Dunque Google si sta interessando al Made in Italy (un aiutino indiretto – perlomeno per le pagine riguardanti il cibo – all’orrendo ma costosissimo e inutile Italia.it). Di eccellenze ve ne sono diverse. A noi vicine quelle della mela in Trentino e dello speck in Alto Adige. Di bellunese c’è il formaggio Piave (delizia di una terra anelante all’autonomia, per ora vivacemente referendaria). Se avete un’eccellenza da promuovere, provate a seguire i consigli su Eccellenze in digitale.
[…] Si cerca Made in Italy ma non si trova quasi niente. C’è domanda, non c’è offerta adeguata. Parliamo di una domanda di prodotti di eccellenza, non di elettrodomestici a basso costo. Anzi, parliamo di narrazioni diversamente declinate dell’eccellenza italiana: cibo e artigianato, per lo più. Ma dietro cibo e artigianato c’è un mondo.
Quella certa italianità ha un mercato, ed è un mercato in gran parte ancora chiuso, con un potenziale notevole di espansione: Pil, posti di lavoro, indotti ancora tutti da generare. Bene, chi è che su quel potenziale di espansione sistemica ha deciso di investire?
Lo ha fatto il Cultural Institute di Google, con Unioncamere e Ministero delle politiche agricole. Il progetto si chiama Made in Italy, è una vetrina virtuale di cibi e tipicità artigianali nazionali, roba più da Eataly che da supermercato, ma il mercato c’è, accidenti, diamoci dentro.
Insieme a Symbola e Università Ca Foscari di Venezia, poi, Google ha creato anche uno spin-off della vetrina: una piattaforma delle eccellenze italiane, con le storie di chi ce l’ha fatta e con corsi online gratuiti per gli imprenditori che vogliano imparare a farcela da sé. La trovate qui.
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