Er meglio populista del mondo è il gran ciambellano dell’ IDV, verticistico padre padrone, tal Antonio Di Pietro, progettista e costruttore di architetture familistiche che al confronto la Lega bossiana si può andare a nascondere.
La deriva populista giunge anche a Belluno con l’intenzione lanciata da parte dell’ IDV di raccogliere firme per porre il Bim-Gsp in stato di fallimento e di effettuare un’altra raccolta, a scopo referendario, per abolire il finanziamento pubblico dei partiti (anche se oggi si parla di rimborso elettorale, visto che il precedente referendum del ’92, stravinto dai fautori dell’abolizione, è stato velocemente bypassato con un provvedimento ancor più putrido del precedente ed attualmente in vigore).
Riguardo alla prima, l’ IDV dovrebbe chiarire subito che trattasi di provocazione da cabotaggio elettoralistico, non poggiando la proposta su alcuna logica di diritto fallimentare (fra gli attori in gioco non è previsto il “popolo” che ha delegato a rappresentarli in questa vicenda – ahinoi – i sindaci).
Il Bim-Gsp è già fallito, senza che nessuno si debba curare di farlo una “seconda volta”. Con esso è fallita quella parte di politica rappresentata dai sindaci e dall’inerzia delle loro decisioni. I sindaci stessi sono falliti due volte, lo sappiamo, in un tripudio di incompetenza che li ha visti ingessati vergognosamente nel ruolo di controllati e controllori. E’ fallito il Consiglio di amministrazione (con tutti i sindaci che ne hanno fatto parte – ancora una volta – ed in particolare il suo presidente Roccon) che pur sollevando la questione tariffaria ha alla fine prediletto la carega alle dimissioni (che sole avrebbero potuto – forse – scardinare il malaffare che si stava profilando).
Il Bim-Gsp è poi fallito ancora miseramente quando i sindaci sono stati costretti ad abdicare a favore del triumvirato tecno-politico che, a sua volta, ha dichiarato la sostanziale morte cerebrale dell’ente (a meno di stravolgimenti dell’ultima ora). L’esperienza Bim-Gsp è un letamaio che disonora le figure dei sindaci – trasversalmente rispetto a tutte le componenti partitiche più o meno ben rappresentate – con una apoteosi ben meritata da chi era in prima fila, “quelli del PDL“. Punto.
Per tutto ciò non pagheranno i sindaci, statene certi, se non forse elettoralmente e comunque in modo marginale, perché al momento opportuno sapranno raccontare la loro melassa (riconfermare sindaci di tal fatta dovrebbe essere ritenuto vergognoso da un elettore con un minimo di senso civico). Nella migliore delle ipotesi pagherà il cittadino che sarà chiamato a ripianare le scelte scellerate dei sindaci. Nella peggiore, se dovesse scaturire il vero fallimento, quello “dei libri contabili”, oltre ai cittadini – questa volta anche in termini di servizio – pagheranno pesantemente anche fornitori e dipendenti.
Riguardo alla raccolta firme per il referendum per l’abolizione del finanziamento ai partiti, film già visto. A Di Pietro servono le 500.000 firme per intascare il relativo contributo elettorale previsto dalla legge: 0,52 € per firma, 260.000 € da mettersi in tasca (come per i due precedenti, sul nucleare e legittimo impedimento, inutili, ma che hanno reso 520.000 € all’ IDV che li ha presentati). Punto.
L’unico che può girare a testa alta riguardo ai rimborsi elettorali è il Movimento Cinque Stelle che ai rimborsi ha proprio rinunciato. L’ IDV ha ricevuto dallo Stato rimborsi elettorali per 21.649 milioni di € (dati politiche del 2008) ed ha dichiarato 4.451 milioni di spese, dei quali solo 3.340 accertati. Se Di Pietro, contestualmente alla raccolta firme, farà un bell’assegno intestato al Tesoro per la differenza percepita, 18.309 milioni, allora potremmo iniziare (con cautela) a credergli.