Fare per Fermare il Declino: Oscar Giannino fa a pezzi Berlusconi
Fare per Fermare il Declino.
Fare per Fermare il Declino.
Un partito da Oscar. Piccoletto, ma da Oscar. Ma noi godiamo, sempre, ad essere minoranza (certo la soglia del 4% appare lontana). E ad Oscar non piacciono le province ma … se ne farà una ragione.
Fare per Fermare il Declino.
Va avanti la discussione dei punti programmatici definiti da “Fermare il Declino”, la nuova forza politica di ispirazione liberale promossa da Oscar Giannino e tanti altri liberisti. Qui si parla di federalismo, quello “vero”, e la cosa interessa non poco le nostre comunità di montagna la cui gente sta chiedendo a gran voce la possibilità di autodeterminarsi e di autogovernarsi in piena autonomia(vedi BARD). Riporto per intero l’articolo di Francesco Forti tratto da noisefromamerika (il neretto è mio):
10) Introdurre il vero federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo. Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata agli enti locali rilevanti ma che, al tempo stesso, punisca in modo severo gli amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio di bilancio rendendoli responsabili, di fronte ai propri elettori, delle scelte compiute.
L’utilizzo dell’aggettivo “vero” indica che possono esistere anche falsi federalismi e quindi rende necessario fare luce sulla realtà federale. Per prima cosa è vero federalismo quello in cui ogni livello di governo non è “ente amministrativo” che amministra localmente con fondi principalmente ricevuti da chi detiene il vero potere politico ma è organo politico sovrano dotato della tripartizione dei poteri, pur con una sovranità limitata e regolamentata a livello costituzionale federale e locale, finanza autonoma e autonomia di spesa.
Un vero federalismo quindi implica la riscrittura della Costituzione nazionale e la comparsa di costituzioni locali che la integrino. Quando dico Costituzione nazionale dico anche la prima parte; un’occhiata alle costituzioni dei paesi federali dovrebbe bastare a capire perché. Trovo utile a questo proposito consigliare la lettura della Costituzione svizzera. Questo per tre motivi: 1) perché è in italiano, cosa che non guasta, 2) perché è stata recentemente riscritta e rinnovata, una decina di anni fa e come terzo ma non ultimo motivo perché in Svizzera vivono diverse centinaia di migliaia di persone di lingua e cultura italiana che sperimentano giorno per giorno una realtà federale e contribuiscono attivamente a farla funzionare. In sintesi ritengo il federalismo svizzero adatto alla nostra cultura, così come a quella latina e germanica. Un federalismo ad assetto variabile, adatto a più realtà contemporaneamente, ideale per la diversificata situazione italiana. Un vero federalismo implica anche che ogni livello di governo abbia una sua Costituzione che definisce poteri locali, organi di governo, sistemi elettivi, limiti dei poteri locali. E dico Costituzione, non Statuto. A titolo informativo è possibile leggere in italiano le costituzioni dei Cantoni Ticino e Grigioni.
Un secondo approfondimento su quel “vero” lo possiamo sviscerare considerando gli altri nove punti. Non è infatti auspicabile avere innumerevoli organi sovrani locali che non rispettino i 9 punti, quasi essi fossero solo obbiettivo del governo nazionale. La spesa pubblica deve essere ridotta e tenuta sotto controllo in ogni livello di governo. Inoltre la qualità ed il rapporto prezzo prestazioni dei servizi locali, che in un contesto federale sono molto più ampi e comprendono di solito scuola, giustizia, polizia, ambiente e sanità, deve essere sotto controllo proprio a livello locale. Un vero federalismo è quindi a maggior ragione caratterizzato da una elevata responsabilità locale. Nella decima proposta si fa riferimento a “punizioni” per chi agisce in modo irresponsabile. A mia conoscenza non esistono meccanismi punitivi descritti nelle norme federali ma bastano due chiari punti: 1) in caso di dissesto non si puo’ andare a piangere soldi da “mamma-capitale-della-federazione” perché non è previsto. 2) la punizione dei governanti locali deve arrivare dagli elettori. Non a caso spesso è codificato l’istituto del “recall” per destituire un esecutivo locale. Sistema previsto anche nei cantoni svizzeri, anche se non so se è previsto proprio in tutti dato che ogni cantone ha una sua Costituzione e non conosco tutti i testi. In ultima analisi meglio se localmente non si possano emettere bond ma solo chiedere finanziamenti a banche private e solo fino ad un certo limite. Chiaramente la base è quella definita nella sintesi della proposta 10: “ampia autonomia sia di spesa che di entrata” ma qui dobbiamo veramente approfondire, perché anche questa autonomia va regolamentata a livello costituzionale, per evitare abusi, doppie imposizioni, sovrapposizioni.
Nel campo dell’imposizione tributaria locale è buona norma trovare un modo per evitare il più possibile che i cittadini paghino la stessa imposta, con aliquote diverse, a soggetti diversi. Inoltre è fondamentale che l’autorità di tassazione, che determina l’imponibile, sia una sola. Per esempio sarebbe interessante avere l’IVA (con un’aliquota unica nazionale) e le altre indirette come fonte di finanziamento per il governo centrale e le imposte dirette su persone fisiche e giuridiche come fonte di finanziamento locale, naturalmente con aliquote diverse di luogo in luogo. Quando paghi l’IVA sai che finanzi Roma, quando paghi l’IRPEF sai che stai finanziando il tuo comune, la tua provincia o la tua regione (poi il riparto tra i tre lo si vede dopo e dovrebbe essere deciso localmente, non materia imposta dall’alto). Altra cosa molto delicata in ambito di vero federalismo fiscale è che una persona o un’azienda ha sicuramente una residenza sola ed un’unica sede operativa ma può avere attività diverse in Italia. Un albergo a Bormio, una casa affittata a Taormina, uno stabilimento industriale a Forlì. La logica delle entrate locali richiede che ogni località non sia privata della fonte di reddito tributario solo perché quel cittadino abita, per esempio, a Varese. Vengono quindi previsti particolari riparti d’imposta (solo per le dirette) che fanno in modo che il dovuto vada proporzionalmente ad ogni “località sovrana” (chiamiamola cosi’ per comodità per non addentrarci sulla suddivisione tra comune o distretto o provincia o regione) sulla base del reddito localmente prodotto da ogni attività economica. E che non si paghi due volte per lo stesso reddito.
Chiarite le fonti di reddito delle sovranità locali (ripeto la mia idea: imposte dirette su persone fisiche e giuridiche con aliquote locali) le spese dipendono dai compiti che dette sovranità avranno e da come decideranno di svolgerli. Un “come” deciso democraticamente da cittadini consapevoli che l’onere di quanto deciso sarà a loro carico. Compiti o meglio competenze che dovrebbero essere ben superiori, come numero e qualità delle attuali. Qui la discussione potrebbe essere infinita ma penso che un rapido benchmark sui compiti locali negli altri paesi federali dovrebbe darci un’ordine di idea di cosa sia oggettivamente e razionalmente fattibile. Tanto per intenderci nessun paese affida la difesa nazionale ai comuni (!) ma praticamente ovunque i comuni sono responsabili dell’educazione primaria, mentre il livello statale (leggasi cantone/stato/länder) è responsabile di ogni altro ordine e grado di istruzione (anche delle università pubbliche). Qualsiasi siano le spese generate dallo svolgimento di un compito locale, la regola principale è che le spese di gestione sono interamente a carico locale e vanno pareggiate con le entrate. Se un anno si ha un leggero deficit, l’anno successivo o ci sono a disposizione riserve da usare oppure dovranno aumentare le aliquote. Viceversa in caso di avanzo si potrà decidere se gestire una piccola scorta (riserva) per i momenti difficili e poi, costituita la scorta, diminuire le aliquote locali.
Per le spese di investimento (opere civili, scuole, ospedali) invece possono essere previsti fondi orizzontali (tra entità dello stesso livello) e anche verticali (messi a disposizione dall’entità di livello superiore) a cui attingere – oltre ad una quota di fondi propri – e in cui versare il dovuto in base alla forza finanziaria della sovranità in questione. In questo modo per la gestione si ha responsabilità piena con le finanze locali e per gli investimenti si hanno a disposizione, oltre a necessari fondi propri, meccanismi di solidarietà sussidiaria coperti dai più forti finanziariamente ed a disposizione dei più deboli.
Sperando che quel “vero” ora abbia maggior spessore di prima e ammettendo che molto va ancora scritto per approfondire, dobbiamo essere oggettivamente consapevoli che questo federalismo sarà considerato (spero) auspicable per qualcuno e (temo) un incubo per altri. Non può piacere a tutti, di primo impatto, soprattutto alla casta. Innegabile che la sua realizzabilità sarà ritenuta auspicabile o impossibile in combinazione con “per fortuna” o “purtroppo” a seconda delle personali convinzioni e del livello di conoscenza del sistema. Ma comuque vada è chiaro che per rendere operativo un simile cambiamento, quando lo volessimo, non basta decidere e schioccare le dita. Occorre un progetto complesso che si sviluppi in ogni località e trovi la sua strada e la sua tempificazione. Che sarà diversa, per forza di cose, di luogo in luogo. Se fossimo tutti uguali non avremmo forse così bisogno di federalismo vero (uno finto potrebbe bastare) ed essendo le varie giurisdizioni così diverse per cultura, storia e forza economica ognuno deve realizzare il suo modo di essere parte di un complesso federale e riuscirci nell’arco del tempo che ci vorrà. A titolo di precisazione, mi sembra del tutto realistico che non ci possa essere una partenza coordinata di tutti insieme perché i piu’ veloci dovrebero aspettare i più lenti. Invece una partenza a tappe, con alcune regioni o province pilota, seguita poi da tutti gli altri a seconda del tempo che ci mettono ad organizzarsi è piu’ verosimile. Occorrerà naturalmente organizzare il livello centrale (e questa operazione potrebbe anche essere la piu’ compessa tra tutte) e poi dettare dei limiti massimi agli ultimi ed stabilire cosa fare per quelle località che dovessero essere inadempienti.
Il caso svizzero ben si presta a quello nostro perché per alcuni versi non è un sistema unico calato dall’alto ed uguale per tutti come quello tedesco (per altri lo è ma non per tutti gli aspetti). Il Ct. Ticino è strutturato costituzionalmente in modo ben diverso dal Ct Grigioni e sono entrati in tempi diversi a far parte della federazione. In che vuol dire che non è affatto detto che Enna debba per forza organizzarsi esatamente come Bolzano e che debba essere pronto nello stesso momento. Spesso noto invece che certi “federalisti improvvisati” immaginano troppe regole e tempi uguali per tutti, come i centralisti. Invece abbiamo bisogno di pluralità di casistiche e di tempistiche. I primi a partire possono essere di stimolo e “best pratice” per altri ma c’è spazio per un ampia autonomia anche a livello costituzionale locale. Questa è la forza di un federalismo che unisce entità diverse in un unico compound.
Dovrebbe essere chiaro che la discussione ora verte sul compound perché localmente, se siamo “veramente federalisti” decideranno loro che fare, nei limiti delle poche ma chiare regole comuni. Quali poteri dare ai comuni, alle province alle regioni, cosa accorpare, eliminare, fondere, suddividere non è affare nostro ma, una volta che saranno politicamente e finanziariamente responsabili, decisione loro.
Per chi volesse approfondire, a partire dal 1996 ho gradualmente arricchito questo sito, che ad onor del vero è fermo da molti anni. Quello che dovevo dire sui compiti dei vari livelli e sul federalismo fiscale, l’ho fissato nero su bianco e dopo 10 anni mi sonofermato: ormai le cose da dire sono state dette. La discussione in Rete invece non è mai terminata e sono lieto che il decimo punto mi dia la possibilità di continuarla con voi anche qui. I piu’ curiosi nello scavare nel sito scopriranno che già nel 1996 pubblicavo due testi sul federalismo di un tale Michele B.
Non certo per par condicio – considerato l’articolo di ieri quelli del PDL: via, vanno mandati via e basta! – ma capita di doversi interessare anche di quella melma che è il PD. La discussione – sempre coagulata attorno alla presentazione della nuova proposta politica “Fermare il Declino” – lo ammetto, può apparire più accademica che pratica, ma agli interessati non mancherà di offrire ottimi spunti sui quali riflettere.
Sandro Brusco e Michele Boldrin, firmatari del manifesto Fermare il Declino, “dialogano” lungamente con il “Compagno che resta nel PD”:
No, non vi chiediamo di propagar le verità sociali. Vi chiediamo di riflettere. È veramente il PD lo strumento migliore per fermare il declino italiano?
Caro Compagno Che Resta nel PD,
abbiamo discusso parecchio, con te e altri come te, durante il mese che ha preceduto la pubblicazione del manifesto su ”fermare il declino”. La discussione si è svolta sempre su due piani. Il primo piano era quello della discussione concreta sulle cose da fare. Pochi contrasti in questa area: ci dicevi che l’insieme di proposte era, per usare le parole della canzone, ”se non del tutto giusto quasi niente sbagliato”. Le discussioni su aspetti marginali ci sono sempre, ma era chiara la condivisione di fondo sia dell’impianto analitico sia del grosso delle proposte.
[…] Il paese non può aspettare dieci o venti anni che il PD ”maturi”. È urgente fare di tutto perché la prossima legislatura non venga buttata al vento, come è avvenuto con questa (e quella precedente, e quella precedente ancora…). Basterebbe questo in verità a sconsigliare la permanenza nel PD. Dopotutto gli esseri umani che ora reggono le sorti del PD hanno governato dal 2006 al 2008 e dal 1996 al 2001 (alcuni di loro anche in tempi precedenti, ma transeat). Dicci, fratello, quali fra costoro sarebbero, a tuo avviso, capaci anche solo di comprendere ciò di cui il paese ha bisogno?
[…] Il problema di promuovere l’efficienza nella fornitura pubblica di sanità ed educazione venne in buona misura ignorato, o per scarsa comprensione o per ossequio alle forze sindacali alleate.
[…] Al contrario, praticamente sempre, l’apparato dello Stato – quello concreto, compagno/amico, quello fatto di alti funzionari, direttori generali, boiardi delle imprese pubbliche, magistrati prestati all’amministrazione, eccetera: quelli che guadagnano tutt’ora cifre non viste in ogni altro paese occidentale – lottò per mantenere la sua influenza nelle imprese che stava vendendo, cercando di mantenerne il controllo mediante partecipazioni azionarie e golden shares. Pensa, tanto per dire, alle fondazioni bancarie …
[…] Quale speranza esiste che nei prossimi mesi la deriva manifestata dal centrosinistra negli ultimi 15 anni possa essere rovesciata? Nessuna. Questi 15 anni dovevano e potevano essere usati per riflettere sul ruolo dell’economia di mercato per promuovere l’innovazione, per ridisegnare gli incentivi nel settore sanitario e nell’educazione, per ripensare l’opportunità della attuale, soffocante, tassazione di lavoro e impresa. Per riflettere, insomma, sullo stato vero, quello materiale fatto di ministeri e regioni, non quello astratto e sapiente dell’antico leninismo. Nulla di ciò è avvenuto. È avvenuto qualcos’altro. È avvenuto il Prodi bis, un governo che ha aumentato le tasse sui precari per finanziare un abbassamento dell’età pensionabile riservato ai fortunati appartenenti alla generazione giusta e ai settori giusti.
[…] Infine: qual è il livello di coinvolgimento dei suoi dirigenti nel sistema della casta che, dalle fondazioni bancarie alle municipalizzate, tanto danno crea al paese? Quanto consenso ha il partito nelle zone e nei ceti più produttivi del paese? Quali sforzi ha fatto per recuperare il consenso in quelle zone e di quei ceti? Sforzi veri, correlati da riflessioni su come abbassare in modo credibile e realistico la pressione fiscale e su come aumentare l’efficienza dello Stato, non battute propagandistiche.
Facci sapere. Noi attendiamo pazienti. La cosa che andiamo creando è aperta, è un movimento reale che vuole cambiare lo stato di cose presenti …
[leggi tutto su noisefromamerika]
Per quel poco che conto ho dato nei giorni scorsi spazio alle proposte di “Fermare il Declino”, una nuova seria speranza di portare almeno la luce in questo mondo di tenebre ed obnubilamento culturale, sociale ed economico.
Quelli del PDL, fra cui emergono i volponi Alfano e Brunetta, in questa sfortunata (per loro) circostanza, si sono affrettati a scopiazzare alcuni punti programmatici che poi hanno offerto al pubblico languore. Si tratta di quattro dati, i soliti, legati però da una logica che non lascia spazio ai noti e favolistici deliri di finanza creativa cui ci ha abituati Voltremont (Tremonti): se tiri la coperta da una parte, diventa corta dall’altra.
Comunque, quelli del PDL ci hanno provato ancora, e non sarà l’ultima, ad intorbidire le acque. I redattori del sito noisefromamerika se ne sono accorti e hanno preparato una gustosa disamina che, per essere gustata fino in fondo, va naturalmente letta per intero. Qui l’inizio del “dileggio”:
Avete presente quegli studenti un po’ zucconi che proprio non ci arrivano e allora cercano di copiare? Ma che sono così zucconi che, siccome appunto proprio non ci arrivano, perfino quando copiano riescono a infilarci degli errori? Bene, la politica italiana ci ha offerto un altro illustre esempio di questa variegata umanità.
Il PdL, ci viene detto, ha elaborato una proposta di abbattimento del debito pubblico. La proposta è stata illustrata da tal Angelino Alfano, gestore pro tempore del partito in attesa del ritorno del padrone, di cui conoscevamo le doti di leguleio ma di cui ignoravamo la lucidità di pensiero su temi economici. Il PdL, dicevamo, ha messo insieme un po’ di gente e ha ”elaborato una proposta”.
Qui la fine:
Insomma, un disastro. Un altro esempio, se mai ce ne era bisogno, di una classe politica fallimentare e allo sbando. Via, vanno mandati via e basta.