Zaia poteva fare anche a meno di andare a Roma. Sarebbe bastato Bond, da solo. Il Veneto era senza statuto da mo’. Quando Galan se n’è finalmente andato fuori dai coglioni, si sono messi in testa di farlo e dopo uno studio matto e disperatissimo sono giunti al compimento dello sforzo. Solo che, come si sa, il governo Monti aveva “impugnato” il risultato di questo unanime sforzo.
All’atto di forza dell’italico ancorché tecnico governo, le migliori energie demosociopatiche del Veneto si sono scatenate in un tourbillon di critiche e Bond, Dario Bond, era perfino giunto, spalleggiato dal fido Cortelazzo, a minacciare Monti con la storica frase:
«Siamo pronti a marciare su Roma».
Monti, nel frattempo preso a svenderci in mutande all’Europa, ha frainteso e capito che le suddette energie demosociopatiche si sarebbero prodotte in un …
“Marciremo su Roma“
al che il povero premier ha chiesto lumi agli astanti. «E chi sarebbero ‘sti qua che vogliono marcire su Roma?» Il primo a schiacciare il pulsante è stato il giovane e aitante Martone che ha chiarito: «Sono i fetentoni del PDL veneto con l’aggiunta dei pluri-fetenti del PDL bellunese» (quelli che han fatto cadere la Provincia di Belluno).
Di fronte a tanto ardore, francamente angosciato dalle immaginabili conseguenze pluri-fetenti, il premier non ha ulteriormente esitato ritirando d’impeto l’impugnazione.
In verità la capogruppo del Pd Laura Puppato aveva squittito: «Chi la fa l’aspetti. Il Veneto sta impugnando tutto quello che ha messo in campo il governo e quindi dovevamo aspettarci una particolare attenzione verso chi si considera all’opposizione del Governo nazionale. Questo è il caso dei rilievi sull’articolo 30 dello Statuto e sulla questione relativa all’autonomia finanziaria. Insomma, chi la fa l’aspetti». Ma i fatti susseguitisi le hanno dato torto, avendo potuto molto di più il fetore pidiellino della voglia governativa di rendere pan per focaccia.
Ad ogni buon conto, vissero tutti felici e contenti.