ricognizione schianti da vento: come georeferenziarli con semplicità
Tra le diverse possibilità, oltre a quella già illustrata a suo tempo qui, c’è quella… fotografica illustrata qui.
Tra le diverse possibilità, oltre a quella già illustrata a suo tempo qui, c’è quella… fotografica illustrata qui.
Cortina d’Ampezzo se l’è disputata con Arzachena (provincia di Sassari, ex Olbia-Tempio), la 45a posizione tra i comuni italiani per numero di presenze negli esercizi ricettivi. Prima ci sono le corazzate delle città d’arte (Roma, Venezia, Firenze: a Milano c’è il polo fieristico), poi le rosticcerie da spiaggia; la montagna si fa vedere in 33a posizione con Castelrotto/Kastelruth (Alpe di Siusi) in provincia di Bolzano, seguita dalla 40a di Selva di Val Gardena/Wolkenstein in Groden (sempre BZ) e quindi dalla 45a di Cortina con 1.149.349 presenze nel 2017 (uno 0,3% delle presenze nazionali).
Ma dove vai se la strada (silvopastorale, boschiva, pista forestale) non ce l’hai? Da nessuna parte; non vai da nessuna parte!
Tu chiamalo se vuoi “ciclone extratropicale”. Ma anche “ciclone mediterraneo”. Per gli amici, “Vaia”. La Matrigna Terra (ogni tanto la Madre s’incazza) s’è scaccolata appena. Uno starnuto qui, uno là… e giù tutti per terra. All’Evoluzione glielo ho detto un sacco di volte: “Vergognati! Come hai potuto dar vita ad una pianta così ignobile, così infame come il pezuó, peccio, abete rosso?”. Se a questi qua gli fai “buu”, cadono a terra come le capre miotoniche (solo che quelle dopo un po’ si rialzano).
Vaia, dunque, nella notte del 29 ottobre 2018 ha raso al suolo quantità industriali di pezuó (ove sì, ove no). Il solito noto e diffuso fenomeno ma, questa volta, a scala gigantesca. Per avere un’idea di ciò che è accaduto si può partire da qui per la situazione locale e da qui per una visione più generale.
Come corollario si fa notare che secondo la ben nota legge di Murphy se una pianta – che ha “360” possibili direzioni di caduta – può cadere su una strada o sentiero… cadrà proprio lì. Tutto questo per dire ciò che è ovvio: se c’è una strada (silvopastorale, boschiva, pista forestale) preesistente, il recupero del bosco “alle condizioni originarie” è impresa che, con mezzi adeguati (senza ricorrere alle super corazzate austriache…), si può affrontare con professionalità, efficienza ed efficacia.
Se la “strada” non c’è… che si fa?
(nel video l’apertura della strada de Sorasale tra la centralina e il tabià de chi de Bedin, oltre al tratto laterale che giunge fino al tabià de muro de Mosè ; qui la foto sferica di un suo tratto, qui la versione corta del video)
Come altro definire, se non come riscossa, il saldo totale del +8,2‰ del bilancio demografico a luglio 2018 di Lozzo di Cadore? Se solo si torna al lugubre -27,5‰ del 2016 o anche al -8,2‰ dell’anno scorso (pari periodo: gennaio-luglio), quello di quest’anno appare infatti come una fulgida riscossa, da attribuire ovviamente al saldo migratorio, +10,5‰ (+14 persone), tenuto conto che quello naturale è pari a -2,2‰.
(naaaa: a mio parere è solo, come si dice in finanza, il rimabalzo del gatto morto)
Anche a Vigo s’è fermata l’emorragia, saldo totale +4,3‰, così come a Lorenzago, +3,6‰. Perarolo precipita invece a -45,7‰, seguito da Domegge con -16,7‰, Calalzo con -10,0‰ e Auronzo che chiude la serie a -4,5‰. Il Centro Cadore ha un saldo totale di -4,6‰ (-4,0‰ il saldo naturale e -0,6‰ quello migratorio). La provincia di Belluno perde 550 persone per un saldo totale di -2,7‰.
Ripartiamo da dove eravamo rimasti: alla superficiale ignoranza dei fatti legati alla storia del rifugio Ciareido espressa da Telebelluno, si affianca quella del sindaco intervistato. Premessa: CAI, lo sapete tutti, sta per Club Alpino Italiano; GSC, invece, sta per grande sforzo collettivo (entità vagamente junghiana).
Anche il borgomastro inizia scivolando sul “torna“: “Finalmente il rifugio Ciareido… torna nelle disponibilità del paese” (vedi link a inizio articolo). Poi, su sollecitazione del Cecchella che chiede una breve storia dell’ex presidio militare, continua (neretto mio):
Il bene rifugio Ciareido dopo la Grande Guerra è stato abbandonato (era rimasto…) era diventato un ricovero di pastori e di animali finché con un grande sforzo collettivo nel paese di Lozzo di Cadore decisero di riprenderlo e di dargli una nuova vita, una nuova veste.
Riprenderlo? Edddajje (prendere di nuovo, prendere un’altra volta… una cosa che non è mai stata tua?). Ma questa è un’inezia, veniamo al dunque.
Riferirsi a quell’evento definendolo genericamente un “grande sforzo collettivo” mette in mostra una certa ignoranza dei fatti. Nel 1973, anno nel quale si inaugurò il rifugio come tale, il nostro era senza dubbio in altre faccende affaccendato. E anche in seguito, quando ebbe modo di accasarsi in queste lande, non deve aver trovato adeguati stimoli che lo spingessero ad approfondire le vicende storiche legate a quel “ex presidio militare”. Del resto pare che anche i locali a lui vicini, evidentemente storditi dalla stessa ignoranza dei fatti, non abbiano saputo/potuto consigliarlo/ragguagliarlo a dovere.
Quello che il sindaco definisce grande sforzo collettivo ha un nome e un cognome: sezione del Club Alpino Italiano di Lozzo di Cadore, con tutti gli uomini che le hanno dato vita allora, 1971, e quelli che l’hanno mantenuta attiva fino ad oggi.
Ammesso che quell’impegno si possa anche definire “grande sforzo collettivo” (non mi addentro nell’esoterica indeterminatezza dell’espressione “nel paese di Lozzo di Cadore decisero” sennò va a finire che tiro fuori gli ultracorpi…), nessuno deve dimenticarsi che quello sforzo ebbe una sola regia e una sola assunzione di responsabilità, tanto nell’ottenere dal Demanio la concessione dell’edificio, quanto nel salvare dall’abbandono, recuperare e ristrutturare il medesimo alla nuova destinazione d’uso di rifugio alpino. Regia e assunzione di responsabilità con le quali la sezione di Lozzo di Cadore del Club Alpino Italiano ha convissuto per 45 anni, tanto è ad oggi il tempo passato dall’inaugurazione del rifugio, garantendo i lavori di adeguamento e le manutenzioni resesi via via necessarie (certo, attingendo anche a fondi pubblici, regionali e comunali).
E il fatto che il borgomastro ricordi a un certo punto dell’intervista che il rifugio “era un bene demaniale dello Stato e per tanti anni è stato ben gestito dal Cai di Lozzo, finché a un certo punto con la normativa […]” semmai accentua l’alone di ignoranza dei fatti perché nell’ascoltatore si può agevolare l’impressione che il Cai, pur avendolo gestito “per tanti anni”, ad un certo punto si possa essere disimpegnato (e comunque attenzione!, perché gestire vuol dire “condurre, amministrare” non salvare dall’abbandono, recuperare, ristrutturare che sono invece atti fondativi).
Costava troppo sforzo dire che, dopo averlo salvato dall’abbandono, recuperato e ristrutturato, il Cai ne ha gestito le sorti anno dopo anno fino ad oggi, 45° anno dall’inaugurazione?
Sul passaggio di proprietà del rifugio Ciareido dal Demanio dello Stato al Comune di Lozzo avevo già scritto due righe qui. Mi sono poi imbattuto nel video di TeleBelluno che racconta la notizia urbi et orbi intervistando il sindaco di Lozzo. Capirete, non mi potevo esimere dall’evidenziare come tanta ignoranza possa essere espressa via etere.
Cecchella, suvvia! Dice il nostro che
l’edificio che ospita il rifugio Ciareido a Pian dei Buoi fu ideato come ricovero militare e punto di osservazione all’inizio del 1900.
Domanda: come si fa a ideare “all’inizio del 1900” un manufatto costruito nel 1890, cioè perlomeno 10 anni prima? Sto qua si dev’essere confuso con la Montiglio, il Casermona.
Questo sfasamento temporale comporta l’emissione di altra imprecisione:
Dopo un secolo torna di proprietà della comunità di Lozzo di Cadore.
Facciamo due conti: 2018 (anno corrente) meno 1890 (anno di costruzione del ricovero) comporta, sul pianeta Terra, una differenza di 128 anni (minuto più, minuto meno), cioè 28 anni in più rispetto al secolo (capisco i servizi un tanto al chilo, ma così mi sembra davvero un po’ troppo). Non sarà sfuggito ai più lesti che l’omo ha misurato il tempo dalla fine della Grande Guerra (come se la fine di quella guerra corrispondesse a un “tana libera tutti”): ma allora dillo no!
Inoltre, il nostro ci dovrebbe spiegare perché, parlando del rifugio -cioè dell’edificio-, usa l’espressione “torna di proprietà“: il terreno sì, torna di proprietà, ma l’edificio non è mai stato nostro quindi non torna (può andar bene diventa di proprietà?).
Per le emissioni del borgomastro… prossimamente su questi pixel.