GIORGIO NAPOLITANO: UN ADDIO SENZA RIMPIANTO
di Giuseppe Zanella
Scrivo queste note senza alcuna acrimonia verso il vegliardo che si appresta a lasciare il Quirinale dopo circa nove anni di permanenza e due elezioni (caso unico nella storia repubblicana). Dicevo ‘senza acrimonia’ ma limitandomi a citare alcuni fatti che hanno indelebilmente segnato, a mio parere in modo negativo, la presenza al vertice istituzionale di un presidente che la storia giudicherà presto in modo certamente non elogiativo. All’atto della prima elezione io nutrivo molta stima e simpatia per l’ex migliorista del PCI, pur non dimenticando i suoi passi falsi del passato (ad esempio, l’appoggio dato dal nostro all’invasione sovietica dell’Ungheria, nel 1956, con tutto ciò che l’operazione allora comportò).
A partire dagli anni ’60 e ‘70, Napolitano seppe però ‘aggiustare’ via via le proprie posizioni all’interno del partito tanto che il sosia di Umberto II° di Savoia (veramente sorprendente la sua rassomiglianza con il “Re di Maggio”) assunse posizioni sempre più marcatamente moderate e poté poi, con l’intervenuto disgelo politico conseguente alla caduta del muro di Berlino, fruire di importanti incarichi istituzionali (Presidente della Camera, ministro degli interni, europarlamentare membro di importanti commissioni). Eletto presidente della Repubblica su input prodiano e con i soli voti del centro sinistra, l’uomo suscitò presto molte simpatie negli italiani per la sua discrezione, moderazione e senso dello stato con cui affrontò i primi nodi della vita politica.
Il mio apprezzamento di allora non riuscì però mai a trasformarsi in entusiasmo: l’uomo aveva le sue caratteristiche di serietà e saggezza ma non aveva mai avuto, a mio modo di vedere, le caratteristiche di un vero statista, un emulo, ad esempio, di Pertini o di Einaudi. Le prime vere riserve su di lui incominciai ad averle allorquando lo vidi firmare molte ‘leggi-porcata’, in particolare la Lg sul ‘Legittimo Impedimento’ ed il così detto Lodo Alfano; e per quest’ultimo ‘lodo’, se ben ricordo, il Presidente giunse al punto di affermare “di non aver riscontrato particolari profili di incostituzionalità”. Già allora la pensavo in modo diverso e la Suprema Corte smentì l’assunto quirinalizio bocciando entrambe le leggi. Per inciso ed a riprova della squallida azione berlusconiana, altro esito negativo si ebbe con la bocciatura, attraverso il referendum abrogativo, che spazzò via l’allucinante progetto di riforme costituzionali del duo BB (Bossi- Berlusconi), ma in questo caso -se non erro- la controfirma fu del predecessore, (ricordate il lavoro taglia-cuci della nostra Costituzione, imbastito nella baita di Lorenzago, tra uno stornello ed una libagione, dai così detti esperti del centro destra?).
Ancor maggiori riserve nei confronti dell’inquilino attuale del Colle ebbi allorquando potei constatare la sua politica “dei due pesi e due misure”. E mi spiego meglio. Se le reprimende dell’uomo nei confronti del governo ‘Prodi 2’ per l’eccesso di decretazioni d’urgenza e per il ricorso a troppi voti di fiducia potevano apparire giuste, anche se la precarietà della maggioranza al Senato poteva giustificare, almeno in parte, tale condotta, altrettanto il Presidente si astenne ‘ignominiosamente’ dal fare quando i successivi governi del Berlusca quelle stesse anomalie le ‘praticarono’ in misura ben maggiore. Per non dire dei governi Monti, Letta e dell’attuale governo Renzi (i così detti governi del Presidente) i quali legiferarono (e legiferano, si fa per dire!) soltanto attraverso, giustappunto, decreti e ricorsi ai voti di fiducia. Ormai le anomalie sono diventate prassi nel totale silenzio del Colle. Perché? Ricordo poi la crisi del secondo governo Prodi e la pressione del Colle al fine di costringere il PdC ad evitare un voto di fiducia al Senato, dopo i pronunciamenti dei vari Mastella, Dini, Turigliatto, De Gregorio (quest’ultimo ora ammette di essere stato ‘comprato’ dal gran Pregiudicato).
Molti allora pensarono che l’insistenza quirinalizia fosse dettata dal fatto che il disegno sottile del presidente fosse quello di evitare un possibile reincarico al politico emiliano: un conto, infatti, era una crisi extraparlamentare (screditante), altro conto era, magari, una bocciatura per un voto nella sede parlamentare , con relativa assunzione di responsabilità, secondo il dettato costituzionale. Ma quello che trovai veramente intollerabile fu quanto appresi leggendo in proposito una sintesi dei diari con il pensiero dell’ex ministro dell’Economia di quel governo, il defunto Padoa-Schioppa. Per Padoa- Schioppa il comportamento di Napolitano non era soltanto impostato sulla ‘moral-suasion’ ma eccedeva di molto tale atteggiamento travalicando e debordando dai compiti istituzionali ed invadendo prerogative non proprie di un Presidente. Era ed è una accusa grave che il defunto ex ministro espresse senza esitazioni. E di interventi preventivi di Napolitano su decreti e su emendamenti negli iter parlamentari ce ne furono parecchi, una specie di filtro a maglia più fine di quello stabilito nella Costituzione; si trattò insomma, in molti casi, di valutazioni e responsabilità di natura squisitamente politica, escluse dalle competenze quirinalizie.
A giudizio dell’ex ministro, Napolitano ha sempre detestato il bipolarismo, la sua visione è sempre stata quella di perseguire un ben altro disegno politico: quello delle larghe intese al fine di eliminare dal quadro politico lo stesso concetto di alternanza, ripristinando così il potere assoluto dei partiti in ordine alla scelta di chi doveva e deve governare. E ciò con la pratica esclusione degli elettori dalle effettive scelte sia del Potere Legislativo (vedi legge sui nominati con liste bloccate) che dell’Esecutivo (scelto a posteriori dai partiti). E la malintesa forma di garanzia presidenziale nei confronti delle Opposizioni con la ossessiva ricerca di una ‘pacificazione’ altro non sarebbe, secondo Padoa-Schioppa, che un retaggio culturale dell’ex comunista, che non avrebbe mai dimenticato il diritto di veto della minoranza sulle scelte della maggioranza (vedi ‘epopea’ togliattiana, lotta e presa del potere negli stati satelliti, episodio Masaryk ecc.).
Per di più, nell’analisi, va messa nel conto ‘una ansia di popolarità’, sull’esempio delle figure di Pertini e Ciampi. Ed il suo picco di consenso l’uomo lo ebbe, forse, all’atto delle dimissioni del grande Pregiudicato. Ma Ciampi e Pertini (soprattutto quest’ultimo) erano popolari fra la gente. Napolitano ha invece cercato soprattutto il consenso fra i partiti, da vero professionista della politica. Non va dimenticato, lo ripeto, che egli firmò tutte le ‘leggi-porcata’ salvo poi vedersi bocciare alcune dalla Corte Costituzionale (capitolo a parte merita l’esito del referendum, attuato nell’anno di avvio del primo settennato, che pure avrebbe dovuto significare qualche cosa alla sottile mente giuridica del nostro…).
Emblematici di una certa mentalità furono anche alcuni suoi interventi nella vicenda che vide contrapposto il generale della G.F. Speciale all’Esecutivo. Il comportamento di questo comandante fu di sprezzo e dileggio delle Istituzioni, tanto che Padoa-Schioppa non esitò a definire tale comportamento ‘golpistico’. Ebbene, Napolitano nella querelle che vide in campo la posizione contraddittoria di un generale destituito, poi reintegrato dal Tar ed infine dimissionario da un incarico già revocato dall’Esecutivo, ebbe ad esprimersi in termini elogiativi nei confronti dell’insubordinato dicendosi convinto che costui fosse “animato da spirito di servizio verso le Istituzioni” e mettendo così in grave imbarazzo l’Esecutivo, che aveva riscontrato nell’alto ufficiale un atteggiamento di sfida.
Ed in questa diversa valutazione, un certo ruolo lo avrà magari giocato la volontà di non scontentare il Berlusca nelle cui file il generale si apprestava ad entrare. Con il suo intervento a gamba tesa, Napolitano riuscì a mettere il governo in una posizione che rasentò il ridicolo. L’Esecutivo fu infatti costretto a prendere atto che “il gen. Speciale rinunciava ad essere reintegrato” (dunque non era più in carica) ma poi il medesimo Esecutivo dovette aggiungere che “il generale poteva tranquillamente dimettersi” (da una carica che più non deteneva…).
Nel merito delle scelte opinabili fatte dall’Uomo (pur nel rispetto delle proprie prerogative) non va dimenticato l’escamotage sul rinvio di un mese sul voto di fiducia in occasione della uscita di Fini dalla maggioranza, cosa che ha consentito al Pregiudicato di rimanere in sella e vivacchiare ancora per circa un anno, fino alla nascita del governo Monti. Ed anche qui, molti italiani pensano tuttora che le elezioni sarebbero state scelta più rispondente allo spirito ed alla lettera della nostra Costituzione.
In conclusione, debbo ammettere tutto il mio disagio per una presidenza e per un uomo un tempo da me stimato ma al quale rimprovero scelte soggettive sbagliate o, quanto meno, opinabili. Scelte che hanno segnato e segneranno per anni il faticoso cammino della nostra Comunità Nazionale. Presidente Napolitano, buon pensionamento, senza alcun rimpianto ma con la consapevolezza di essermi dovuto ricredere in negativo su molti degli atti che hanno caratterizzato i suoi due mandati.