Il proposito, magari, era quello di allestire una scenografia come quella che si può osservare nel dipinto di Daniele Zanella che adorna la copertina della bibbia del ladino lozzese: Il dizionario della gente di Lozzo (la si può osservare qui).
In alternativa (o in aggiunta), il sindaco, che già si era dichiarato – in quanto a presenze turistiche, a dire il vero 🙂 – abbastanza soddisfatto, potrebbe aver voluto intercettare parte della fiumana di turisti che, da Auronzo e Sappada, dalle innevate piste sciamano verso le proprie dimore e che potrebbero trovare, nella roggia in versione frozen, un apres ski di caratura elevata con cui deliziarsi.
[la roggia dei mulini] permetterà a Lozzo di incrementare le presenze di turisti di cui, a dire il vero, siamo già abbastanza soddisfatti…
Come che sia, ad occhio e croce non sembra di poter dire che “l’iniziativa” (se tale è) non sia scevra da possibili conseguenze, stante il fatto che l’acqua bagna, si infiltra e soprattutto, quando gela, aumenta di volume. Ne sanno qualcosa le Dolomiti che, a cicli di gelo-disgelo, perdono pezzi da sempre.
(resta da capire se un umano, in questo caso dotato di intelligenza, abbia preventivamente bloccato le ruote, lasciando correre l’acqua, o se le ruote si siano bloccate da sole per effetto della “morsa da gelo”… Mistero!)
A sostegno del fatto che a Lozzo, dicono, “è conservata una delle più importanti aree di archeologia industriale”, i nostri mettono a segno qualche evoluzione circense:
Nel XX secolo, infatti, questa località costituiva il centro produttivo di Lozzo…
Ora, il XX secolo inizia con l’anno 1901 e finisce con l’anno 2000: diteci almeno se vi state riferendo alla prima o alla seconda metà del secolo. Presumendo che il riferimento sia alla prima metà (speriamo), va ricordato (così, per sommi capi) che l’energia elettrica (avete presente?) a Lozzo giunse nel 1902 (la prima lampadina), ma è del 1915 la prima centralina dei Caruli e del 1926 quella che oggi è denominata “di Leo” e che credo giri ancora allegramente.
Nel 1914 giunse la prima vaporiera a Calalzo (quella che sui binari fa ciuf ciuf). Nel 1909 a Pozzale, che non aveva acqua, iniziò a funzionare un mulino azionato da energia elettrica, seguito nel 1914 da una sega alla veneziana; nel 1949 il mulino smise di produrre farina perché i costi dell’energia elettrica superavano le entrate. A Lozzo l’attività molitoria, da anni rantolante, finì coi primi anni Cinquanta (del XX secolo eh…). Ecco, così tanto per dire.
Centro produttivo di Lozzo? Ma anche no.
Ancora: un riferimento agli anni precedenti al XX secolo no eh?
Pensate, dicono i nostri, che “alcuni documenti testimoniano la presenza di ben 10 ruote…”. Che facciano riferimento alle “Anagrafi Venete” che nel 1766 descrivevano lungo il corso del Rio Rin “dieci ruote di mulini da grano, una sega da legname, un follo da panni di lana, sedici telari da tela e cinque mole…“?
(quella della produzione di occhiali, seppur “più tardi”, m’era del tutto sfuggita)
A Lozzo di Cadore è conservata una delle più importanti aree di archeologia industriale: la Roggia dei Mulini. Nel XX secolo, infatti, questa località costituiva il centro produttivo di Lozzo, ove si svolgevano tutte le attività artigianali tra cui la lavorazione del legno, della lana e dei tessuti, ma anche l’attività fabbrile e più tardi la produzione degli occhiali.
Gli opifici, destinati alle varie attività artigiane, necessitavano dell’acqua per il loro funzionamento, e vennero così sapientemente edificati lungo il corso del Rio Rin, in modo da poter sfruttare l’energia ottenuta dall’impianto idraulico. Alcuni documenti testimoniano la presenza di ben 10 ruote da mulino, una sega da falegname, un follo da panni di lana e 16 telari da tela, un vero e proprio villaggio di strutture dedicate all’attività preindustriale. […]
Dispiace che @bodonian si sia così corruciato a seguito del post precedente, pari argomento. In fondo si tratta molto semplicemente della richiesta al vostro sindaco di un chiarimento, a seguito di una sua dichiarazione pubblica che, a noi tutti, è parsa subito stonata.
Bisogna poi tener conto di un altro particolare non irrilevante.
Ci sono giovani virgulti (i Vacca, i Ceppo ecc.) che sembrano letteralmente pendere dalle sue labbra. Sull’argomento specifico, i mulini, è da ritenere che tali virgulti siano immersi nell’ignoranza pressoché totale. Da ciò l’importanza che essi possano (e debbano) abbeverarsi ad una fonte limpida e salubre, giammai torbida e malsana. Insomma, è col plasmon e la verità che si scolpiscono gli uomini del domani. La verità, innanzitutto, anche quella storica.
Che ti costa dire che i mulini di Lozzo erano “tra i più importanti del Cadore”?: non vuol dire un cazzo lo stesso, ma almeno galleggi. Se invece dici che “Lozzo vantava i mulini più importanti di tutto il Cadore“, e lo dici pubblicamente, be’, me lo devi anche spiegare, ammmè (e ai giovani virgulti… che sennò mi vengono su storti e poi, chi li drizza più?).
[…] Alcuni esempi [di mulini] sono presenti anche in altri comuni limitrofi ma Lozzo vantava i mulini più importanti di tutto il Cadore…
Ecco, mi piacerebbe essere edotto su quali dati di fatto il vostro sindaco sfoggia, con cotanta sicumera, l’affermazione secondo la quale “Lozzo vantava i mulini più importanti di tutto il Cadore”. Badate: più importanti, e addirittura di tutto il Cadore.
Non sapevo che costui fosse – anche – un così valente storico idraulico, macché idraulico: idrico, da poter enunciare, al volo, un così “tranciante” giudizio d’archeologia industriale. Ma risorge il dubbio: di grazia, su quali dati storici poggia ella, valente storico idraulico/idrico, tale affermazione? Quasi quasi te mando una richiesta via pec. Erano “più importanti” per numero, per potenza installata, per avere le più belle ed avvenenti mugnaie, per che altro?
Puzza come un pesce avariato; la notizia intendo, essendomi giunta il 6 febbraio scorso. L’ideazione si perde nella notte dei tempi, spingendosi, l’edificio progettuale, al 31-12-2009 data di presentazione del progetto esecutivo alla Regione, la qual mirabilia avrebbe dovuto concludersi il 31 dicembre dell’anno scorso.
Il progetto aveva subito folgorato i tecnici regionali in virtù, particolarmente, del primo caso per il quale l’effetto precede la causa. Sulla questione la filosofia si è a lungo intrattenuta, dai classici fino ad oggi. Di solito, di solito, è la causa che produce o determina l’effetto (che si intende, per l’appunto, ad essa conseguente). Ma veniamo al caso di specie: tu prima coltivi il mais e poi, quando ce l’hai fra le palle, capisci che puoi ottenere dal chicco la farina e quindi … ecco che nasce l’idea del mulino (o perlomeno del suo utilizzo).
[…] il riportare al funzionamento i mulini per la macinazione della farina può, con azioni dimostrative, reintrodurre presso le popolazioni locali, l’usanza di coltivare il mais per la produzione della farina da polenta
Ed il miracolo, come sapete, complice anche la vicinanza di San Rocco, è avvenuto: in località Piaze, ma non solo, è tornata la Zea Mays. Il miracolo è ancor più miracolistico perché Zea Mays è tornata addirittura prima della resuscitazione dei mulini per la produzione della farina. Un’apparizione, questa del mais, che più di qualcuno ritiene si debba segnalare alla Congregazione della Dottrina della Fede per le indagini del caso.
Paura nenti. Il progetto che doveva concludersi entro il dicembre del 2011 viene approvato il 18 gennaio 2012:
Con decreti del Dirigente dello Sportello Unico Agricolo di Belluno di AVEPA, n. 4023, 4033 e 4038 del 18 gennaio 2012, sono stati approvati tre progetti di Cooperazione interterritoriale e transnazionale presentati dal Gal Alto Bellunese nell’ambito della Misura 421 del PSR del Veneto 2007-2013:
Progetto “Mulini” in partenariato con Regionalmanagement Wipptal in Tirolo (capofila del progetto) e con il Gal Prealpi e Dolomiti. Lo sviluppo di questi territori ha visto nel passato la crescita di attività produttive che utilizzavano l’acqua come fonte di energia. Gshnitz, Lozzo di Cadore, Santa Giustina, Sedico e Belluno in particolare, condividono il fatto di essere realtà nelle quali lo sfruttamento della forza idraulica costituisce un esempio di sistema preindustriale dove i vari opifici (mulini da grani, seghe da legname, follo da panni di lana e telai da tela oltre a numerose mole e fucine) utilizzavano l’acqua per mezzo di una roggia che partiva a monte degli insediamenti. Nel tempo queste attività sono state abbandonate con la conseguente dismissione degli immobili che hanno subito un processo di degrado. L’obiettivo principale del progetto è quello di valorizzare a scopo turistico e didattico i mulini dei tre territori con interventi di ricostruzione, restauro e riattivazione di alcuni e con azioni di promozione, marketing e messa in rete delle strutture. (contributo concesso euro 250.000,00 )
All’ultimo istante, lo so per certo, il progetto è stato arricchito con una variante lungimirante ed innovativa. Per venire incontro alle mutate esigenze del flusso turistico, che si fa sempre più esigente, oltre alla farina è stato previsto un adattamento funzionale dei vecchi mulini per produrre all’istante, on demand, genuino e scoppiettante pop-corn. Si attende solo il benestare delle Stato italiano che ha comandato un sopralluogo degli artificeri del nucleo San Marco (quelli del carro armato di cartone dei Serenissimi). L’esito è comunque scontato. Non solo dorata farina, quindi, ma anche croccante pop-corn.
Chi è che diceva che il trasloco del GAL non avrebbe prodotto i suoi frutti?
Il GAL, come si diceva, ha traslocato dalla sede di Gogna-Tre Ponti (dov’era in affitto presso lo stabile della Comunità Montana Centro Cadore, anch’essa in disarmo), per prendere possesso di parte dei locali della Moschea Pellegrini.
Bisognerà aspettare qualche giorno prima che il think tank ridiventi pienamente operativo. Confidiamo che, lasciate le voci delle acque inquiete dell’Ansiei e del sacro Piave, che dalle strette gore giungevano forse soffocate, ad esso giunga forte ed argentina la voce delle bianche acque del Rio Rin, che in un ormai lontano passato hanno mosso le cigolanti ruote idrauliche degli opifici lungo la vetusta roggia.
Confido, essenzialmente, che questo rumoreggiare possa far fiorire e sospingere innanzi il già trattato, famoso e fors’anche ardito progetto “L’idraulica e la Farina da Polenta” di cui ho già trattato nell’articolo aspettando il GAL … alla Roggia dei Mulini. Devo tuttavia rimarcare che le mie perplessità di allora erano mal riposte: riguardo al passo successivamente riportato, che dà una sommaria descrizione dell’intervento, ritenni a torto che esso fosse esilarante:
In particolare il riportare al funzionamento i mulini per la macinazione della farina può, con azioni di mostrative, reintrodurre presso le popolazioni locali, l’usanza di coltivare il mais per la produzione di farina da polenta.
Mi sbagliavo. La natura umana è così profondamente insondabile. Oggi devo ammettere che chi da Loze e propio davante a chi autre. La coltivazione del mais, che si supponeva dubitativamente potesse essere reintrodotta a seguito di azioni dimostrative, è stata attuata d’imperio al solo immaginare l’evocata macina frantumatrice roteante. Un miracolo che solo a Lozzo di Cadore può accadere.
Ora che l’usanza di coltivare il mais è stata reintrodotta dalla “popolazione”, che il sogno esilarante è divenuto oggettiva realtà, al GAL spetterebbe la realizzazione del citato progetto con la sistemazione di uno dei mulini e la messa in funzione della magica macina.
Un connubbio sinergico tra pubblico e privato di rara efficacia.