Quella dell’Italia è una repubblica fondata sul convegno. Se ne fanno di tutti i tipi ed in ogni dove.
Vi è poi una seconda caratteristica che è stata introdotta in questi anni. Prima c’era solo la festa del papà, della mamma e delle donne. Col tempo e la globalizzazione si sono aggiunte varie altre “feste” che hanno però assunto il nome di “giornate”. Ecco allora apparire la “giornata per la pace nel mondo”, quella contro la violenza sulle donne, quella a sostegno della più generale non-violenza, quella del cancro, dei limoni di Sicilia e delle noci di Sorrento ecc. ecc… Mi dimenticavo della giornata internazionale della montagna.
Se cercate su Google “giornata internazionale della montagna” (le parole vanno comprese fra doppie virgolette, altrimenti la ricerca si espande) troverete circa 135.000 risultati, segno che l’argomento interessa dalle Alpi alle Piramidi.
Quando c’è un problema da risolvere i rappresentanti dell’Itaglia proclamano “la giornata di quel problema” e organizzano il convegno “su quel problema”. Così se ne lavano le mani. E’ uno degli elementi della sociologia del convegno.
Il mondo naturale ci offre vari modelli, tutti invidiabili, di ciò che è il convegno, come si forma, cosa ne resta. Visto che parliamo di montagna restiamo in ambito alpestre e confrontiamoci con un modello ad alto contenuto azotato. Sapete tutti che il prodotto metabolico di una armenta si configura come una torta (boaza) che punteggia il manto erboso sul quale essa pascola.
Su di essa, in breve tempo, convengono una miriade di partecipanti che banchettano amabilmente fino ad esaurimento delle proprie aspettative, maturate le quali essi convengono da altre parti, presumibilmente su altre torte organizzate per fare luce su “un altro problema”.
Cosa resta? La maggior parte delle volte niente di niente. Nulla. Zero. Qualche altra volta, invece, la sfortuna vuole che ne resti una traccia, ad imperitura memoria. Come nel caso della Carta di Lozzo. Circa due anni fa, su una “torta” dal titolo “Conferenza Provinciale del Turismo”, si sono dati convegno vari soggetti che hanno “dibattuto il problema” ma, soprattutto, “indicato delle soluzioni”: la Carta di Lozzo ne è il distillato. La Carta è stata consegnata (forse) alla Regione: dieci piani di morbidezza.
Non sono passati che due miserabili anni, è vero. I cambiamenti epocali hanno bisogno di tempo per avviarsi. Intanto, se ne avete voglia, potreste dare un’occhiata alle “soluzioni” indicate. Tutta roba concreta e propositi nobili. Tutto ciò alimenta la nostra granitica certezza: la Montagna, il Cadore e la provincia di Belluno saranno salvati dai convegni.
1) Riconoscimento in ogni strumento normativo della Regione del Veneto della specificità del SISTEMA DOLOMITI, assicurando:
– l’autogoverno del settore (la programmazione e la gestione del prodotto turistico);
– la promozione e comunicazione all’interno del territorio e all’esterno (al turista effettivo e a quello potenziale);
– strumenti specifici di sostegno agli operatori pubblici, privati e del volontariato, anche in considerazione che le Dolomiti hanno sede anche nelle province autonome con noi confinanti che sono al tempo stesso nostri competitor e nostri possibili partner.
2) Creazione di un fondo per la riqualificazione del patrimonio edilizio, anche a fini di ricettività diffusa.
3) Azioni concrete sulla formazione e la valorizzazione delle professioni di montagna (guide alpine, maestri di sci, rifugisti, ecc.)
4) Il riconoscimento della funzione pubblica degli impianti a fune con conseguente garanzia di risorse adeguate per il rinnovo degli impianti.
5) Riconoscimento della specificità della ricettività in alta montagna (rifugi, ma non solo).
6) Previsione di parametri specifici per le strutture montane all’interno dei fondi per la ristrutturazione e riqualificazione delle strutture ricettive.
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