Gli ideali indimenticati di Terenzio Baldovin ‘Susana’
Il dramma umano di Terenzio Baldovin è ben descritto in “Protagonisti” la rivista ISBREC. Arrestato a Lozzo nell’autunno del ’44 a seguito di rastrellamento, Baldovin fu dapprima internato nel blocco “E” del campo di Bolzano e poi a Obertraubling in Germania dove morì nell’aprile del ’45. Commoventi le lettere fatte giungere furtivamente alla madre. Dopo molte peripezie la figlia riesce finalmente a seppellirlo a Lozzo nell’aprile 2002.
di Giuseppe Zanella*
Anche in Cadore il ‘Secondo Risorgimento Italiano’ ha visto assurgere nell’olimpo dei campioni dell’Amor di Patria fulgide figure degne di imperituro e grato ricordo. Quando si dona la propria giovane esistenza per un nobilissimo scopo quale quello della difesa delle Istituzioni e del Sacro suolo della Patria, della Storia e degli Ideali al concetto di Patria così intimamente legati, il supremo sacrificio assume una più accentuata valenza educativa ed edificante quanto più la memoria e l’esempio vengono tramandati alle nuove generazioni con la forza di un culto per la terra natia foscolianamente vissuto e convintamente praticato.
Anche nell’eroismo c’è però una genesi ed una nemesi con caratteristiche di gradualità qualitativa ed intensiva: c’è chi è morto perché colpito da un cecchino o perché vittima di un bombardamento; c’è chi è stato ferito gravemente ed il suo fisico, alla fine, ha ceduto. C’è infine chi, per non venir meno alle proprie profonde convinzioni ed al giuramento di fedeltà alla Patria, è stato messo in ceppi, ha sofferto atrocemente, nel fisico e nello spirito, vessazioni ed umiliazioni di ogni genere, privato della libertà, sottoposto a torture e patimenti inenarrabili, al lavoro coatto fino allo sfinimento ed a morire di inedia e di fame o ad essere ucciso, all’avvicinarsi della inevitabile sconfitta dei carcerieri, per eliminare scomodi testimoni delle infamie e nefandezze teutoniche.
Ed a proposito di questa fattispecie, si parla di eroismo non ‘fortuito’, non dovuto cioè ad un impeto momentaneo di coraggio estremo, ma di scelta cosciente, ragionata, sofferta e coerente con profonde convinzioni basate su valori che affondano le proprie radici, giustappunto, in un ‘sviscerato’ “Amor di Patria”. Ed è a questa ultima schiera di martiri che è da ascrivere l’eccelso eroismo che ha caratterizzato la lotta di popolo per scrollarsi di dosso il turpe giogo dell’oppressione straniera. A questa schiera di eletti va annoverata la figura del lozzese Baldovin Terenzio ‘Susana’, appartenente alle formazioni della brigata ‘Calvi’ con il nome di battaglia ‘Messicano’.
Terenzio era nato a Lozzo il 5/4/1926 e stava studiando privatamente per conseguire il diploma magistrale. Gli ideali del novello P.F. Calvi, il prof. Alessandro Gallo, alias ‘Garbin’, avevano fatto breccia nel nostro che aveva aderito alle formazioni dei ‘Volontari della Libertà’ operanti sul territorio. La tragicità degli eventi che avrebbero riguardato Terenzio sono ben descritti in un lungo capitolo del libro “Protagonisti”, rivista ISBREC per la ‘agile’ penna di F. Vendramini. Titolo del capitolo: “Tre donne cadorine prima e dopo l’Alpenvorland: ricordo di Terenzio Baldovin”. E’ questa una lettura che appassiona e coinvolge il lettore con la descrizione di una figura di eroe moderno il cui dramma coinvolge il suo essere patriota fin nelle sue più intime fibre; lo scritto non trascura, nel contempo, la narrazione del dramma umano di un essere che presagisce la fine ed è conscio di non poter conoscere la figlia che nascerà dalla sua giovane fidanzata.
Elegiaca e tragica dunque la figura di Terenzio, ma umanamente di rilievo anche il profilo che Vendramini sa trarre dalla descrizione del dramma famigliare, in particolare laddove delinea e traccia, con brevi, significative pennellate, la figura della madre, della fidanzata e, soprattutto, della figlia. Quest’ultima gradualmente prende coscienza della sua condizione di orfana e riesce a riportare, dopo innumerevoli ricerche e peripezie, le spoglie del padre alla sua terra natia; e tuttora questa figlia ‘combatte’ perché il sacrificio del genitore venga riconosciuto degno di menzione particolare dalla autorità civile del borgo natio che Terenzio, con il suo sacrificio, ha permesso di salvare da sistematica distruzione.
L’occupante teutonico, in quel lugubre autunno del ’44, cercava spasmodicamente i responsabili degli attentati alla diga di Auronzo, a quella del Comelico ed al ponte Nuovo, quest’ultimo manufatto posto poco dopo l’abitato di Lozzo. A tal fine ci fu il rastrellamento in piazza di tutta la popolazione ‘attiva’ del paese ma nè Terenzio Baldovin nè l’altro ricercato, Vincenzo Calligaro, vennero sulle prime riconosciuti. La minaccia era quella dell’uccisione di tutti gli ostaggi e della distruzione del paese qualora i responsabili del ‘misfatto’ non si fossero spontaneamente consegnati. Momentaneamente assentatisi i militi teutonici, dopo poco essi riapparvero ed arrestarono i due partigiani (delazione? Chissà!!), tra l’altro non assolutamente coinvolti negli episodi degli attentati sopra menzionati.
E così ebbe inizio l’odissea del povero giovane: subito Cortina e poi Bolzano le prime tappe; sì, proprio il famigerato campo di Bolzano dove imperversava ed agiva indisturbato il pluri pregiudicato capo degli aguzzini, tale Misha, che torturava e spadroneggiava nelle celle, soprattutto di notte (quest’individuo è recentemente deceduto in Campania dove scontava la condanna all’ergastolo, e la sua salma ora viene rifiutata da tutti, ndr) E’ a Bolzano, per testimonianza diretta di Vincenzo Calligaro (che ritornerà a casa poco dopo l’arresto e la deportazione), che Terenzio si rifiuterà di sputare sulla bandiera Italiana e, anzi, griderà con quanto fiato aveva in corpo, il suo “Viva l’Italia!! “. E fu subito internato nel blocco ‘E’ riservato ai ‘pericolosi’. Commoventi ed eloquenti le brevi, affettuosissime lettere furtivamente e rocambolescamente fatte pervenire alla madre; due i crucci dell’Uomo: lasciare disposizioni per il riconoscimento della figlia e ribadire il suo amore alla fidanzata, alla madre ed a tutti i famigliari; e poi toccanti i riferimenti alla fame e gli appelli per ottenere le tessere per il pane. Dopo il blocco ‘E’ arriverà il trasferimento in Germania e quindi il glaciale silenzio.
Qui ci vengono in aiuto gli appelli della Madre per conoscere la verità, quella madre che aveva intuito i pericoli che il figlio correva nel presentarsi alle autorità occupanti, diversamente dalla convinzione del parroco del paese che non aveva scorto il nome di Terenzio nei documenti visionati al comando tedesco.. Il dramma dell’uomo e del patriota si consuma nell’Aprile del 1945 ma il suo vero dramma si era già consumato precedentemente allorquando, in un laconico messaggio dal significato apparentemente enigmatico, Terenzio così scriveva al cugino Barnaba ed alla di lui fidanzata Battistina: “Famiglia onorata, non so scegliere tra la prigionia e la libertà perché entrambe sono senza scopo di vivere. Vostro Terenzio”.
Il suo dramma stava dunque tutto qui: salvare la sua vita andando contro i valori e gli ideali in cui credeva o seguire fino in fondo questi ultimi sapendo che il prezzo da pagare sarebbe stato proprio quello di immolare la propria giovane esistenza? E Terenzio scelse quest’ultima strada consapevole che, tra l’altro, era una strada che gli avrebbe inibito di poter gustare le gioie di marito e di padre… Morì di stenti, di fame, di inedia, forse ucciso per evitare testimonianze scomode a carico dei suoi carnefici… La dichiarazione di morte appare infatti alquanto strana: 6 italiani che muoiono in giornate prefissate, a due a due, è cosa che non può non suscitare sospetti… Ufficialmente Terenzio decede nel campo di Obertraubling, vicino Flossenbürg, il 3/4/45. Dopo defatiganti ricerche ad opera della figlia e molte peripezie, dal 25/4/2002 Terenzio Baldovin riposa finalmente nella sua Lozzo, accanto alle spoglie del padre Lorenzo, deceduto per cause di servizio, sempre nel corso del 2° conflitto mondiale.
Va precisato che Terenzio Baldovin, per parte di madre, era nipote della medaglia d’argento Giuseppe Da Pra Zotto, valoroso ‘ardito’ della guerra 15-18, cui Lozzo ha dedicato la scuola elementare. La figlia di Terenzio, per onorare degnamente il padre che con il suo presentarsi, innocente, davanti alla soldataglia tedesca funse da vittima sacrificale e salvò così abitanti e paese da distruzione certa, da anni perora la Sua causa con la richiesta della intitolazione al proprio genitore di un edificio pubblico o di una strada del paese. Nel 1981 si mosse perfino la segreteria del Presidente Pertini, poi l’Aned di Milano, fin qui, però, inutilmente. Perché lo zio del nostro, ucciso in battaglia, è ricordato con l’intitolazione di una scuola ed il nipote, eroe certamente non da meno, si vede denegato questo giusto e legittimo riconoscimento auspicato ed espresso dalla figlia?
L’eroismo, come qui spiegato, può assumere diverse connotazioni e valenze: quello di cui ha dato prova Terenzio appare certamente degno di menzione appropriata (non solo di una modesta -ed ora sbiadita!!- citazione sul monumento in piazza). Che i giovani sappiano e ricordino chi ha salvato il nostro paese pagando un prezzo altissimo (e ciò prescindendo da valutazioni ideologiche, oggi più che mai fuori luogo).
NB Il sindaco Mario Da Pra, all’epoca, aveva dato al Presidente Pertini una risposta certamente possibilista, subordinata all’assetto della toponomastica futura. Sono trascorsi 30 anni ed ora sembra che Terenzio debba continuare ad accontentarsi del suo nome (quasi illeggibile!!) sulla targa consunta del monumento.
* il testo del presente articolo è stato pubblicato sul numero di novembre (pag. 16) del foglio mensile Il Cadore.