CHI E’ CAUSA DEL SUO MAL PIANGA SE STESSO
di Giuseppe Zanella
La supponenza e l’arroganza non hanno mai pagato e non pagano neanche oggi giorno; è sempre stato così da che mondo è mondo. La batosta elettorale del primo turno delle amministrative, ma soprattutto quella dei ballottaggi del 19 u.s., sembra proprio non aver insegnato nulla al così detto ‘giglio magico’, ossia a quella accozzaglia di mediocri sostenitori toscani che Renzi si è ‘tirato dietro’ a Roma e che costituiscono l’entourage del PdC. Forse l’unico che ha capito un po’ più dei propri valvassori e valvassini che il vento è cambiato e che l’era renziana è ormai al tramonto, paradossalmente, sembra proprio il diretto interessato…
Il Renzi ha infatti dato l’impressione di aver subìto ed avvertito chiaramente il colpo da ko, anche se, bisogna pur dirlo, egli non vuole né può trarre fino in fondo le conseguenze dei propri fallimenti, ora ratificati dalla crisi enorme manifestata nel consenso popolare. Altri, nel passato e per molto meno, avevano preso atto delle proprie sconfitte elettorali ed avevano gettato la spugna: lo aveva fatto Veltroni, quale segretario del partito, dopo le sconfitte alle regionali in Molise ed in Sardegna; lo aveva fatto D’Alema, quale PdC, dopo la batosta alle regionali generali.
Il giovin toscano ora ammette sì la sconfitta e non parla più di elezioni di sola matrice locale ed ammette perfino che la valenza della consultazione è stata ed è squisitamente politica; c’è stato quindi un certo cambio di tono, ma il carattere supponente “dell’uomo solo al comando” porta comunque il soggetto a scaricare le colpe della sconfitta sugli altri, senza alcun cenno di ‘mea-culpa’, basti pensare al trattamento che è stato riservato a Piero Fassino dopo l’esito del ballottaggio a Torino. L’uomo, insomma, difetta totalmente di modestia e non può trasformarsi pragmaticamente in soggetto colloquiante verso tutte le componenti del partito e soprattutto verso la intera collettività nazionale con una chiara assunzione delle proprie responsabilità e dei propri errori.
L’ho detto altre volte:il combinato disposto della legge elettorale (‘Italicum’) e della ‘deforma’ costituzionale avranno effetti devastanti sulle nostre Istituzioni. Ora però, con i dati di fatto appena acquisiti, il referendum del prossimo ottobre dovrebbe riservare al giovin toscano ulteriori amarezze. Non è rendendo il quesito referendario una autentica ‘ordalia’ pro o contro il PdC che si rispetta l’articolo 138 della Carta. La valutazione degli elettori non può basarsi su di una personalizzazione del voto in rapporto all’inquilino di Palazzo Chigi, bensì deve essere una valutazione sul merito del quesito sottoposto al voto dei cittadini (meglio sarebbe se il quesito fosse adeguatamente spacchettato).
Ma a questo punto, una sola constatazione si impone, prescindendo da ogni altra possibile valutazione del merito. L’esito della prossima consultazione, a mio modo di vedere, appare scontato sol che si pensi alla legge dei numeri: se tutte le opposizioni e parte del PD dovessero comportarsi nell’urna come fin qui dichiarato, non ci sarebbe partita per il fallimentare ex rottamatore divenuto, nei fatti, un vero ‘restauratore’ (basti citare il sodalizio con tale Verdini). Ma da qui ad ottobre molti eventi potrebbero maturare e contribuire a mutare il quadro politico qui prospettato. Ed il rebus è l’atteggiamento dei grillini, fin qui avversari decisi sia della legge elettorale che delle proposte di modifica costituzionale.
L’Italicum prevede il premio di maggioranza alla lista, non alle coalizioni e tale norma è stata varata al tempo in cui esisteva la prospettiva (direi la quasi certezza) di una netta prevalenza del PD (a geni modificati, inglobante quindi anche buona parte dei moderati del Centro e perfino di destra). Con i risultati acquisiti il 19 giugno scorso, chi mi dice che i seguaci del comico genovese, fin qui acerrimi avversari dell’Italicum, non optino, anziché per il no, per l’approvazione delle modifiche costituzionali nella convinzione che il vento delle urne li possa favorire? Non sarebbe certo un atto di coerenza, ma sicuramente una posizione in linea con l’interesse di partito (al di là delle rassicurazione dell’on. Di Battista: vedi l’assunto “in politica, mai dire mai”). Se tale evento dovesse verificarsi, verrebbe spontaneo dire che Renzi, con le sue astuzie, si sarebbe scavato la fossa con le sue stesse mani, ossia diverrebbe di attualità il detto “…mal gliene incolse…”.