Belluno, falò sui monti per l’autonomia. In campo anche il vescovo per difendere la provincia
Tratto da l’Adige del 16 ottobre 2012 (scarica qui il PDF):
Tratto da l’Adige del 16 ottobre 2012 (scarica qui il PDF):
Nel fecondo filone delle imprese del Bim-Gsp culminate nell’Opera Omnia “Il Buco dell’Acqua” ho scritto assai. Limitandomi al solo e piccante particolare dell’aumento del 30% delle tariffe in un sol colpo (ossia dell’ “Inculata estemporanea”), eccoli elencati (fra essi un intervento di Cagliosto, A proposito di tariffe Bim-Gsp):
Sull’argomento ho scritto anche l’articolo “Per la Gente di Lozzo propone la risposta del sindaco alla loro interrogazione sugli aumenti tariffari dell’acqua” riprendendo una interrogazione di Per la Gente di Lozzo. Mi ero ripromesso di dare una risposta esauriente alle puerili risposte del vostro sindaco – una stiratina con appretto – promessa che desidero mantenere al più presto. Ma oggi va segnalata la presa di posizione di 6 associazioni che hanno inteso ricorrere contro la decisione dei sindaci che hanno imposto l’aumento del 30% (oltre a quello del 5% annuale per 20 – venti !! – anni):
[…] iniziativa di Uapi (Unione artigiani e piccola industri), Appia (Associazione Provinciale Piccola Industria e Artigianato), Confcommercio, Cgil, Federconsumatori e «Comitato Acqua bene comune» che hanno presentato ricorso al Tar e al Capo dello Stato contro la delibera dell’Aato (ambito territoriale ottimale) che dispone l’aumento del 30% delle tariffe dal primo gennaio 2013.
Sorprende la fanciullesca reazione di Leonardi, attuale presidente dell’ente:
[…] Comunque, se non sono gradito, me lo dicano: ho 68 anni, e ho accettato il ruolo per vedere se potevo mettere le cose a posto; ma sono pronto ad andarmene anche domani»
Visto che sa far di conto e che qualche anno sulle spalle lo ha già, non dovrebbe mancargli l’esperienza per capire che il mondo funziona così. Si è dimenticato forse, il triumviro, di quando ha sostanzialmente mandato a fanculo (cioè dal proprio sindaco) la gente che avesse voluto avere informazioni sulle sorti del Bim-Gsp da lui presieduto? Nooo? Ecco qui il ricordino. E dovrebbe ricordarsi anche delle “bocche cucite“. Se non si sente adeguato alla bisogna, che comprende la dialettica fra le parti (e gli eventuali ricorsi messi in atto), se ne vada.
Per onor di cronaca va detto che i sindaci, meglio, i sindakos (sapete, quando si mettono assieme …), si sono detti sicuri che i ricorsi non serviranno. Loro, i sindakos, prima di votare l’aumento hanno chiesto il parere legale e sono certi che così dovrà essere.
Lasciatisi scivolare pigramente anno dopo anno in un mare di m., quando questa ha raggiunto la gola e stimolato qualche utile riflessione, si sono decisi, coraggiosamente, a votare per l’aumento del 30% nell’illusione di mettersi sotto i piedi uno sgabello di 30 cm, e invece se ne sono rovesciati addosso altri 30 cm, di pura m. (taluni potranno sostituire m. con melma, la striscia tragi-comica non cambierà). E adesso sono lì sotto.
Va detto, pur avendolo fatto ampiamente in passato, che a seguito della negazione da parte della Consulta dell’indizione del referendum provinciale per l’autonomia promosso dal Comitato Belluno Autonoma (oggi Movimento BARD), qualsiasi altro referendum comunale che tenda a dimostrare il disagio (ad essere eufemistici) in cui versa la Provincia di Belluno è non solo bene accetto ma doveroso. Ma le cose van dette per quello che sono, senza arrampicarsi sugli specchi per trovare una inutile, oltre che insensata, giustificazione storica alla scelta referendaria.
Anche se eravamo ancora lontani dal solstizio d’estate, era infatti il 3 giugno, la sindaca di Pieve di Cadore si era presa un bel colpo di sole, dal BLOZ prontamente segnalato, allorquando parlando del referendum secessionista che intendeva promuovere per passare in Friuli dichiarava che:
«Il Cadore, fino al secolo scorso, ha sempre fatto parte del Friuli, tramite il Patriarcato di Acquleia. […]
Il dominio “feudale” del Patriarcato sul Cadore ebbe infatti fine nel 1420 quando quest’ultimo dichiarò la sua sottomissione alla Serenissima, mentre la sola autorità ecclesiastica si manifestò fino al 1751, anno in cui si dissolse, pur restando Pieve ed il Cadore – fino al 1847 – dipendenti dalla diocesi di Udine (per inciso, la “cq” di Acquileia nella citazione è del Corriere: nessuno è perfetto).
La prima cittadina ebbe poi a subire un estemporaneo sdoppiamento della personalità quando, il giorno dopo, dichiarò al Gazzettino che quella del referendum per il passaggio in Friuli era solo una provocazione, se è vero come è vero che disse:
«Non mi sto muovendo per passare ad altra Regione»
Alla fine, ricorderete, si decise per il “sì, vogliamo indire un referendum per chiedere il passaggio alla regione FVG”. La richiesta però, che inizialmente era stata lanciata a tutti i comuni della provincia di Belluno, si era ridimensionata alla chiamata in causa dei soli comuni del Cadore. La cosa migliore, ne converrete, è che il comune di Pieve, che confina direttamente con il Friuli, si faccia il suo bel referendum dal quale poi noi tutti potremmo trarre le dovute conseguenze.
Recentemente la sindaca si è recata ad Udine in Provincia per parlare con il presidente Fontanini. Non c’è niente da fare, si è attaccata come una cozza alla faccenda del Patriarcato d’Aquileia e alle affinità che unirebbero il Cadore al FVG, proprio in virtù delle radici storiche che al Patriarcato ci legherebbero (le quali radici tuttavia, come ricordato, vengono troncate nel 1420).
Quindi, cari pievesi, sappiate che è in virtù di questa affinità se ora vi si chiederà il voto per saldarvi al FVG. Riesco ad immaginarmi i più accaniti baciapile, pieni di rancore per essere stati strappati nel 1847 alla diocesi di Udine, covare segretamente il loro “irridentismo” religioso in attesa del “solenne momento” in cui le loro aspirazioni di credenti – mai domi – troveranno unitario covo.
Una questione di affinità che affonda le proprie radici nel Patriarcato di Aquileia quella che anima Pieve di Cadore a voler lasciare il Veneto per annettersi al Friuli Venezia Giulia. Lo hanno ribadito a palazzo Belgrado il sindaco della cittadina Maria Antonia Ciotti e il referente del comitato referendario per l’annessione Osvaldo De Lorenzo nel corso dell’incontro con il presidente della Provincia Pietro Fontanini. “Saremmo molto felici se voi poteste venire con noi – ha detto il presidente – la vostra zona è davvero notevole sotto molti punti di vista: quello economico e quello paesaggistico solo per citare i principali”. […]
Il dialogo fra Fontanini e la Ciotti sembra ricalcare quello fra due piccoli monarchi intenti ad architettare un regale matrimonio tra le proprie discendenze: “Saremmo molto felici se voi poteste venire con noi”. E qual galanteria dimostra di avere l’udinese: “la vostra zona è davvero notevole sotto molti punti di vista: quello economico e quello paesaggistico solo per citare i principali” (quello demografico, magari, esaltante come un’invasione di cavallette). Fortuna che non ha chiesto … “quante divisioni avete?“.
Messe da parte le logiche ed ovvie necessità di confine, bisognerebbe guardare al reale “stato della montagna“. E la montagna del FVG, nonostante sia essa regione a statuto speciale, non mi sembra che versi in migliore situazione di quella veneta (il ché è tutto dire), che regione speciale non è (non ancora). Altro discorso è la gestione che della montagna fa l’Alto Adige, essendo essa su un altro pianeta rispetto a tutto il resto. Ma, si sa, è meglio guardare alle affinità avute fino al 1420 (mi sembra ieri …) piuttosto che a quelle eventualmente alimentabili e sinergizzabili oggi con chi … di montagna se ne intende per davvero.
Il mondo visto da laggiù ha un’altra forma, anche quando l’argomento è la cosiddetta ottimizzazione del numero dei comuni:
D’accordo sulla necessità di ridurre il numero di Comuni, anche il leghista cadorino Matteo Toscani: «Sì, 69 sono realmente troppi, visto anche il particolare momento storico che stiamo vivendo. Ma attenzione, l’aggregazione dei Comuni dovrà essere un processo che parte dal basso, con i cittadini chiamati a smuovere i sindaci dal loro assurdo immobilismo. Restando alla finestra, infatti, c’è il rischio di veder calato dall’alto questo processo di razionalizzazione. Meglio sarebbe che fosse il territorio a governarlo…».
Di grazia, potrebbe mica, il leghista (o legaiolo?) cadorino, descrivere le modalità con cui, dal basso, i cittadini potrebbero smuovere i sindaci dal loro immobilismo?
Che l’immobilismo dei sindaci sia proverbiale è sotto gli occhi di tutti: un qualsiasi mammut rinchiuso fra i ghiacci all’epoca dell’estinzione si sta, in questo momento, muovendo più velocemente. Ma risulta quanto mai difficile immaginarsi che – sulla questione – i piccoli campanili, quelli che ognuno di noi “cittadini/elettori” – a torto o a ragione – porta dentro il proprio cuore, non ci accomunino strettamente agli immobili sindaci.
Ma se la gente non si smuove neanche di fronte alle peggiori nefandezze della casta, sia questa parlamentare o regionale, vi è forse la speranza che essa, il popolo, si coaguli attorno all’idea di “fusione dei comuni” al punto da giungere a scuotere l’immobilismo dei sindaci? Ma via, è più facile per un banchiere diventare una persona onesta.
Scartata quindi l’ipotesi sudamericana per la quale el pueblo unido ecc. ecc., troppo rivoluzionaria per i sonnolenti bellunioti appartenenti al dissoluto Club dei 69, non resta che la pluricollaudata forma ad inculam del decreto governativo (meglio se montiano, più godibile da tutte le fasce sociali). Semplice e risoluto. E comunque, sempre “dal basso“.
Sembra di leggere “Alice nel Paese delle Meraviglie” ed invece è un articolo del Corriere delle Alpi a firma di Francesco Dal Mas. Prima c’è il talpone di Oscar De Bona che parla del formichiere Durnwalder in relazione a vicende dolomitane, poi arriva il procione Zaia che chiede più autonomia e financo indipendenza per il Veneto e di riflesso per la Bellunia, poi subentra la A27 che, facendosi parziale beffa del protocollo delle Alpi, potrebbe comunque arrivare fino al cospetto del Cavallino e da qui, magari, dopo aver fatto l’occhiolino agli austriaci, continuare come superstrada (ragazzi, moderazione col gin).
L’atmosfera da “cacao meravigliao” diventa veramente tale solo con il subentro del tasso Finozzi che, novello profeta, indica la via per la redenzione ed il riscatto dell’Alta Montania:
[…] Ma ecco la novità: l’informatizzazione delle terre alte. Una vera e propria rivoluzione digitale, così la definisce Finozzi, portata avanti in collaborazione con il Cai, per un’informazione specifica per il mondo che frequenta l’alta montagna. Sette rifugi alpini sono già dotati di collegamento alla banda larga satellitare, cosa che permette già oggi di navigare, mandare mail e connettersi ad alta velocità in quota. «Il progetto – spiega Finozzi – è quello di dotare altri trenta rifugi della stessa tecnologia, cosa che renderà la montagna un posto pìù sicuro, ma anche più facilmente usufruibile».
In poche righe un vero e proprio universo semantico: informatizzazione delle terre alte, rivoluzione digitale, banda larga satellitare, connessioni ad alta velocità in quota.
Il nuovo guru dell’informatica troposferica si lascia prendere da “correnti a getto” e schizza verso altezze siderali: e chi lo vede più, il finozziano? In questi casi, di digitale, c’è un solo tipo che andrebbe bene, e cresce fiorente proprio nelle terre alte. Ritelefonerò allo Yeti per sapere se ci sono novità nel campo dei collegamenti a banda larga satellitare (fino a poco tempo fa era roba da geek 🙂 ). E’ poi noto, ce lo ripete Finozzi da lassù dove l’ha portato la corrente a getto, che dalle nostre parti (terre alte?) il 90% del PIL turistico passa attraverso i rifugi di alta montagna.
Molti rifugi infatti, oltre alla banda larga si stanno dotando di saletta per il bagno di fieno (vuoi mettere gli effetti di un bagno di fieno high altitude), oltre alla sala fitness con bici-energy (bicicletta – ergonomica, ben s’intende – calettata ad una dinamo) collegata ad un parco di accumulatori eco-compatibili: l’escursionista evoluto giunge sudato, grazie alla banda larga manda un’email alla mamma in apprensione per dirle che è tutto ok, poi si mette in sella alla bici-energy e si fa una seconda sgroppata fino al raggiungimento di tot kwh, guadagnandosi così la possibilità di potersi leggere, la sera, mentre sorseggia una brillante asperula, il secondo episodio di “Le avventure di SuperFinozzi contro i kriptoniani”.
Commovente più di un pacco di harmony la notazione per la quale, in virtù di questa tecnologia (quale? la banda larga satellitare …), la montagna (quale? il luogo dei punti che si eleva sopra quota … 1000, 1500, 1680, 2000 m s.l.m?) sarà finalmente un “posto più sicuro, ma anche più facilmente usufruibile”. L’orso Yoghi ed il suo amico Bubu ringraziano, così come Clementina, la marmottina. Quella di restare appesi ad una corda penzolanti nel vuoto, estrarre il proprio iPhone 5 (dotato di riconoscimento della supercazzola prematurata con scappellamento a destra), chiamare il rifugio per sollecitare – con l’aiuto della banda larga – l’intervento dell’elicottero del SUEM, immagino, non possa che essere un’esperienza indimenticabile (finozziana?).
In occasione della prossima genialata (tipo portare il caffè espresso al ginseng in tutti i rifugi), non è che si potrebbe, caro Finozzi, agevolare nei rifugi la dotazione di flipper e biliardo? Sa, per far passare il tempo durante quelle interminabili e uggiose giornate di pioggia che talvolta sorprendono l’escursionista evoluto amante delle Terre Alte: non è che puoi attaccarti a internet 24h (anche se il rifugio ce l’ha larga, la banda).
Il Gazzettino di ieri ha dato un ceffone sonoro alla credibilità di tutta la classe politica regionale (di destra, di sinistra, di sopra e di sotto). Basta leggere i titoli:
Fuori busta a tutti i consiglieri regionali del Veneto: 2.100 euro al mese esentasse
È la somma che ognuno dei 60 eletti incassa come rimborso: vengono prelevati dal “Fondo per le spese impreviste”
L’articolo chiarisce poi come, legalmente, quelli della Casta Regionale prima si son ridotti “lo stipendio” ad uso e consumo del volgo (comunque dalla prossima legislatura), poi si sono elargiti il fuoribusta (via ufficio di presidenza, Pdl + LN, +Pd):
I sessanta consiglieri regionali del Veneto hanno il “fuori busta”. Un po’ come quegli operai che a fine mese, oltre allo stipendio regolare, si vedono allungare dal padroncino, a parte, il “nero”. Solo che qui, per gli inquilini di Palazzo Ferro Fini, stiamo parlando di una somma che supera la paga di un operaio: 2.100 euro al mese. Netti. Pagati sull’unghia e, in quanto catalogati come rimborso spese pur senza mostrare una sola pezza giustificativa, esentasse. Il rimborso, infatti, è forfettario. Da alcuni mesi quel rimborso non compare più in busta paga proprio per evitare che finisca nella parte imponibile. Il rischio – raccontano – c’era. [leggi tutto]
Quelli della Casta Regionale se la son presa ed hanno annunciato querela contro il Gazzettino che oggi titola:
Soldi esentasse: è bufera. I consiglieri: «Il nostro non è nero è solo fuoribusta»
I capigruppo: legittimi i 2100 euro al mese come “rimborso spese”. Ma qualcuno riconosce: un sistema da cambiare
Almeno nel Lazio i Radicali – unica forza politica -, appena insediato il consiglio regionale hanno denunciato con forza la perversione di certi meccanismi elargitori, proponendo da subito ed in svariate altre circostanze l’istituzione dell’anagrafe pubblica degli eletti e nominati. Ciò non di meno (per dovere di cronaca) i Radicali hanno “accettato” le elargizioni che avevano denunciato appena eletti e che hanno continuato a denunciare nel corso dello svolgimento della legislatura (fino al crack della Polverini).
Nel Veneto nada de nada. Fra i consiglieri regionali bocche cucite. Documentazione secretata e zeppa di omissis. Ma la puzza di letame c’era, bastava avvicinarsi ai consiglieri regionali, quelli della Casta Regionale da 12.000 € al mese.
Mitica questa affermazione: «Il nostro non è nero è solo fuoribusta». Mi viene in mente Calimero: tu non sei nero, sei solo SPORCO!
Solo che qui non basta il detersivo AVA come lava, qui bisogna ricorrere all’annientamento politico, alla dissoluzione della Casta regionale, alla frantumazione della loro presenza sull’ormai martoriato territorio veneto. Sempre in senso metaforico, ché il letame è già di per sé un “estremo rifiuto metabolico”.