Che l’Italia sia uno Stato di merdellata lo si rileva dalla quasi totalità delle classifiche che periodicamente fotografano le performance degli stati sovrani sia in ambito internazionale che europeo. L’Italia te la ritrovi quasi sempre fra gli ultimi posti quando il confronto è serrato, cioè con i migliori competitors, mentre galleggia a metà classifica quando a concorrere sono proprio tutti (comprese – senza offesa – Uganda, Kenya, Belize …).
Basta, per esempio, dare un’occhiata alla media della crescita fra il 2000 ed il 2011 del PIL: siamo ultimi fra i paesi OCSE. Nella classifica 2013 della libertà di stampa e informazione la baldracca italica si trova al 57°, superata da Suriname, El Salvador, Burkina Faso, Haiti. Penultimi nell’EU27 per rapporto debito/PIL. Ma vogliamo dare un’occhiata ai differenziali di crescita tra Italia e EU27?
Anche in Europa, dicevamo, l’italietta non si fa certo onore: nell’ultimo report elaborato dalla UE, del quale avevo già dato notizia in riferimento alla situazione della Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, lo stivalone nel suo insieme, la baldraccona …:
… che era 16ma nel 2010 su 27 paesi, è ora 18ma su 28 paesi (ma è al 24° posto per efficienza istituzionale e 26° per accesso a nuove tecnologie).
Non so se è sufficientemente chiaro: l’Italia occupa il 18° posto nell’indice generale su 28 paesi aderenti (se i paesi fossero 100, noi saremmo al 64° posto).
Nel caso del RCI, tanto nella prima edizione del 2010 quanto nella seconda del 2013, l’analisi si spinge a livello regionale per cui possiamo trarre svariate considerazioni anche sul declino delle regioni italiane che, finora, hanno costituito l’ossatura su cui si basava l’intera nazione. Questo per dire, se non fosse già chiaro, che venendo meno l’apporto delle regioni “virtuose”, derubate e schiacciate nel loro “essere” proprio dallo Stato centrale, il destino dell’Italia è diventare, definitivamente, concime per fiori.
Nel post “classifica delle regioni italiane nell’Indice di Competitività Regionale 2013 dell’UE” ho raccolto tutti i grafici che descrivono i vari “pilastri” su cui si basa l’analisi di competitività (che in buona parte è una specie di previsione di ciò che succederà ad ogni singola regione europea nel futuro prossimo). Ne esce, sostanzialmente, un’Italia a pezzi ma ciò che deve allarmare è che le regioni che fanno da traino all’intera baldracca nazionale – Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – arrancano zavorrate mortalmente dal mostro italico.
In altre parole, se il Veneto non esce dall’Italia, non potrà avere neanche un futuro in Europa, se non quello di finire fra le regioni questuanti invece d’essere fra quelle trascinatrici.
Essendo il post piuttosto “lungo”, per non appesantire il caricamento del BLOZ l’ho “isolato” e risulta consultabile al seguente indirizzo: