Transito ISS: tra un’ora (mi dispiace ma me n’ero scordato…) luminosissima e a 86° d’altezza; ma anche domani è sui 28° e abbastanza luminosa (magnitudine -1.5) e il 23 ottobre a 48° e magnitudine -2.4 (più luminosa del 22 ottobre); per gli orari e la direzione di transito date un’occhiata alle immagini sottostanti.
Non si capisce se il virgolettato che segue sia da attribuire a tale Umberto Martini – che già in passato, qui sul BLOZ, ha dato dimostrazione di ottime qualità circensi (vedi qui e anche quo) – o se è voce dei “presidenti bellunesi”, ma non ha alcuna importanza alpina.
Discorso chiaro, limpido, che non fa una piega (ridotto per voi a “frase per frase” per un impatto emotivo meno anestetizzante):
La posta in gioco – ricordano i presidenti delle sezioni bellunesi – è stata descritta dal presidente generale Umberto Martini in termini molto chiari nel suo intervento all’assemblea dei delegati di Sanremo di maggio 2015.
«Dobbiamo dibattere sull’attualità delle nostre proposte verso la società odierna. E’ ancora valido il nostro modo di operare? E’ ancora appetibile, in particolare per i giovani?
Il Cai oggi come oggi ha urgente bisogno di adeguarsi ai cambiamenti, sempre più veloci, per rendere più incisiva la nostra presenza, l’organizzazione del sodalizio e la nostra offerta di servizio alle modificate esigenze senza rinunciare alla nostra identità, o diluendoci nei cambiamenti, ma ricercando una più attuale incidenza del nostro modo di essere».
Cari Soci, il nuovo modello dell’attività dell’organizzazione contribuisce alla preparazione e alla realizzazione del sistema della partecipazione generale.
Non è indispensabile argomentare molto il peso e il significato di questi problemi, giacché il nuovo modello dell’attività dell’organizzazione ostacola l’apprezzamento dell’importanza delle condizioni finanziarie e amministrative esistenti.
Tuttavia, non dimentichiamo che il nuovo modello dell’attività dell’organizzazione ostacola l’apprezzamento dell’importanza delle attitudini dei membri delle organizzazioni nei confronti dei propri doveri.
La tutela dell’organizzazione, ma soprattutto l’avvio dell’azione generale di informazione delle attitudini contribuisce alla preparazione e alla realizzazione delle direzioni di educazione nel senso del progresso.)
A sostegno del fatto che a Lozzo, dicono, “è conservata una delle più importanti aree di archeologia industriale”, i nostri mettono a segno qualche evoluzione circense:
Nel XX secolo, infatti, questa località costituiva il centro produttivo di Lozzo…
Ora, il XX secolo inizia con l’anno 1901 e finisce con l’anno 2000: diteci almeno se vi state riferendo alla prima o alla seconda metà del secolo. Presumendo che il riferimento sia alla prima metà (speriamo), va ricordato (così, per sommi capi) che l’energia elettrica (avete presente?) a Lozzo giunse nel 1902 (la prima lampadina), ma è del 1915 la prima centralina dei Caruli e del 1926 quella che oggi è denominata “di Leo” e che credo giri ancora allegramente.
Nel 1914 giunse la prima vaporiera a Calalzo (quella che sui binari fa ciuf ciuf). Nel 1909 a Pozzale, che non aveva acqua, iniziò a funzionare un mulino azionato da energia elettrica, seguito nel 1914 da una sega alla veneziana; nel 1949 il mulino smise di produrre farina perché i costi dell’energia elettrica superavano le entrate. A Lozzo l’attività molitoria, da anni rantolante, finì coi primi anni Cinquanta (del XX secolo eh…). Ecco, così tanto per dire.
Centro produttivo di Lozzo? Ma anche no.
Ancora: un riferimento agli anni precedenti al XX secolo no eh?
Pensate, dicono i nostri, che “alcuni documenti testimoniano la presenza di ben 10 ruote…”. Che facciano riferimento alle “Anagrafi Venete” che nel 1766 descrivevano lungo il corso del Rio Rin “dieci ruote di mulini da grano, una sega da legname, un follo da panni di lana, sedici telari da tela e cinque mole…“?
(quella della produzione di occhiali, seppur “più tardi”, m’era del tutto sfuggita)
A Lozzo di Cadore è conservata una delle più importanti aree di archeologia industriale: la Roggia dei Mulini. Nel XX secolo, infatti, questa località costituiva il centro produttivo di Lozzo, ove si svolgevano tutte le attività artigianali tra cui la lavorazione del legno, della lana e dei tessuti, ma anche l’attività fabbrile e più tardi la produzione degli occhiali.
Gli opifici, destinati alle varie attività artigiane, necessitavano dell’acqua per il loro funzionamento, e vennero così sapientemente edificati lungo il corso del Rio Rin, in modo da poter sfruttare l’energia ottenuta dall’impianto idraulico. Alcuni documenti testimoniano la presenza di ben 10 ruote da mulino, una sega da falegname, un follo da panni di lana e 16 telari da tela, un vero e proprio villaggio di strutture dedicate all’attività preindustriale. […]
La Provinciazza, in relazione ad una mostra fotografica sulla Grande Guerra:
[…] In esposizione 100 immagini di grande formato, simbolicamente una per ogni anno che ci separa da quel fatidico 24 maggio 1915 in cui l’Italia entrò in guerra schierandosi contro l’Impero Asburgico.
Chissà perché prendono sempre il giro così largo. Ti dà come l’idea di un’Italia che sta per entrare in autostrada percorrendo la corsia d’accelerazione in direzione Vienna: “l’Italia entrò in guerra schierandosi contro l’Impero Asburgico“. E ditelo, no, francamente, che l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria (sorvoliamo sul fatto che per un po’, solo una trentina d’anni, fummo anche alleati).
Poi, di quel maggio, va detto che la dichiarazione di guerra fu presentata il 23, con effetto dal 24 successivo.
Solo per ricordare (scusate il ritardo, eventualmente) che i capetti e i caponi che muovono i fili di queste manifestazioni di culto dell’immagine (forse anche qualche caprones che, giulivi, nobilmente sbavano rincorrendo la carota pur di dire “c’ero anch’io”), solo pochi giorni prima osannavano il “coraggio” della Merkel (in prima fila i soliti piddoni europeisti; fra loro un Gad Lerner da collezione che tuittava, “Non lasciarsi intimidire dai vari Salvini d’Europa, non ammiccare ai cattivi sentimenti della gente. Ci voleva proprio la Merkel per osarlo?“).
Poi la Merkel ha rifatto la tedesca, eccheccazzo (anche perché un suo ministro, dovendo fronteggiare l’onda umana, deve averle detto, “che faccio, te li mando a casa tua?”) e ha richiuso le frontiere e fatto saltare per aria Schengen. Nel frattempo è passata la linea Orban… Chissà se i capetti e i caponi di prima hanno poi cambiato idea sulla “culona” (no, sui diritti no, quelli non si toccano!!!).
(per inciso: perché quando Salvini dice che bisogna usare la forza contro gli scafisti i media lo bollano come fascista, mentre, cosa di due giorni fa, quando lo dice la UE – UE – i media titolano “era ora”? Solo teste di cazzo che non sanno quello che fanno, o c’è uno spin da alimentare? Dai che non è difficile!)
Delle “Dolomiti che abbracciano i diritti umani” non mi piace per niente neanche il risvolto utilitaristico, quello di manifestazione che aiuterebbe ad allungare la stagione turistica. Se poi prendiamo in esame le modalità con cui si vorrebbe svegliare dal sonno i potenti della Terra, dai, su, è una stronzata pazzesca.
Saranno contenti come una Pasqua, i potenti Hollande e Cameron, ora che stanno scaldando i motori dei jet supersonici per compiere una seconda supercazzola in stile Libia, questa volta in Siria. Dopo quattro anni di guerra devastante, con lo zio Sam che non sapeva che cazzo fare, ma qualcosa ha fatto (l’Isis), con la UE che s’è pisciata sotto fin dal primo giorno, ora giungono loro, nella ormai martoriatissima Siria, a dare manforte “ai diritti umani” (ah, ah, ah, ah!!).
Saranno felicissimi, dicevo, d’avere lo slancio dei 6000 che, all’ombra delle Tre Cime, dentro i monclaire (portateli, teste di cavolo, ché vi serviranno), lanceranno altissime in cielo le loro grida di dolore, strazianti, per la brutta piega che hanno preso certe parti del mondo (vuoi mettere quando c’erano le colonie?!).
Del resto, se in Spagna sulla Sierra Nevada hanno da poco messo assieme una “cadena humana” di 400 persone per salvare il rifugio Elorietta, non dovrebbe essere difficile chiamare a raccolta 6000 caprones, da radunare al cospetto della Trinità, dell’ “empireo delle Dolomiti”, per salvare il mondo intero.
Fare i caprones ad Aleppo, no eh, costava troppo!?
Su, su, Hollande; su, su, Cameron. Potete dar via ai raid, ché dalle Tre Cime nulla osta!
(e sì, già non m’andava allora, quella volta delle Dolomiti che abbracciavano l’Africa, ma adesso, di queste fanfaronate in salsa sodomitica, mi sono proprio rotto i coglioni)