Quelle “facilitate” da Le Ore erano, diciamolo, bestiali. In pratica non c’erano preliminari. La bestia che era in te si affannava, brutalmente rapita da quelle crude immagini carnali, nel trovare immediato appagamento. Una foga incontenibile che si spegneva con un fragore soffocato, come quello di un ferro rovente gettato in un secchio d’acqua. E di questa cosa, un po’ me ne vergognavo.
Con Postalmarket, invece, era una lenta seduzione. La mia fantasia, resa vivida da quei caldi momenti di intimità chiuso in bagno in compagnia del “catalogo”, costruiva intensi rapporti affettivi con ognuna delle modelle d’intimo: le amavo davvero. Le accarezzavo, le abbracciavo, le stringevo con affettuosa fermezza. Ovviamente, ad un certo punto, non mi potevo sottrarre all’epilogo (anche se per una parte della mia vita, desistendo dopo breve esperienza, ho seguito i dettami yoga che facevano perno sulla “ritenzione del seme umano”).
Postalmarket partiva avvantaggiato, è vero, perché non c’era bisogno di nasconderlo, cosa che diventava assolutamente necessaria per Le Ore. Ma della chiusura di quest’ultimo non m’importerebbe nulla (esiste ancora?). Ma quando ho letto della chiusura di Postalmarket, be’, ho sentito un groppo in gola e sono tornato mesto ai ricordi di quei tempi favolosi.
Faccio mio, oltre al titolo, l’epitaffio che chiude l’articolo su Libernazione dal quale ho appreso la triste notizia:
Addio Postalmarket. Grazie di tutto.