Come premessa di carattere generale si tenga presente che l’autore, i cui contributi ospitati su questo blog sono qui raggruppati, ha ritenuto doveroso ricordare i benemeriti cittadini della famiglia Pellegrini e, nel contempo, far conoscere ai giovani che cosa ha rappresentato e significato per la nostra Comunità la presenza di questa famiglia, che tanto bene ha profuso in paese per oltre un secolo. Tutto ciò affinché resti anche traccia del significato ‘storico’ di quel palazzo – Palazzo Pellegrini – sede abitativa della famiglia ed oggi proprietà comunale ospitante varie e multiformi attività.
di Giuseppe Zanella
Dal libro del comm. Ezio Baldovin (Pagine di storia ed itinerari turistici di Lozzo di Cadore, edizione IIa del 1983- tip. Piave, pagg. 174) apprendiamo che i cognomi correnti in paese, a partire dal secolo XIV°, erano ben 19 dei quali ben 8 sono andati estinti. Dal 1400 e fino al 1884 gli 8 cognomi scomparsi sono stati via via sostituiti da altrettanti riferiti a famiglie che presero fissa dimora nel paese centro cadorino. Uno di questi cognomi, penultimo in ordine di tempo, fu giustappunto quello della fam. Pellegrini. Nel 1876, infatti, arrivò a Lozzo il sig. Giobatta Pellegrini, benestante, proveniente dal comune agordino di Rocca Pietore, discendente da un facoltoso capostipite colà conosciuto con il nomignolo di “Simon de’ bez” (Simone dei soldi). Nove anni prima, a Lozzo, c’era stato il rovinoso incendio che aveva distrutto, quasi per intero, il paese ed il nuovo arrivato acquistò l’area, prospiciente la vecchia chiesa ed il campanile, su cui sorgeva ancora il rudere di un immobile di grandi dimensioni, il tutto distrutto dall’infausto evento che tanto dolore e solidarietà aveva suscitato nell’intera nazione.
Accolto nell’ambito della Regola locale mediante il versamento di quello che oggi verrebbe chiamato ‘contributo associativo’, il sig. Giobatta, con al seguito moglie ed una schiatta di figli, si dette subito da fare, riattò ed in parte ricostruì su nuove basi la intera struttura rendendola comoda e confortevole e dandole una architettura moderna e signorile; al piano terra ricavò dei locali adibiti ad emporio (generi alimentari, chincaglierie, ferramenta, privativa ecc.), emporio che presto divenne il punto di riferimento non solo di Lozzo ma dell’intero comprensorio. Con gli anni, il sig. Giobatta avviò pure una fiorente attività di segheria in loc. Ronzie sfruttando, come forza motrice, l’acqua del rio Rin. Infine, a lato dell’emporio, dette avvio ad un negozio di erboristeria, successivamente integrato da una delle poche farmacie allora esistenti sull’intero territorio cadorino. La cura della erboristeria era affidata alla dinamica e sagace figlia Gabriella, mentre la farmacia era gestita dal figlio neo-laureato Bruno.
Di figli, Giobatta ne ebbe ben 10: 5 maschi (Dante, Angelo, Antonio, Valerio e Bruno) e 5 femmine (Gabriella, Apollonia, Rita, Lucia e Cora). Valerio, laureatosi in farmacia, andò subito a gestire una farmacia in quel di Cencenighe. Cora andò sposa ad un Chiarelli della nota e facoltosa famiglia di Mel. Lucia andò sposa a tale Gemin di Treviso. Gli altri 7 figli e figlie rimasero a Lozzo a collaborare con il padre nelle variegate, molteplici attività e nessuno di essi mai si sposò. Gli affari andavano a gonfie vele e la casa signorile, dalla inconfondibile e bella struttura architettonica, era diventata nel tempo un importante punto di riferimento per l’intera comunità. E questo non soltanto per le attività economiche che trovavano espletamento al piano terra, ma anche perché, negli anni a cavallo fra il 18° e 19° secolo, anni caratterizzati dalla miseria, dalla emigrazione, da guerre e malattie, la famiglia dette eloquenti prove di umanità e solidarietà nei confronti della stremata popolazione.
Erano gli anni della pellagra, le banche non esistevano o erano fallite e molti casati, anche quelli più antichi, trovandosi in ristrettezze e difficoltà, facevano ricorso a prestiti dai pochi soggetti che disponevano di liquidità in eccesso ed il risultato, alle volte, era la pratica di interessi alquanto esosi, oppure la iscrizione ipotecaria su beni ‘storici’ i quali, alla scadenza, venivano, non di rado, incamerati dai creditori. Ebbene, la famiglia Pellegrini si distinse sempre per correttezza e linearità di comportamento, non pretese mai interessi e non escusse mai alcun debitore, anzi dilazionò oltre misura il rientro dei suoi crediti dando così alle famiglie bisognose un fattivo aiuto in momenti di grosse difficoltà. E nelle avversità, che non di rado toccavano soggetti magari già provati da difficoltà economiche e dalla crisi (vedi 1929-1930), i Pellegrini, di loro iniziativa e con molta discrezione, si facevano vivi con interventi sostanziali e decisivi.
Alla morte del sig. Giobatta, il patrimonio famigliare aveva assunto dimensioni ragguardevoli ed i fratelli godevano di generale stima, rispetto e considerazione. Angelo ed Antonio, in epoche diverse, sedettero sui banchi del Cons. Comunale ed anche in Giunta. Antonio fu anche sindaco. Bruno, provetto cacciatore, si dedicava sempre alla farmacia non disdegnando interessi anche per la botanica, mentre Gabriella, oltre che provetta erborista, era il deus ex machina della famiglia e delle attività caritatevoli. Chi scrive ha un buon ricordo di tutti i fratelli, in particolare del dr Bruno, che spesso incontrava a Brodevin, unitamente a Bepi della Lana e Floro Baldovin, al ritorno dalle prammatiche battute di caccia, con l’accompagnamento del bellissimo levriero (‘l Tel de sior Bruno). Il ricordo va anche al distinto, impeccabile sior Angelo, gestore della segheria e dell’emporio, allorquando il sottoscritto si recava, bambino, al bar delle Bettine, per ‘scroccare’ le caramelle a suo nonno Bepi intento a giocare a tre-sette con Tita Poa, Polonio mutilato e, appunto, sior Angelo Pellegrini.
Uno alla volta, nel breve giro di qualche anno, i fratelli se ne sono andati con la stessa discrezione di come erano vissuti. Ed in cimitero sono tutti insieme nella tomba di famiglia, tranne Antonio che volle essere sepolto nella nuda terra, però all’ingresso della stessa tomba sulla quale volle fosse collocata la statua della Addolorata che già costituiva il sarcofago dei propri genitori. Quell’Antonio Pellegrini che tanto amò gli unici tre nipoti: il prof. Cesco (Francesco) Gemin, la sig.ra Lucia Chiarelli sposata Sartori e, soprattutto, il prediletto prof. Giabatta Pellegrini, eminente glottologo di fama internazionale ed unico a chiamarsi come il nonno, “l’emigrante” giunto a Lozzo nel 1876.
La fam. Pellegrini è ora estinta in quel di Lozzo, ma sopravvive nei nipoti del dr Valerio (i figli del glottologo G. Battista) che onorano, alle volte, il paese con la loro presenza a Pian dei Buoi dimorando nella ‘villa’ Pellegrini , già ‘ostello’ di caccia del dr Bruno. La bella casa di Lozzo è stata acquistata e riattata dal Comune e continua ad ospitare la farmacia. Ora è anche sede del ristorante ai Pellegrini e, sul retro ed all’ultimo piano, ospita una sala polifunzionale, una biblioteca e la sede del Gal.