Indipendenza del Veneto
Scozia verso il voto per l’indipendenza: Cameron chiama a sé gli scozzesi per proteggerli da un mondo molto pericoloso e insicuro
Seguo da anni gli accadimenti in quel di Scozia e Catalogna legati alla voglia d’indipendenza che si manifesta colà. Il prossimo 18 settembre gli scozzesi si troveranno di fronte alla scelta sopita ma agognata (per tre secoli o giù di lì) di votare a favore o meno della propria indipendenza dal Regno Unito.
Fino a pochi giorni fa il NO veniva dato in vantaggio – vi sono pesanti incertezze sul fatto che, geopoliticamente, la conquista dell’indipendenza possa essere un vantaggio rispetto alle promesse messe in campo da Londra di un’estensione dei poteri già conferiti da tempo alla Scozia, vedi parlamento scozzese e devoluzione – ma da qualche giorno sembra che i SI abbiano fatto capolino.
Ed è bello ed oltremodo divertente vedere come gli inglesi, inglesi dico, giochino sporco pur di trattenere a sé la verde Scozia (e un po’ del greggio che stanno trivellando al largo delle sue coste). Ovviamente a Cameron sta a cuore l’incerto futuro della sterlina che ha iniziato a ballare la samba. Sembrerebbero cose dette da una comune emerita testa di cazzo di politico italiano e invece:
La Scozia sarà più vulnerabile agli attacchi terroristici in ‘un mondo molto pericoloso ed insicuro’ se voterà per l’indipendenza il 18 settembre,” ha detto il Primo Ministro David Cameron. Essere parte dell’unione dà agli scozzesi il beneficio della protezione di essere parte di un paese più grande, ha detto ieri Cameron ai giornalisti, al termine di un summit NATO a Newport in Galles.
…sarebbe una scelta di autodeterminazione che sarebbe da esempio per l’intera Europa.
Il segreto del successo della Svizzera: la concorrenza fiscale
L’Italia gna fa (neanche a premerla). Bisogna provare – urge – con il Veneto Indipendente ed un occhio alla Svizzera. Tratto da un articolo di G. Piombini su Movimento Libertario:
Il segreto del successo: la concorrenza fiscale
Mentre nell’inferno fiscale e burocratico italiano dal 2007 a oggi gli investimenti esteri sono crollati del 58 per cento, la Svizzera continua ad attirarli come un magnete. Il 59 per cento delle società straniere che hanno insediato il loro quartier generale in Europa, come Hewlett-Packard, Gillette, Procter & Gamble, Ralph Laure, Colgate Palmolive, Cisco o General Motors, hanno scelto la Svizzera. Anche Microsoft e Google hanno stabilito a Zurigo il loro centro di ricerca europeo. Questo fatto fa infuriare i politici europei, che si vedono sfuggire di mano miliardi di imposte a causa della “sleale” concorrenza fiscale svizzera. Nel 2007 un politico socialista francese, Arnaud Montebourg, ebbe un breve periodo di notorietà quando si lanciò in una durissima accusa contro la “mancanza di civismo e la fuga” dei contribuenti francesi più ricchi “nei paradisi fiscali alle porte dell’Europa”. «Fin dove può giungere la nostra tolleranza nei confronti della Svizzera? – tuonò Montebourg – Non sarebbe forse meglio assumere il confronto inevitabile con questi territori, come fece il generale De Gaulle nel 1963 quando decretò il blocco contro il Principato di Monaco, che dovette così piegare la schiena di fronte alle esigenze fiscali francesi?». Il giorno seguente il quotidiano Liberation uscì con questo titolo a grandi caratteri in prima pagina: “Evasione fiscale. Bisogna invadere la Svizzera?”
La risposta degli svizzeri a questo novello Robespierre è stata secca e definitiva: «Non c’è nulla da trattare. Montebourg non conosce il sistema fiscale elvetico». Il governo svizzero non poteva trattare su questioni fiscali con il governo francese neanche se l’avesse voluto, perché la Svizzera è una Confederazione nella quale ciascuno dei 26 cantoni è padrone della propria fiscalità. Non solo: all’interno di ogni singolo cantone la competizione fiscale tra i comuni è ancor più accanita. Al deputato francese sfuggiva inoltre un altro dato fondamentale: la partecipazione decisiva dei contribuenti alla determinazione dei tassi d’imposta. In Svizzera, infatti, sono i cittadini che votano la maggior parte delle aliquote fiscali attraverso la democrazia diretta e i referendum. Per realizzare il suo obiettivo Montebourg avrebbe quindi dovuto fare il giro di tutti i comuni e di tutti i cantoni elvetici, e perorare la sua richiesta di “armonizzazione fiscale” con la Francia davanti ai cittadini riuniti per le votazioni a Obvaldo, Nidvaldo, Glarona o Appenzello. Molto difficilmente però sarebbe riuscito a ottenere il loro consenso, dato che, come spiega l’economista svizzero Beat Kappeler, le istituzioni locali elvetiche «producono un tipo particolare di politico dell’esecutivo, investito della delicata missione di mantenere uno Stato minimale: egli è il delegato del popolo, incaricato di sorvegliare il mostro e non certo di renderlo potente, splendido, seducente».
Gli elvetici, infatti, non hanno nessuna intenzione di rinunciare al loro sistema perché, come spiega l’ex ministro delle finanze della Confederazione Hans-Rudolf Merz, la concorrenza fiscale interna è garanzia di efficienza e di innovazione. Ogni cantone è libero di sperimentare soluzioni inedite e poi, a seconda dei risultati, le soluzioni migliori vengono adottate, mantenute e eventualmente imitate. Nel 2007 il Canton Obvaldo, vero e proprio laboratorio fiscale della Svizzera, fu il primo ad adottare una tassa piatta con aliquota bassissima all’1,8 per cento per tutti i redditi, con esenzione totale sotto i 10.000 franchi. Visti i buoni risultati, questa innovazione fiscale venne copiata l’anno successivo dal Canton Turgovia. Generalmente sono i comuni e i cantoni più depressi o svantaggiati che giocano la carta delle riduzioni fiscali per recuperare un po’ di terreno nei confronti dei comuni o dei cantoni più sviluppati e meglio serviti, che possono permettersi di chiedere aliquote più alte ai propri cittadini. […]
Mentre gli italiani, i greci, gli spagnoli o i francesi hanno concesso ogni libertà ai loro eletti trasformatisi in predatori, gli svizzeri sono stati vigilanti. Lo sono stati a maggior ragione poiché le istituzioni di cui si sono dotati permettono loro di sorvegliare i propri eletti e di tenerli al guinzaglio. Gli svizzeri in effetti si sono muniti di istituzioni che consentono ai cittadini di far valere in maniera pacifica e civile la loro voce, senza passare dalle violenze di piazza, dai cortei che bloccano le strade, dagli scioperi continui o dalle risse televisive. Da oltre un secolo e mezzo gli svizzeri hanno forgiato degli strumenti politici la cui utilità specifica è quella di ricordare agli eletti che, a differenza di quanto avviene nella pratica di molti paesi a “democrazia rappresentativa” come l’Italia, il mandato di cui dispongono non è assimilabile a un permesso di saccheggio concesso per un periodo di quattro o cinque anni.
La Svizzera ci mostra quindi le virtù di un sistema basato sullo stato leggero, la decentralizzazione nelle decisioni di spesa per evitare gli sperperi, il federalismo concorrenziale, la sorveglianza degli eletti, i referendum su questioni fiscali, e il diritto d’iniziativa, che permette alla popolazione di intromettersi in ogni momento in ciò che la riguarda, canalizzando i malcontenti e dando responsabilità ai cittadini. I popoli europei dovrebbero trarre importanti lezioni da questo superiore modello di organizzazione politica.
aspettando Luca Zaia (alfiere della battaglia indipendentista del Veneto)
Quando scrivevo:
(per non alimentare false speranze, io sono fra quelli che stanno ancora aspettando che Zaia – sì, ci credo ancora – un giorno, raccogliendo attorno a sé tutte le forze indipendentiste venete – non vedo altri in grado di coagulare il consenso necessario per terrorizzare il vandalico mostro italiano – svegliandosi dal torpore attendista pronunci la famosa frase “al mio segnale scatenate l’inferno …“.)
intendevo dire proprio questo:
[…] Cosa stia succedendo in Veneto i lettori di questo giornale lo sanno bene, dunque non serve ribadirlo per l’ennesima volta. Ma quel che potrebbe e dovrebbe succedere è interessante ascoltarlo dalle parole di Ettore Beggiato, venetista illuminato. Dopo aver fatto un breve escursus sui fermenti che stanno attraversando la sua regione, potenziati dalla crisi economica, Beggiato giunge a questa considerazione:
“Nelle fondamenta della nostra società e della nostra comunità oggi si respira un clima molto diverso rispetto a trent’anni fa e dobbiamo essere prima di tutto noi a dare la spallata decisiva per cadere lo stato italico. Certo, noi veneti abbiamo l’atavica incapacità di fare massa critica: ci sono fra noi tante divisioni e frammentazioni che, se da un lato sono la prova di come l’encefalogramma non sia piatto, dall’altro rendono difficile unire le forze. Per questo penso che oggi in Veneto ci sia una sola persona in grado di prendere in mano la situazione e, buttando il cuore oltre l’ostacolo, diventare la figura di riferimento per dare speranza alle nostre aspirazioni.
Parlo del governatore Luca Zaia che spero decida di diventare l’alfiere della battaglia indipendentista del Veneto”.
e poi si chiedono perché il Veneto vuole l’indipendenza (siciliate speciali)
Di motivi ce ne sono di ben più pregnanti, ma anche questi, quando si sommano, fanno la loro parte. Forza Sicilia, che stiamo per giungere all’orlo …
Non si trovano esperti di Facebook su 17 mila dipendenti, la Regione pronta ad un avviso per 20 esterni under 35
A vuoto l’atto d’interpello interno pubblicato dal dipartimento Formazione che cerca professionlità per la comunicazione del piano giovani. Adesso la Regione si rivolgerà al’esterno. In palio una ventina di contratti da 25 a 50 mila euro lordi per un anno di lavoro
[…] L’avviso esterno è stato varato dopo che è andato a vuoto l’atto di interpello del 21 marzo rivolto agli oltre 16.000 regionali, chiamati a maneggiare anche Facebook e Twitter.
serenissime digressioni /2
[…]
Per raccontare davvero cosa sta accadendo in Veneto […] è meglio invece salire in auto e percorrere la Pontebbana a Treviso o la Strada del Santo a Padova. Lì la lunga teoria di capannoni sfitti o in vendita, fotografa meglio di ogni statistica un territorio che nel giro di sette anni ha perso 10,5 punti di Pil ed è tornato sotto i livelli del 2000.
In Veneto più di 20 mila imprese hanno chiuso nell’ultimo lustro, i disoccupati sono ormai 195 mila e il reddito medio nel 2013 è sceso di 600 euro. Il tutto mentre la regione ha continuato a versare 70 miliardi di tasse all’anno allo Stato, ricevendone indietro meno di 50. Per questo è facile immaginare che, al di là di ogni evidenza (progettare la secessione armata è un reato grave), i 24 arrestati saranno visti da molti corregionali come dei martiri. Col rischio che presto altri indipendentisti ci riprovino.
L’anarchico russo Michail Bakunin, che di insurrezioni se ne intendeva, spiegava: “La rivoluzione è più un istinto che un pensiero: come istinto agisce e si propaga, e come istinto darà le sue prime battaglie”. E in Veneto, ma non solo, l’istinto di rivolta c’è. Non per nulla l’istituto di sondaggi Demos, molto più credibilmente dei referendum on line, il 24 marzo ha scoperto che il 55% dei veneti è favorevole all’idea dell’indipendenza, anche se molti si accontenterebbero di “parlamentari migliori” (30%) e di un “federalismo vero” (20%). […]. (Gomez – FQ leggi tutto)