosa vicenda. La quale Vanzan sottolinea fra le altre cose:
[…] L’ufficio legislativo della Regione, in un circostanziato parere, aveva evidenziato tutte le criticità del disegno di legge sulle Unioni montane. Ad esempio: «Non è chiaro se l’adesione dei comuni alla forma associativa denominata Unione montana si configuri quale opportunità per i comuni stessi per l’esercizio delle funzioni comunali in forma associata o, piuttosto, si configuri quale unica modalità per l’esercizio di dette funzioni». Della serie: se fosse un «obbligo», ciò risulterebbe in «conflitto» con la normativa statale di riferimento, visto che la legge nazionale dà la possibilità ai comuni di scegliere tra unione e convenzione. Solo per i comuni con meno di mille abitanti la norma statale (decreto legge 138/2011) stabilisce l’unione. Per gli altri no. Senza contare che la “legge Finozzi” – diceva il Legislativo – andrebbe coordinata con la “legge Ciambetti” «attesi i molteplici aspetti di contatto tra le due discipline». E questo è l’unico suggerimento accolto: appunto, il «frullatore». E le criticità? L’invasione di competenze? Il rischio di un’impugnativa? In cestino.
Facciamo nostra naturalmente la domanda finale che la giornalista si pone:
Domanda: se manco la stanno a sentire, a che serve in Regione una Direzione Affari Legislativi?
Ma noi una rispostina l’abbiamo: magari le osservazioni della Direzione Affari Legislativi non sono state tenute in debito conto, ma a supplire devono essere bastate tutte le indicazioni di merito raccolte nel famoso incontro, quello già citato, di Guglielmo Tell e del Reggi Pomo.