(uno che non è passato di qua, ma che ha trovato comunque il modo di lamentarsi e brontolare – da cui il nome di assoluta fantasia: Brontolot – per un mio recente articolo sui musei cadorini in gol. Che poi, per costoro, che cazzo vorrà mai dire “mettersi in rete”? Solo presentare due banalissime paginette web che te le potrebbero fare in terza media al labo d’informatica?
Non so di preciso a che altezza siano giunti questi alti lai, ma mi duole aver toccato nel vivo un sì sensibile e vibrante animo. Porgo quindi, quale segno della mie buone intenzioni, codesto cadeau, con la speranza che giunga gradito…)
Un po’ è anche “colpa” della Regione Veneto (in realtà è la deforma Delrio delle province – quella legge che un normale babbuino avrebbe scritto con più discernimento – che sta creando casini nel settore “dati e statistiche”) che ha reso pubblici i dati di dicembre con geologico ritardo. Allo stesso tempo è la Provinciazza che deve aver reso noto solo ora come sono andate le cose ad avvio 2015.
Risultato? Il volo del tacchino, che pure a dicembre sembrava essersi librato leggero nell’aere, si appesantisce e “piomba” nella cupa disperazione – come un ferro da stiro – nei primi tre mesi del nuovo anno. Il bello, diciamo, è che il Corriere delle Alpi firma il “volo” (dell’inizio della stagione invernale) in un articolo del 30 giugno scorso e, solo qualche giorno dopo, oggi, 9 luglio, ne firma invece il “crollo” (della medesima stagione, per la parte del nuovo anno e nell’insieme).
Insomma, non ci sono più le stagioni di una volta.
(imbarazzante, alla luce di ciò che è successo, ciò che dice il namberuan di Cortina, ma ne parleremo in un altro articolo…)
Qualche giorno fa abbiamo sollevato un dubbio sul fatto che, per gli aspetti formali, il testo originariamente proposto (nel frattempo è stato sostituito) per celebrare l’entrata in gol di alcuni musei cadorini fosse stato scritto da un bipede. Fra le ipotesi, quella che il testo sia… “scritto da cani”. Siamo qui per argomentare…
Elenco delle chicche dal fine perlage:
Il percorso di visita si articola in quattro sale principali nelle, quali… (ah, la virgola);
immagini, filmati e riproduzione di documenti… (riproduzioni; puoi anche fare “una” riproduzione di documenti, ma in questo caso ci va il plurale);
sono messi in mostra la raccolta degli strumenti… (la raccolta è, gli strumenti sono…);
Nella sede è presente inoltre parte degli arredi della latteria la lunga fontana in cemento con acqua corrente… (nella prima parte della frase siamo al limite: certo è che” è presente parte degli arredi”… “suona da cani”; nel suo insieme la frase è, diciamo, naif; altri direbbero… “sconclusionata”; chiamarla poi “fontana” è licenza poetica; evocare l’ “acqua corrente” è, inoltre, di grande effetto scenico: sembra quasi che l’acqua stia correndo anche ora, adesso, in questo momento…);
Ora, noi tutti siamo certi che, nonostante questi innegabili “errori”, il pianeta Terra se ne sbatta allegramente della cosa e stia continuando a girare come ha sempre fatto. Nondimeno dobbiamo anche ritenere che, dopo tutti i rulli di tamburo e le squillanti trombe, trombettine, trombettuccole fatte squillare per celebrare con giubilo pieno il varo dei musei cadorini in gol, errori come quelli segnalati non dovrebbero sussistere neanche nell’immaginazione. Anche perché chi ha svolto quel lavoro ha percepito enne bes (non sarebbero accettabili, quegli errori, neanche se fossero stati opera volontaristica).
Insomma: se vuoi fare lo sborone, sborone devi essere (altrimenti corri il rischio di fare il ciula). Inoltre, se la Regione Veneto ha provveduto all’inventariazione di “buona parte della collezione museale”, ti costa davvero tanta fatica ficcarci lì un link (farci dono di un link) al quale ci possiamo fiondare per godere fino in fondo questa nuova ed esaltante avventura culturale?
(sorvolo – perché andiamo oltre la forma – su quanto mi sgorga dal cuore se penso alle caldaie in rame e al vapore che scalda il latte, soprattutto lì dove si dice che tutto ciò fosse “un’innovazione non da poco per una piccola latteria”; siamo agli inizi del 1960, corro con la mente a James Watt che lasciò le miserie umane nel 1819, dopo aver inventato il motore a vapore, e mi chiedo se in quel lasso di tempo – tra il 1819 e il 1960 – il vapore non sia stato artefice, in queste ubertose valli, di altre stupefacenti innovazioni…)
A parte la Grecia (la Grecia??? La Cina, ragazzi, che è più volatile di un falco pellegrino!!!), sui giornali non sanno che cavolo scrivere. Non c’hanno un cavolo da scrivere, ma non possono non scrivere un cavolo. Eccheccavolo!
E allora ci danno dentro con reportage faunistici alla Harry Potter. Titolo estivo con “rutto libero” di fantozziana memoria (la curiosità va solleticata): non “tocca”, oppure “tasta”, oppure “palpa”, oppure “afferra”, oppure “agguanta”, oppure “acchiappa”, oppure “acciuffa”…
no, no!
…accarezza!
Non è tenero questo innocente quanto ingenuo giovane virgulto figlio di perfida Albione ?
Ma l’orgasmo scenico si raggiunge allorquando il giornalista si avvita in un triplo salto carpiato, dove la cronaca sfuma in impareggiabile letteratura (grassetto nostro):
[…] L.S. non ha mai perso conoscenza, ma ha bisogno di altre cure e non si muoverà dal suo letto almeno per qualche altra ora. All’uscita dall’ospedale, riceverà la raccomandazione di non riprovarci, ma è quasi sicuro che abbia imparato di più in un pomeriggio domenicale sulle Dolomiti Bellunesi che in un anno di scuola, in Inghilterra.
Andatelo a dire allo strenzi, e alla di lui ministra dell’istruzione, che ai programmi scolastici bisogna dare una rapida sterzata: tutti sulle Dolomiti Bellunesi. Certo, il maggior beneficio lo trarrebbero gli inglesi che, in un giorno, recupererebbero un intero anno scolastico. Pensate quale tsunamica spinta potrebbe avere il turismo di questi luoghi:
Dolomiti, palestra di vita, recupero interi anni scolastici; due settimane e ti becchi la laurea breve; un mese e vai al Cern, col rischio che te lo facciano dirigere.
(dubbio: all’uscita dall’ospedale, chi è che darà al figlio d’Albione quella raccomandazione “di non riprovarci”? Il direttore dell’ASL, un’infermiera “Rottermaier” o direttamente il plotone di esecuzione? Per la somministrazione di questa raccomandazione, pagherà il ticket?)
(premessa à la Catalano: “è meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”; a voi l’applicazione nell’ambito balconistico…)
Torno alla rubrica “il Cadore in calore” con animo mesto. Sulla prima pagina del foglio cadorineggiante (credo sia il numero di giugno, il mese della fertilità…) appare “una cosa”, un ammasso turismico denso di teatralità floreale. Leggere per credere: “Su ogni balcone un vaso di fiori”:
[…] Se tutti si adoperassero in questo senso si potrebbe parlare di un autentico salto di qualità sul piano dell’accoglienza. E non c’è dubbio che è questa la strada da intraprendere se si vuole puntare sul turismo.
E’ un compito difficile, ma qualcuno lo deve pur fare. Ripetete con me:
non è il balcone fiorito
che fa l’accoglienza…
porca di quella troia,
è il fare accoglienza
che porta (anche)
al balcone fiorito!
Il discorso da farsi sarebbe lunghetto, ma devo dar acqua ai gerani, quindi concludo (nel rispetto delle opinioni di tutti): finché troveremo queste str…anezze anestetizzanti su questi giornali, finché, in particolare, ci saranno persone disposte ad esaltarsi per questi editti etilici (se non proprio lisergici), saremo condannati alla mediocrità più grigia. Ho detto.
(se bastasse un balcone fiorito per, come si dice sul Cadore in calore, “parlare di un autentico salto di qualità sul piano dell’accoglienza” gli Inuit avrebbero già tempestato di fiori “glaciali” i loro iglù; quando si arriva a parlare del balcone fiorito come “elemento di redenzione”, vuol dire una sola cosa: siamo nella merda pervasiva!)
Hanno messo “in rete” alcuni musei cadorini. Un equaranto (il doppio di un evento: suvvia, siate seri!) di indubitabile efficacia. Corre voce di un solo precedente, alle isole Salomone, dove la locale rete di musei, specializzata nella raccolta e esposizione di astucci penici, è stata messa in rete una ventina d’anni fa. Quando l’hanno saputo, i pinguini imperatore, nonostante siano ora impegnati nella cova, hanno fatto la ola.
Non so chi abbia scritto il testo che accompagna la descrizione del Museo della Latteria, ma, a giudicare dalla forma, non credo sia un dipede. E’ più probabile che sia un quadrupede, forse un cane: è forse anche per questo che si dice “scritto da cani”.
Ma al di là della forma, v’è un particolare motivo che ha solleticato e solletica un mio istinto primordiale. Nella mia qualità di VdMdL, volontario del museo della latteria che a suo tempo s’è fatto un mazzo tanto (come altri), vorrei sollecitare quella santa donna di mia moglie, che il caso vuole essere presidente dell’Associazione Latteria Sociale, ad intervenire affinché nel testo descrittivo che “introduce” al Museo sia reso chiaro un concetto.
(chiarimento: personalmente, me ne sbatto i coglioni che il museo sia “in rete”, essendo tale pratica – perlomeno quella a cui io alludo – ovvia al punto che non solo i pinguini imperatore, ma anche i trichechi delle Svalbard, ormai, sono pienamente convinti che sia pratica imprescindibile per qualsiasi territorio che aspiri a “vendersi” sul mercato turistico)
Dire che la “esposizione è ospitata nella ex sede della Latteria di Lozzo di Cadore” alimenta l’idea (falsa) che, tale esposizione, sia impacchettabile e trasportabile in altro loco come fosse un trolley; sembra quasi che il “Museo” fosse chissà dove ed ora sia ospitato nella ex sede della Latteria. Ma non è così e un chiarimento, a mio modo di vedere, è indispensabile.
Al quadrupede (tale per gli aspetti formali che vedremo esposti in un successivo articolo), andrebbe detto che la raccolta museale definita “Museo della Latteria” è (sostanzialmente coincide con) l’Associazione Latteria Sociale. Non solo: per la proprietà transitiva, risulta perciò anche dimostrato che l’Associazione Latteria Sociale è il “Museo della Latteria” (ovviamente ciò non impedisce all’associazione di sviluppare la propria attività in ambiti culturali diversi dalla “formaggificazione” ancorché, quest’ultima, ormai solo virtuale). Ma non basta: è oltre modo evidente che è lo stesso edificio ad essere Museo.
Inoltre l’edificio ex sede della Latteria, che ospita l’esposizione, è proprietà dell’Associazione Latteria Sociale. Così il cerchio, mi sembra, si possa chiudere onorevolmente. Capitttoooo?
(per un approfondimento sull’astuccio penico tirato in ballo…)