Gianfranco Miglio a dieci anni dalla sua scomparsa
A me lo Stato italiano è sempre sembrato troppo largo, valutato dunque lungo il parallelo da ovest a est, figuriamoci se non mi appare troppo lungo, dinoccolato da nord a sud. Già così, solo a guardarne l’ossatura fisico-territoriale, di questo stivale, non puoi pensare di poterlo governare centralmente. Ci hanno provato ed i risultati dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, che lo Stato italiano prodotto è uno Stato di merda.
Poi si fece strada un tale, Umberto Magno, che iniziò a parlare di territorio, di gente del territorio, di autodeterminazione dei popoli. Sparava anche grandi cazzate, quello che sembrava a tutti “un cialtrone”, finché non iniziò a raccogliere la protesta di “noi molti”, un sacco di voti, un vero e proprio terremoto, e tutti dovettero iniziare a considerarlo nel suo peso elettorale. Così il “cialtrone” divenne anche uomo di governo.
Molti di noi si sono avvicinati alla Lega di lotta perché a fianco dell’Umberto c’era la figura del Professore. Gianfranco Miglio ha sdoganato le frequenti fesserie pronunciate dal necessario “capopopolo” indicando ciò che si poteva raggiungere. E a molti di noi questa cosa è piaciuta subito: padroni sul proprio territorio (e tante altre cose, naturalmente).
Non mi piacevano molto le macroregioni da lui previste nel suo Modello di Costituzione Federale, ma ritenni che avesse perfettamente ragione quando consigliò di non allearsi con l’allora Forza Italia per entrare al governo. Dovevamo stare fuori e rompere lo Stato centralista italiano, con la forza della ragione e della consapevolezza, con la disobbedienza civile (vedi Henry David Thoreau). Ma a quel punto ci fu la rottura, e Miglio se ne andò per la sua strada.
Da un articolo di C. Lottieri su Chicago blog:
[…] Per Miglio, il federalismo poteva rappresentare una vera alternativa allo Stato: era la costituzione di un ordine basato su autonomia, concorrenza istituzionale, libertà locale, responsabilità, diritto di secessione. Era la riscoperta di quell’altra “metà del cielo”, per usare una tipica metafora migliana, in cui lo studioso lombardo collocava le istituzioni perdenti del mondo moderno: dalle Province Unite olandesi alla Lega Anseatica. Tutti ordini politici privi di un vero centro di potere e basati su accordi essenzialmente privatistici, che hanno indicato all’Europa una strada alternativa rispetto a quella dello Stato che quasi nessuno, però, ha voluto o saputo imboccare. (Forse l’unica eccezione è rappresentata dalla Svizzera.)
In ragione di questo suo radicalismo, Miglio è scomodo anche per chi oggi vorrebbe contrabbandare per federalismo una semplice revisione di quello Stato centralizzato, giacobino e prefettizio, che la Destra storica ha costruito all’indomani dell’unificazione italiana.
[…] Miglio ora è riscoperto a dispetto di tutto, ma in fondo non c’è da stupirsi. Alla fine, il destino del genio è quello d’imporsi.
Esattamente 10 anni fa, il 10 agosto 2001, il Professore se ne andò per sempre. Ma il prossimo 25 agosto sarà finalmente in libreria Lezioni di politica, un’opera in due tomi, curata da Davide G. Bianchi e da A. Vitale edita dal Mulino, in cui sono riunite le Sue lezioni universitarie. Gianfranco Miglio è qui fra noi, è rimasto nei nostri cuori. Di Umberto è rimasto solo il fetore, lo stesso che emana lo Stato che ha contribuito, fino ad oggi, a far sopravvivere.